Storia della letteratura italiana/Luigi Pirandello: differenze tra le versioni

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Fin dalla prima giovinezza Pirandello dimostrò una spiccata passione per il teatro, tanto che già nel 1892 pubblicò il suo primo dramma, l'atto unico ''Perché''. Negli stessi anni elaborò altri due drammi, ''L'epilogo'' e ''Il nibbio''. La prima rappresentazione di una sua opera avrebbe però avuto luogo solo nel 1910, quando due atti unici, ''La morsa'' e ''Lumìe di Sicilia'', furono portate sulla scena dalla compagnia di Nino Martoglio a Roma. Un nuovo atto unico, ''Il dovere del medico'', fu scritto nel 1911 e messa in scena nel 1913. La vera e propria affermazione sulla scena nazionale avvenne però a Milano nel 1915 con il dramma ''Se non così...'' (nato da una rielaborazione del ''Nibbio''). Il successo lo portò a occuparsi sempre più di teatro, fino quasi ad abbandonare la narrativa.
 
Pirandello sconvolse gli schemi del teatro borghese con la sua ironia dissacrante, che a sua volta è espressione il medesimo disagio a cui aveva dato voce nelle novelle e nei romanzi. Tra il 1916 e il 1920 scrisse vari drammi in lingua italiana, in cui prestava enorme attenzione ai meccanismi scenici e al rapporto tra realtà e apparenza. La psicologia dei personaggi non è unitaria, ma è scomposta in diverse "maschere", cioè in forme paradossali tra di loro contrapposte. Il teatro diventa quindi una rappresentazione di come la vita stessa sia segnata dalla finzione: in ogni indivuo c'è una duplicità, dovuta allo sguardo che gli altri proiettano su lui. Le maschere si scontrano tra di loro in una lotta continua, mossi dall'ansia di giustificare le proprie azioni. Si impegnano quindi in puntigliose dispute dialettiche, durante le quali scavano nelle pieghe dei rapporti umani con una sottogliezza estrema e ossessiva.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=931 }}</ref>
 
Quello di Pirandello è quindi un teatro del "grottesco", definizione che può essere utilizzata anche per altri autori attivi negli anni della prima guerra mondiale. I drammi mescolano tragico e comico, e ricorrendo a elementi realistici portano sulla scena i rapporti che caratterizzano la vita piccolo-borghese. I personaggi, nella loro aggressività, sono come delle marionette che si spartiscono i ruoli sulla scena allo scopo di affermare, alla fine, la più assoluta insensatezza.
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Molti drammi pirandelliani ruotano attorno a complicazioni familiari. In genere, lo schema di partenza è quello del triangolo, dal quale si sviluppano relazioni deviate e paradossali. I personaggi sono divisi tra i loro sentimenti e il ruolo che invece è loro richiesto dalla società e dalla loro posizione all'interno della famiglia. Tra gli esempi più riusciti si possono citare ''Pensaci Giacomino!'' (1916), ''Così è (se vi pare)'' (1917), ''Il piacere dell'onestà'' (1917), ''Ma non è una cosa seria'' (1918), ''L'uomo, la bestia e la virtù'' (1919). Il dramma più importante di questa fase è però ''Il giuoco delle parti'' (1918). La prospettiva del grottesco finisce però per stemperarsi nei drammi del 1920, come ''Tutto per bene'', ''Come prima, meglio di prima'', ''La signora Morli, una e due''.
 
Oltre alle opere in italiano, Pirandello si dedicò attivamente anche al teatro in siciliano. Il dialetto gli dava la possibilità di giocare sulle forme liguistiche e di attingere direttamente al folklore, portando all'estremo le possibilità comiche e grottesche. I personaggi sono caratterizzati da singolari manie, e l'unico modo che hanno per comunicare tra di loro è ricorrere all'assurdo. Tra i drammi di questo tipo si ricordano ''<nowiki>'</nowiki>A birritta cu 'i ciancianeddi'' (poi riproposta in italiano con il titolo ''Il berretto a sonagli''), ''La patente'', ''<nowiki>'</nowiki>A giarra'' (poi ''La giara'').<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=932 }}</ref>
 
=== Il "teatro nel teatro" ===
Se in una prima fase aveva giocato con le strutture del teatro borghese, Pirandello portò all'estremo il meccanismo della scomposizione con il dramma ''Sei personaggi in cerca d'autore'' (scritta tra il 1919 e il 1920, e rappresentata nel 1921). L'opera, uno dei vertici del teatro novecentesco, nasce da una reazione dell'autore alle convenzioni della vita teatrale, che l'autore in quegli anni aveva conosciuto in prima persona. Mentre una compagnia di attori sta provando ''Il giuoco delle parti'', compare sulla scena un gruppo di sei fantasmi, i membri di una famiglia che l'autore aveva immaginato come personaggi di un dramma, ma che poi erano stati messi da parte. I sei personaggi chiedono quindi al capocomico di mettere in scena la vicenda che hanno vissuto ma che nessun attore ha mai interpretato. Dopo varie insistenze, i fantasmi vengono assecondati; iniziano quindi a raccontare i loro ricordi ed entrano in contrasto con gli attori che cercano di trasporli sulla scena. Ripercorrono così vari eventi traumatici della loro squallida esistenza, che si ripetono uguali a se stessi all'infinito, ma in modi diversi a seconda dei personaggi, suscitando a seconda dei casi sensazioni di strazio, vergogna, aggressività.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=933 }}</ref>
 
Da un lato c'è quindi il teatro con la sua finzione e le sue forme vuote, dall'altro la vita autentica dei sei personaggi, nella quale si ripete il senso di angoscia per le colpe commesse e non emendabili. Ma la vita "autentica" non può essere rappresentata sulla scena in un flusso continuo: il dramma si deve presentare per forza in una forma frantumata. L'irrompere della vita sulla scena distrugge il testo e lo spazio teatrale: alla fine i personaggi scompaiono, ma non si tratta di una conclusione, bensì di una sospensione che lascia l'opera aperta. Lo spazio teatrale è squarciato e gli attori rimangono estraniati. Il contrasto tra vita e teatro si ripresenta però anche nell'opposizione tra l'ossessione per la sincerità dimostrata dai personaggi e il rischio che la loro vicenda, rappresentata dagli attori, finisca per sottostare alle leggi della finzione tipiche del teatro.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=933-934 }}</ref>
 
Tutto questo meccanismo dà luogo a una espansione del teatro nel teatro. Le strutture drammatiche tradizionali vengono scomposte in modo critico e razionale, una prospettiva che Pirandello segue anche in ''Ciascuno a suo modo'' (1924) e ''Questa sera si recita a soggetto'' (1930). Questi due drammi, insieme a ''Sei personaggi in cerca d'autore'', formeranno la trilogia detta appunto "del teatro nel teatro", tutta giocata sui conflitti tra gli elementi del teatro. L'interesse di Pirandello per la scomposizione avrà grande influenza sul teatro di quegli anni, e aprirà la strada alle sperimentazioni dell'avanguardia.<ref name="Ferroni934">{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=934 }}</ref>
 
=== Tragedia e mito ===
Dopo avere portato all'estremo il suo interesse per la scomposizione in ''Sei personaggi in cerca d'autore'', Pirandello sentì la necessità di creare forme stabili, in grado di contenere una vita autentica ed eterna. Nei nuovi drammi fecero quindi la loro comparsa personaggi tragici, dalle personalità difficili e tormentate. A questi si affiancò la ricerca di una nuova intensità drammatica e del senso profondo nascosto dietro alle maschere. Vengono poi abbandonati gli ambienti piccolo-borghesi in favore di quelli dell'alta borghesia, mentre la scomposizione delle forme teatrali lascia spazio a una sublimazione tragica. Pirandello imbocca quindi la strada della "tragedia borghese".<ref name="Ferroni934" />
 
In ''Enrico IV'' e ''Vestire gli ignudi'', entrambe del 1922, la ricerca di un senso tragico si scontra e soccombe di fronte alla meschinità dei rapporti sociali. La prima è solo in apparenza un dramma storico: in realtà il protagonista è un folle che, caduto da cavallo durante una rievocazione storica, pensa di essere davvero l'imperatore medievale che impersonava. Rinsavito dopo dodici anni, si scontra con i suoi amici e nemici di un tempo, una situazione che alla fine lo condanna a ripiombare nella pazzia. Il personaggio di Enrico IV può vivere nella sua serietà tragica solo all'interno del ridicolo mondo di follia in cui si trova, e questo mondo sublime della storia finisce per scontrarsi con la volgarità della quotidianità borghese.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=934-935 }}</ref>
 
In ''Vestire gli ignudi'' la protagonista è invece Ersilia Drei, una donna che dopo un tentativo di suicidio viene accolta in casa da uno scrittore. Deve però subire l'aggressività degli altri personaggi che vogliono scoprire le ragioni del suo gesto, e per sfuggire a questo confronto e mantenere la dignità che le era data dal mancato suicidio, si avvelena morendo nuda e sola.
 
Negli ultimi drammi troviamo ancora personaggi dell'alta borghesia che si interrogano sul senso dell'esistenza e sulla necessità di affermare una vita autentica, nonostante le convenzioni sociali. Questo però si traduce in effetti artificiosi ed esteriori, in indagini sul contrasto tra la lucidità della coscienza e l'inconscio, in ragionamenti contorti. Per questa ultima fase si parla quindi di '''pirandellismo''', di ripetizione delle forme che avevano caratterizzato la produzione precedente dell'autore. Tra le ultime opere si possono citare ''La vita che ti diedi'' (1923), ''Diana e la Tuda'' (1926), ''L'amica delle mogli'' (1926) e ''Trovarsi'' (1932).<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=935 }}</ref>
 
Negli stessi anni in cui scrisse questi drammi, Pirandello cercò anche di realizzare un nuovo grande spettacolo in grado di riproporre valori universali. Immaginò quindi nuovi meccanismi mitici, che alterano i rapporti con la realtà e richiamano elementi provenienti dall'ambito del meraviglioso e del leggendario. Il risultato è però un teatro ricco di complicazioni, dietro alle quali si rivela il proposito di trasmettere una serie di valori che dovrebbero una espressione piena della coscienza del presente. Nei due "miti" ''La nuova colonia'' (1928) e ''Lazzaro'' (1929) questa edificazione ideologica appare evidente in tutta la sua ridondanza.
 
L'ultima e più interessante opera di questo periodo è ''I giganti della montagna'', a cui Pirandello lavorò per tutto il 1930 ma che non completò mai. L'autore, ricorrendo a una complessa struttura mitica, riprende una serie di immagini arcaiche tratte dalla sua infanzia per interrogarsi sulla condizione dell'arte nel presente. Significati allegorici e simbolici vengono proposti continuamente, e sfumano in un'atmosfera indistinta, che non può essere afferrata.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=935-936 }}</ref>
 
== Note ==