Storia della letteratura italiana/Questione della lingua nell'Ottocento: differenze tra le versioni

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Gli illuministi mostrano particolare acredine verso la Crusca: tra le opere più critiche si ricordano per esempio la ''Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca'' di Alessandro Verri e il ''Saggio sulla filosofia delle lingue'' di Melchiorre Cesarotti, che propone l'istituzione a Firenze di un Consiglio nazionale della lingua che sostituisca l'Accademia. Nel suo saggio Cesarotti si dimostra inoltre aperto ad accettare forestierismi e termini provenienti dai dialetti, posizione che finisce per scontrarsi con l'ostilità verso gli stranieri diffusa in seguito alle campagne napoleoniche in Italia (si pensi al ''Misogallo'' di Alfieri). Ma c'è anche spazio per un rinato amore per la lingua del Trecento e per il modello bembiano, un purismo che in qualche modo ovvia alla mancanza di unità politica della penisola. Tra le opere più importanti di questa fase si ricorda la ''Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana'' di padre Antonio Cesari (Verona, 17 gennaio 1760 – Ravenna, 1º ottobre 1828), fondatore di una ''Crusca Veronese''.<ref name="Marazzini"/><ref name="Petronio571">{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=571}}</ref>
 
All'inizio dell'Ottocento la questione della lingua si concentra sulla contrapposizione tra romantici e classicisti, riprendendo per altro alcune posizioni già espresse dagli illuministi. Nel dibattito rientra anche la questione sull'uso dei dialetti: se Pietro Giordani individua in questi un limite per la circolazione delle idee, Carlo Porta gli risponde con una serie di poesie polemiche. Vero e proprio oppositore del purismo è invece [[../Vincenzo Monti|Vincenzo Monti]], che dirige una ''Proposta di correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca'' in più volumi (1817-1826).<ref name="Marazzini"/> Il poeta di Alfonsine, insieme al genero Giulio Perticari e ad altri intellettuali, propone un classicismo moderno aperto alle novità e ai forestierismi,<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=564}}</ref> che sia caratterizzato da un equilibrio tra tradizione e libertà, che sia consapevole dell'evoluzione della lingua a partire dal Trecento e che si rifaccia alla lezione di [[../Vittorio Alfieri|Alfieri]] e [[../Giuseppe Parini|Parini]].<ref name="Petronio571"/>
 
== Il modello manzoniano ==
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Le teorie linguistiche di Alessandro Manzoni hanno grande importanza per la cultura dell'epoca e per quella dell'età successiva. Lo scrittore milanese si oppone al purismo e porta alle estreme conseguenze le tesi dei romantici, per i quali è urgente abbandonare le mere questioni stilistiche ed elaborare «una lingua, semplicemente» che consenta la comunicazione dei concetti tra tutti gli italiani. Non dunque una lingua letteraria, ma una lingua parlata che, utilizzata in letteratura, si rivolga a tutto il popolo e non solo a pochi eletti.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=633}}</ref>
 
Una testimonianza della ricerca linguistica di Manzoni ci arriva dalle fasi di lavorazione del suo romanzo. Il ''Fermo e Lucia'' è scritto in un italiano «comune», sganciato dalle forme classiche. L'autore è però insoddisfatto del suo lavoro. Con la revisione che porterà ai ''Promessi Sposi'' (1825-1827), Manzoni cerca una lingua più generale, attraverso cui rivolgersi a un pubblico più ampio, e la individua nella parlata fiorentina e nel toscano.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=652 }}</ref> La sua convinzione trova conferme durante il soggiorno a Firenze del 1827: la seconda edizione dei ''Promessi Sposi'', che esce nel 1840-1842, è ulteriormente rivista nella sua forma linguistica alla luce dell'esperienza diretta con la parlata toscana e il fiorentino vivo. Bisogna però sottolineare che Manzoni ha qui come riferimento la lingua della classe colta di Firenze, e non il fiorentino rurale e arcaico, che invece riscontra i favori di molti cultori del toscanismo come Niccolò Tommaseo o padre Giambattista Giuliani (Canelli, 4 giugno 1818 – Firenze, 11 gennaio 1884).<ref name="Marazzini"/>
 
Nel 1868 Manzoni riceve l'incarico, da parte del ministro della Pubblica istruzione Emilio Broglio, di presiedere la doppia commissione milanese e fiorentina per individuare i provvedimenti utili per rendere universale la lingua e diffonderne il corretto uso a tutti i livelli del popolo. La richiesta presenta elementi di novità: proviene infatti da un ministro del neonato Stato unitario, e ora la questione della lingua non riguarda più solo un gruppo di letterati, ma il popolo dell'intera nazione. Tuttavia la commissione fiorentina non accoglie le soluzioni di Manzoni, e lo scrittore pubblicherà nello stesso anno una propria ''Relazione sull'unità della lingua'', in cui propone di diffondere il fiorentino vivo attraverso l'insegnamento scolastico. A questa segue un vivace dibattito, che ricalca temi già affrontati, dalla difesa delle prerogative del fiorentino all'estensione al toscano della funzione letteraria della lingua.<ref name="Marazzini"/>
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Contro la soluzione manzoniana prende posizione anche Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia, 16 luglio 1829 – Milano, 21 gennaio 1907) nel ''Proemio'' al primo fascicolo dell<nowiki>'</nowiki>''Archivio Glottologico Italiano'' (scritto nel 1872 ma pubblicato nel 1873). Il celebre glottologo contrappone al modello centralistico manzoniano un modello policentrico, sostenendo che lo sviluppo sociale e culturale della nazione avrebbe inevitabilmente portato all'unificazione linguistica.<ref name="Marazzini"/> Secondo Ascoli, nel corso dei secoli l'italiano è stato definito anzitutto da testi letterari e scientifici, ed è in questi che bisogna cercarne le radici, e non nel fiorentino, cioè nella lingua parlata in una città che aveva perso col tempo la sua centralità culturale.<ref>{{cita libro | autore=Paolo Giovannetti | titolo=La letteratura italiana moderna e contemporanea | editore=Carocci | città=Roma | anno=2016 | p=73 }}</ref> Tuttavia queste tesi non conoscono grande fortuna, mentre sono più popolari le interpretazioni semplificate del manzonismo, come quella proposta da [[../Edmondo De Amicis|De Amicis]] nell<nowiki>'</nowiki>''Idioma gentile'' (1905). Le tesi toscaniste si diffondono così anche tra gli educatori.<ref name="Marazzini"/>
 
Ferroni in proposito scrive che il manzonismo linguistico ben presto ha rappresentato una «prospettiva sterile e di grave ostacolo ai nuovi orizzonti linguistici e culturali del paese», poiché pretendeva di imporre nella nuova scuola italiana la lingua del ristretto ambiente borghese fiorentino dell'età del Risorgimento, senza affrontare le questioni legate all'incontro tra le diverse tradizioni regionali e all'affacciarsi di un'economia di tipi industriale.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=654 }}</ref>
 
== Sviluppi successivi ==