Storia della letteratura italiana/Vittorio Alfieri: differenze tra le versioni

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Dopo la morte dello zio, nel 1766 lascia l'Accademia senza avere terminato il ciclo di studi che lo avrebbe portato all'avvocatura. Si arruola nell'esercito, diventando "portinsegna" nel reggimento provinciale di Asti. Rimane nell'esercito fino al 1774 e si congeda col grado di luogotenente.<ref name="Bonghi" />
 
Tra il 1766 e il 1772, Alfieri comincia un lungo vagabondare in vari Statistati dell'Europa. Visita l'Italia da Milano a Napoli sostando a Firenze e a Roma, e nel 1767 giunge a Parigi dove conosce, tra gli altri, Luigi XV che gli pare un monarca tronfio e sprezzante. Deluso anche dalla città, a gennaio del 1768 giunge a Londra e, dopo un lungo giro nelle province inglesi, si sposta in Olanda.<ref name="VitaIII">{{cita libro|autore=Vittorio Alfieri|titolo=Vita, Epoca III}}</ref> A L'Aia vive il suo primo vero amore, per la moglie del barone Imhof, Cristina. Costretto a separarsene per evitare uno scandalo, tenta il suicidio, fallito per il pronto intervento di Francesco Elia, il suo fidato servo, che lo segue in tutti i suoi viaggi.<ref name="VitaIII" />
 
Tra il 1769 e il 1772, in compagnia del fidato Elia, compie il secondo viaggio in Europa. Partendo da Vienna, passa per Berlino, dove con fastidio e rabbia incontra Federico II. Tocca poi la Svezia e la Finlandia, giungendo in Russia, dove non vuole neppure essere presentato a Caterina II, avendo sviluppato una profonda avversione per il dispotismo.<ref name="VitaIII"/> Raggiunge Londra e, nell'inverno del 1771, conosce Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier, con la quale instaura una relazione amorosa. Lo scandalo che segue e il processo per adulterio pregiudicano una possibile carriera diplomatica di Alfieri, che in seguito a questi fatti è costretto a lasciare la donna e la terra d'Albione.<ref name="VitaIII" /> Riprende così il suo girovagare, prima in Olanda, poi in Francia, Spagna e infine in Portogallo. A Lisbona incontra l'abate Tommaso Valperga di Caluso, che lo sprona a proseguire la sua carriera letteraria. Nel 1772 comincia il viaggio di ritorno.<ref name="VitaIII" />
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Dopo qualche tempo Alfieri, allo scopo di «disvassallarsi» (come dirà egli stesso) dalla monarchia assoluta dei Savoia, dona tutti i beni e le proprietà feudali alla sorella Giulia, riservandosi un vitalizio e una parte del capitale, e rinuncia alla cittadinanza del Regno divenendo apolide. Raggiunge quindi a Roma la contessa e si reca poi a Napoli, dove termina la stesura dell<nowiki>'</nowiki>''Ottavia'' ed entra nella loggia massonica della "Vittoria".<ref name="VitaIV"/> Torna quindi a Roma, stabilendosi a Villa Strozzi presso le Terme di Diocleziano, con la contessa d'Albany.
 
Nel 1783 Alfieri è accolto all'Accademia dell'Arcadia col nome di ''Filacrio Eratrastico''. Nello stesso anno termina anche l<nowiki>'</nowiki>''Abele''. Nell'aprile del 1784 la contessa d'Albany, per intercessione di Gustavo III di Svezia, ottiene la separazione legale dal marito e il permesso di lasciare Roma; si ricongiunge all'Alfieri ad agosto, nel castello di Martinsbourg a Colmar. Qui Alfieri scrive l<nowiki>'</nowiki>''Agide'', la ''Sofonisba'' e la ''Mirra''.<ref name="Bonghi" /> Costretti ad abbandonare l'Alsazia alla fine dell'anno, per l'obbligo della contessa di risiedere negli Statistati pontifici, Alfieri si sistema a Pisa e la Stolberg a Bologna.<ref name="VitaIV"/>
 
[[File:Vittorio Alfieri tomb.jpg|thumb|Firenze, Basilica di Santa Croce: il monumento funebre scolpito da Canova, raffigurante l'Italia turrita afflitta per la morte del poeta, le maschere teatrali e il medaglione con il ritratto]]
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== Il teatro ==
=== Le tragedie ===
Terminata l'Accademia militare a Torino, e dopo un lungo giovanile vagabondare in vari Statistati dell'Europa, nel 1775 (l'anno della ''conversione'') Alfieri rientra nel capoluogo piemontese e si dedica allo studio della letteratura, rinnegando in tal modo - secondo le sue stesse parole - anni di ''viaggi e dissolutezze''. Completa così la sua prima tragedia, ''Antonio e Cleopatra'', che registra un grande successo; seguiranno poi ''Antigone'', ''Filippo'', ''Oreste'', ''Saul'', ''Maria Stuarda'', ''Mirra''.
 
La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto tra libertà e potere e al tema dell'affermazione dell'individuo sulla tirannia. Una profonda e sofferta riflessione sulla vita umana arricchisce la tematica quando il poeta si sofferma sui sentimenti più intimi e sulla società che lo circonda.
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=== Caratteri della tragedia alfieriana ===
Alfieri concepisce la tragedia come gesto assoluto, collocato nello spazio chiuso di un teatro vuoto dove sono le parole, con la loro energia, a creare le azioni e i conflitti. Il destino tragico non deriva da impedimenti politici, sociali o di altro tipo, ma piuttosto scaturisce dalla volontà degli stessi eroi alfieriani. Questa assoluta concentrazione viene ribadita dal ritmo del tempo, che viene scandito dall'alternanza del giorno e della notte. I riferimenti sul rischiaramento dell'alba e sul discendere delle tenebre non sono mai meramente descrittivi, ma evocano le forme della natura «come segni indeterminati degli impulsi che trascinano i personaggi».<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | p=534 }}</ref> Alfieri rifiuta la razionalità tipica del classicismo settecentesco; ricorre piuttosto la spezzatura e la difficoltà, alla ricerca di un linguaggio classico assoluto e tutto concentrato in sé.
 
Lo schema ricorrente nella tragedia alfieriana può essere individuato nella contrapposizione tra eroi positivi ed eroi negativi. Mentre i primi incarnano virtù come giustizia o la dolcezza, gli eroi negativi sono mossi dalla brama di potere e calpestano ogni valore. Nelle tragedie politiche lo scontro è tra l'uomo libero e il tiranno, a cui si aggiungono vari personaggi secondari. Tra questi non mancano i collaboratori dei tiranni, esseri meschini che contribuiscono alla realizzazione di crudeltà. Il tiranno e l'uomo libero, però, si staccano per la loro grandezza sulle altre figure presenti nel dramma. Spesso inoltre i due personaggi principali possono essere legati da vincoli familiari, un rapporto che contribuisce a complicare la vicenda. Si potrebbe vedere in questo un elemento autobiografico: gli eventi sanguinosi che travolgono le famiglie nel finale delle tragedie potrebbero quindi essere interpretati come un segnale di malessere. In questo senso, le tragedie potrebbero essere considerate come frammenti di un'unica grande opera autobiografica, un'ipotesi che viene giustificata con l'attenzione messa dallo stesso Alfieri nell'ordinare i suoi drammi in un corpus unitario.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 20012003 | Einaudi | Torino | pp=534-536 }}</ref>
 
=== Le commedie ===
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L'odio per la tirannia e l'amore per la libertà vennero sviluppati in varie opere di argomento politico:
 
* ''Della tirannide'' (1777-1790), di tema interamente politico, scritto durante il suo soggiorno a Siena dove conobbe il suo più grande amico, il mercante Francesco Gori Gandellini. L'Alfieri fa una disamina del dispotismo, considerandolo la rappresentazione più mostruosa di tutti i tipi di governo. La tirannide è basata, per Alfieri, sul sovrano, sull'esercito, sulla Chiesa che costituiscono le basi di questo Statostato.
* ''Del principe e delle lettere'' (1778-1786), di tema politico-letterario, dove l'Alfieri giunge alla conclusione che il binomio monarchia e lettere sia dannoso per lo sviluppo di queste ultime. Il poeta prende in esame anche le opere di Virgilio, Orazio, [[../Ludovico Ariosto|Ariosto]], Racine, nate con il benestare di principi o monarchi munifici e le considera il frutto di uomini "mediocri", contrapponendoli a Dante.
* ''Panegirico di Plinio a Trajano'' (1787), personale rivisitazione dell'omonimo panegirico di Plinio il Giovane (''Panegirico a Traiano'').