Storia della letteratura italiana/Pietro Bembo: differenze tra le versioni

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* i ''Carmina'' (1533), dove si pone nella tradizione del [[../Lo stilnovo|dolce stilnovo]] e di Petrarca.
 
Tra i suoi più importanti scritti in volgare ci sono ''Gli Asolani'', discorsi filosofici sull'amore platonico, stampati sempre da Aldo Manuzio (1505) e dedicati a Lucrezia Borgia. Tuttavia, la forma volgare che più interessa Bembo è la lirica: nelle ''Rime'', scritte durante tutta la sua vita ma pubblicate solo nel 1530, imita la lirica di Petrarca in modo attento ed equilibrato, alla ricerca di uno splendore formale rispetto al quale i contenuti sono secondari e inessenziali.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=305 }}</ref>
 
Nel 1501 Bembo cura l'edizione del ''Canzoniere'' di Petrarca e nel 1502 quella delle ''Terze Rime'' (''Divina Commedia'') di Dante, in stretta collaborazione con l'editore Aldo Manuzio. Per la prima volta due autori in lingua volgare diventano oggetto di studi filologici, fino ad allora riservati esclusivamente ai classici antichi. Entrambe le edizioni costituiscono le basi di tutte le edizioni successive per almeno tre secoli.
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Nel primo libro viene ripercorsa la storia del volgare e si afferma la superiorità del fiorentino usato dagli autori del Trecento, ma viene escluso Dante, in quanto utilizza una lingua con troppi elementi umili e compositi. Nel secondo libro si discute di stile, della scelta delle parole, della loro disposizione, del ritmo della prosa. Nel terzo libro si parla invece della grammatica del volgare, ripresa dai modelli trecenteschi di Petrarca, che diventa modello per le opere in versi, e Boccaccio, per i testi in prosa.<ref name="Petronio263">{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=263 }}</ref>
 
Il modello bembiano permetteva di superare lo sperimentalismo linguistico e le varie ''koiné'' regionali in favore di una lingua che avesse un'estensione nazionale. La sua teoria rispondeva alle esigenze sorte nel Quattrocento con il ritorno al volgare e la riscoperta della letteratura duecentesca e trecentesca, oltre alla necessità di avere una lingua letteraria illustre che superasse la frammentazione linguistica, conseguenza del frazionamento politico.<ref name="Petronio263"/> La soluzione di Bembo, d'altra parte, risponde alla volontà di avere uno strumento utile per una letteratura che sia aristocratica, elevata e immobile, contrapposta alla lingua parlata dal popolo, che è di per sé mutevole. Da questo deriva la contrarietà agli ibridismi, agli sperimentalismi e a tutto quello che poteva minare la stabilità della lingua.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=264}}</ref> La stabilità linguistica, inoltre, consentiva di porre questa letteratura al di fuori del tempo e dei suoi mutamenti.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=304-305 }}></ref>
 
Le tesi di Bembo avranno degli oppositori, ma si affermeranno ben presto e conosceranno la consacrazione quando Ludovico Ariosto pubblicherà la sua terza edizione dell'''Orlando furioso'' (1532), dopo avere riveduto il poema alla luce dei canoni bembiani.