Abulafia e i segreti della Torah/Parabola della Perla 5: differenze tra le versioni

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L'interpretazione naturale della struttura linguistica che Abulafia propone nel contesto dello ''Sefer Yetzirah'' è stata combinata con la struttura naturalistico/intellettualistica del pensiero di Maimonide e di alcuni altri libri filosofici studiati dal cabalista. Questa combinazione fu intesa come incline a mettere in pericolo, a suo avviso, la struttura interna delle forme tradizionali dell'ebraismo. In un certo senso, Abulafia ampliò il continuum delle entità intellettuali (Dio, gli intelletti separati e l'intelletto umano) all'apparato linguistico, concepito come una continuazione dell'influsso intellettuale, anche all'interno dei suoni naturali. Gioca sul doppio senso di ''koaḥ dibbri'', il potere intellettuale e linguistico, eco del doppio senso greco del ''logos''. Desidero ora esplorare l'aspetto esoterico di un argomento simile e discutere una tale conseguenza potenzialmente pericolosa.
 
L'idea che il popolo ebraico fosse stato eletto o scelto era parte integrante dei miti ebraici tradizionali. Questa visione si estende anche alle Sacre Scritture e alla lingua ebraica. Il significato dell'elezione era che Dio decise di separare gli ebrei dalle altre nazioni, una separazione che era concepita in termini di criteri genetici; vale a dire, lo ''status'' speciale del seme d'Israele, ''Zeraʿ Yiśraʾel''.<ref>Cfr. {{passo biblico2|Isaia|26:2,28:5,45:19,60:21,61:9,64:9,65:9}}; e altrove nella Bibbia ebraica {{passo biblico2|1Cronache|16:13}}; {{passo biblico2|Neemia|9:2}}; e {{passo biblico2|Salmi|22:23}}. Cfr. anche Michael L. Satlow, "‘Wasted Seed’: The History of a Rabbinic Idea", ''HUCA'' 65 (1994):137–75 (specialmente 161–62, 168, dove suggerisce la possibilità di un impatto zoroastriano sull'apprezzamento del seme da parte dei rabbini babilonesi). Cfr. questi con {{passo biblico2|Romani|4:16,9:6-8}}, e {[passo biblico2|Galati|3:27-29}}. La frase "seme d'Israele" ricorre nel più antico riferimento a Israele nelle fonti extrabibliche. Si veda David Winton Thomas, ''Documents from Old Testament Times'' (New York: Harper & Row, 1958), 137–41. Sulla mescolanza del seme/stirpe d'Israele come peccato, cfr. {{passo biblico2|Esdra|9:2,10:19}}, e la discussione di Jacob Milgrom, ''Cult and Conscience: The Asham and the Priestly Doctrine of Repentance'' (Leiden: Brill, 1976), 71–73. Confronta la teoria più universalistica della natura del popolo ebraico, fondata su un monoteismo etico, nel pensiero di Hermann Cohen ed Emmanuel Levinas, analizzato in Kasher, ''High above All Nations'', 178–90, 216–24.</ref> Ciò significa che l'antica estrazione tribale di persone provenienti dalla tribù di Giuda era considerata continua nel corso dei secoli. Questa visione era dominante nell'ebraismo rabbinico e nei cabalisti teosofico-teurgici e creò una forma di concezione che presuppone una differenza ontica tra gli ebrei e le altre nazioni.<ref>Sulla frase zoharica ''zeraʿ qadišaʾ'' ("il seme santo"), cfr. Wolfson, ''Venturing Beyond'', 27; per fonti aggiuntive nlla Cabala, cfr. Wolfson, ''Venturing Beyond'', 36–37, 49, 54–55, 87–88, e 158–59.</ref>
 
Tuttavia, Abulafia adottò un'altra concezione dell'elezione: l'idea che alcune entità debbano essere intese come le migliori nella loro categoria, il che non significa, o almeno non necessariamente, che siano state scelte nel senso comune del termine. Per questo Abulafia gioca con i vari significati della radice ebraica ''BḤR'', che significa "scegliere": ''muvḥar'', o ''mivḥar''. Nel contesto discusso sopra, questa radice significa "il migliore di tutti"; tuttavia, può avere anche la connotazione di "prescelto" nel senso più tradizionale. Questo è un caso piuttosto interessante di equivocità, e abbiamo visto premesse che incoraggiano una lettura più universalistica che particolaristica nel [[Abulafia e i segreti della Torah/Persecuzione e segreti 2|Capitolo III.2]] ''supra''.<ref>Per la questione del rapporto tra volontà divina e sapienza divina in Maimonide e seguaci, cfr.Nuriel, ''Concealed and Revealed in Medieval Jewish Philosophy'', 41–63; Halbertal, ''Maimonides'', 263; Arthur Hyman, "Maimonides on Creation and Emanation", in ''Studies in Medieval Philosophy'', cur. John F. Wippel (Washington: Catholic University of America Press, 1987):57–59; Aviezer Ravitzky, ''ʿAl Daʿat ha-Maqom: Studies in the History of Jewish Thought'' {{he}} (Gerusalemme: Keter, 1991), 212–41; Vajda, ''Isaac Albalag'', 91–129; e Isaac Albalag, ''Tiqqun ha-Deʿot'', 77–78. Cfr. anche Alfred L. Ivry, "The Will of God and Practical Intellect of Man in Averroes’ Philosophy", ''Israel Oriental Studies'' 9 (1979): 377–91. Una lettura di Abulafia dal punto di vista della sua continua adesione agli approcci di Maimonide alla natura della volontà divina, alla saggezza e alla natura, specialmente a quella che presumo fosse la posizione esoterica di quest'ultimo, significa che il primo può difficilmente essere considerato un teurgo, come Elliot Wolfson e i suoi seguaci vorrebbero farci credere. Cfr. Sagerman, ''The Serpent Kills'', 235-36, o Pedaya, "The Sixth Millennium", 67-68. Questo problema richiede un'analisi più dettagliata che non può essere intrapresa qui; si veda, per il momento, la dichiarazione di Abulafia nel suo primo libro ''Mafteaḥ ha-Raʿayon'', 5. Sulla connessione tra la negazione dei concetti di volontà divina e la pre-eternità del mondo, si veda la discussione su Al-Ġazālī e Averroè in van den Bergh, ''The Incoherence of Incoherence'', 1:224-66.</ref>