Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo/Al centro della rivoluzione: Russia: differenze tra le versioni

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L'antisemitismo letterario russo risale alle origini della letteratura stessa. [[w:Nikolaj Vasil'evič Gogol'|Nikolay Gogol]], scrivendo negli anni 1830 e 1840, tipicamente rappresenta gli ebrei come primitivi, inaffidabili, infidi, superstiziosi e preoccupati unicamente del denaro. L'ebreo del suo romanzo ''Taras Bulba'' è una caricatura universale nello spazio e nel tempo. Yankel è un "collettore e oste" e "aveva lentamente succhiato [da nobili e gentiluomini] i loro denari, imponendo fortemente la sua presenza sul luogo. In una distanza di tre miglia in tutte le direzioni non esisteva una sola fattoria che rimanesse in stato decente." Lo si vede inoltre mentre pratica la sua religione "voltandosi a sputare un'ultima volta, secondo le forme del suo credo". Quanto al denaro, "aveva cercato di soffocare interiormente il costante pensiero dell'oro che gli si contorceva dentro come un serpente nell'anima di ebreo." Questa è una contrapposizione al nobile cosacco, come lo è per Taras, che vive solo per combattere e uccidere per l'onore, per la sua patria ucraina e per il suo cristianesimo ortodosso.<ref>Nikolaj Gogol', ''Taras Bul'ba'', con introduz. critica di Eridano Bozzorelli, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1996.</ref> Nella tradizione letteraria russa, il cosacco può essere il depositario di tutte le virtù basilari: dopotutto la semplicità è una virtù molto ammirata in teoria dall'intellettuale complicato. Tale opinione gogoliana la si riscontra ne ''I cosacchi'' di Tolstoy, scritta due o tre decenni dopo,e poi ancora, paradossalmente, nella prima raccolta di racconti dell'ebreo '''[[w:Isaak Ėmmanuilovič Babel'|Isaac Babel]]''', intitolata ''L'armata a cavallo'' (1929).<ref name="Armata">''Конармия (L'armata a cavallo)'' è un'opera letteraria dello scrittore russo Isaac Babel apparsa nel 1926. Si configura come un resoconto autobiografico delle vicende occorse durante la guerra sovietico-polacca combattuta nel 1919-1920, cui l'autore partecipò come membro della Prima armata di cavalleria russa comandata da Semën Michajlovič Budënnyj. Il libro si basa su annotazioni raccolte in un diario composto dall'autore durante la guerra, come corrispondente dell'Agenzia telegrafica russa (ROSTA) e dell'organo di stampa dell'armata, "Il cavalleggere rosso". L'elemento di maggiore interesse del libro è il suo realismo e allo stesso tempo la capacità di cogliere i valori e il significato più profondo della guerra e dei rapporti tra commilitoni. Degna di nota è la capacità da parte dell'autore, nonostante l'origine ebraica, di osservare, come membro di quella comunità ma da una posizione privilegiata, emancipata e non più succube, le speranze, i pensieri e le paure di costoro, il più delle volte spettatori o peggio vittime degli eventi storici. Attraverso tutto il libro si avverte una costante tensione tra il passato, il presente e il futuro.<sup>''[https[w://it.wikipedia.org/wiki/L%27armata_a_cavallo_(racconti) |Cfr. Wikipedia]]''</sup></ref> Qui il narratore in prima persona, occhialuto, intellettuale, residualmente ebreo, aspira ad un'accettazione naturale da parte dei prosaici cosacchi. Ciò è integrale alla situazione. Lo scrittore ebreo nell'Unione Sovietica si vede attraverso gli occhi dell<nowiki>'</nowiki>''intelligencija'' russa e sovietica e quindi, nella maggioranza dei casi, fa una valutazione fondamentalmente negativa della sua ebraicità, sulla base di una percezione negativa.<ref name="Friedberg"/> Ciò viene espresso in modi diversi dai tre scrittori che costituiscono l'argomento principale di questo capitolo — il succitato Babel, Mandelstam e Pasternak. Babel viene associato ai nemici cosacchi; Mandelstam (il pensatore) ha memoria del caos ebraico; ed i personaggi di Pasternak (Premio Nobel 1958) parlano di trascendere l'ebraismo.
 
[[File:Mandelstam 1914-b.jpg|thumb|150px|Osip Mandelstam nel 1914]]
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[[File:NKVD Mandelstam.jpg|thumb|left|Osip Mandelstam schedato dall'NKVD dopo il suo arresto]]
A volte tuttavia la pressione fisica dell'immediato presente è troppo gravosa. Persino Mandelstam fu disposto nel 1936 a scrivere un'ode a Stalin per poter cercare di salvare sua moglie e, quindi, la propria poesia (si deve notare infatti che, se non fosse stato per Nadezhda, la poesia di Mandelstam non sarebbe sopravvissuta).<ref name="Coetzee">J.M. Coetzee, "Osip Mandelstam and the Stalin Ode", ''Representations'', No.35, Special Issue: ''Monumental Histories'', 1991), pp. 72–83.</ref> Nadezhda scrive: "Ogniqualvolta che, ad un certo punto, si presentano in una forma particolarmente intensa il terrore mortale e la pressione di problemi totalmente insolvibili, le questioni generali sulla natura dell'essere passano in secondo piano. Come possiamo restare stupiti davanti alle forze della natura e alle leggi eterne dell'esistenza, se un tipo di terrore mondano viene sentito così tangibilmente nella vita di tutti i giorni?" Nadezhda vive in gran parte nella sfera pubblica. La vita negli anni 1930 era cambiata ed aveva cambiato la gente. Anche la natura della felicità era cambiata: "Abbiamo perso la capacità di essere gioiosi spontaneamente e non ritorneremo ad esserlo mai più." Sebbene si dovette rinunciare anche alla miseria pubblica, perché lo scontento poteva implicare controrivoluzionarismo. Come fa la scrittrice Eugenia Ginzburg, Nadezhda asserisce che le donne sopravvivono meglio a lungo termine: "Gli uomini sembravano più forti e sopportarono i primi shock, ma poi il loro cuore cedette e pochi sopravvissero fino ai settant'anni." Il Terrore era riuscito nel suo intento di intimidazione generale. "Per far precipitare l'intero paese in una paura cronica il numero delle vittime deve esser fatto crescere a cifre astronomiche."<ref name="Lupi"/> Mandelstam non aveva connessioni con questa sfera pubblica, sebbene in contrasto sia interessante sapere che Babel conosceva personalmente Yezhov, capo del MKVD, e si associava ai cekisti.<ref>La ''Čeka'' (pronuncia delle due lettere ЧК, abbreviazione di чрезвычайная комиссия ''črezvyčajnaja komissija'', "Commissione straordinaria", in russo) fu un corpo di polizia politica sovietico creato da un decreto del 20 dicembre 1917 da Lenin e Feliks Edmundovič Dzeržinskij e che durò fino al 1922, per combattere i nemici del nuovo regime russo. La Čeka è stata la prima di numerosi servizi segreti operanti nello stato sovietico e antenata del ben più celebre KGB. Dopo la Čeka si realizzò il GPU, successivamente l'NKVD e, infine, il KGB, predecessore dell'attuale FSB. I membri della Čeka furono chiamati ''čekisti''. Tale termine si è radicato nella lingua russa tanto che, nonostante i numerosi cambiamenti di nome durante il tempo, è stato sempre utilizzato per indicare gli effettivi dei servizi di sicurezza per tutta la durata dello stato sovietico ed è ancora in uso nella Russia moderna.<sup>''[https[w://it.wikipedia.org/wiki/%C4%8Ceka |Cfr. Wikipedia]]''</sup></ref> Perché? Per toccare con mano la morte? "No", disse Babel, "non la voglio toccar con mano — voglio solo annusarla e sentire come odora."<ref name="Babel1">Vedi anche la [http://web.stanford.edu/~gfreidin/Publications/babel/Babel_Scribners_Freidin1990.pdf biografia di Babel], di Gregory Freidin, su ''Stanford.edu'' — per una recensione critica delle opere di Isaac Babel, cfr. ''int. al.'' Jerome Charyn, ''Savage Shorthand: The Life and Death of Isaac Babel'', Random House, 2005; Antonina N. Pirozhkova, ''At His Side: The Last Years of Issac Babel'', Steerforth Press, 1998; Gregory Freidin (cur.), ''The Enigma of Isaac Babel: Life, History, Context'', Stanford University Press, 2009; infine, Isaac Babel & Nathalie Babel Brown, ''Isaac Babel: The Lonely Years 1925-1939 : Unpublished Stories and Private Correspondence'', David R Godine (cur.), 1995. Si veda anche, per i testi, l'opera narrativa completa dello scrittore: ''L'armata a cavallo e altri racconti di Isaak Babel'', traduzioni in ital. di Franco Lucentini, Gianlorenzo Pacini e Renato Poggioli, Einaudi, 1969.</ref>
 
In tale atmosfera, la prosa, la poesia ed i suoi lettori divennero cosa speciale — la gente coinvolta era una "razza a parte". Mandelstam affermò: "I custodi della fiamma si nascondevano in angoli bui, ma la fiamma non si estingueva. È qui e tutti la possono vedere." Ma non c'era resistenza perché ognuno si sentiva distrutto, gli assassini quanto le vittime, intrappolati in un sistema che avevano aiutato a costruire. Nadezhda era una combattente come altri: sosteneva il marito, lo accompagnava, registrava la sua poesia preservandola, dibattendosi il più possibile per liberarlo e cercare la sua riabilitazione. Mandelstam morì in circostanze incerte, ufficialmente il 27 dicembre 1938 — ma non ci fu prova della morte e, in ogni caso, "una persona poteva considerarsi deceduta dal momento che veniva spedita ai campi o, in verità, dal momento del suo arresto, che veniva automaticamente seguito dalla sua condanna e verdetto di imprigionamento in un campo."<ref>Nel 1938, dopo il secondo arresto del marito e la sua morte nel campo Vtoraja Rečka situato a Vladivostok, Nadezhda cominciò a vivere da nomade, sfuggendo al suo probabile arresto e cambiando frequentemente residenza e lavoro. Riuscì a fuggire dall'Unione Sovietica, scappando da Tver', l'ex Kalinin, il giorno prima che vi arrivassero agenti del NKVD. Decise allora di vivere esclusivamente per conservare e pubblicare le opere poetiche scritte dal marito. Si organizzò in modo da conservarle nella propria memoria, perché non aveva fiducia nella carta. Dopo la morte di Stalin, nel 1956, completò la sua tesi e nel 1958 le fu permesso di tornare a Mosca. Nelle sue memorie, pubblicate prima in occidente, si trova un'analisi epica della sua vita e la critica profonda del degrado morale dell'Unione Sovietica dopo gli anni venti. Nel 1979 diede i suoi archivi all'Università di Princeton. Morì a Mosca nel 1980 all'età di 81 anni.<sup>''[https[w://it.wikipedia.org/wiki/Nade%C5%BEda_Jakovlevna_Mandel%27%C5%A1tam |Cfr. Wikipedia]]''</sup></ref>
 
Nel suo successivo e più lungo volume, ''Speranza abbandonata'', Nadezhda aspira ad una maggiore visione della situazione, oltre la biografia specifica. Nota la prevalenza di ebrei tra la nuova ''intelligencija'': "Da dove vengono tutti questi ebrei, dopo tutti i pogrom e le camere a gas...? Il fatto è che la risorgente intelligentsia del presente consiste di ebrei e mezzi ebrei — sebbene spesso provengano da famiglie tristemente positiviste dove i genitori continuano a spiattellare le solite frottole ossificate. Molti dei giovani sono inoltre diventati cristiani, o la pensano religiosamente."<ref name="Lupi"/> Nadezhda desidera un rigetto della tirannia, del positivismo e materialismo. E anche lei si può ora definire ebrea nella sua abilità di far fronte a tutte le avversie, nonostante la "speranza abbandonata". Appartiene "ad una tribù misteriosa che persiste nonostante tutte le leggi della storia e della logica." È membro di questo gruppo vivente e sofferente, con ciascuno che soffre doppiamente: il destino del suo popolo e anche "la sfortuna di coloro sul cui territorio hanno piantato le tende." I suoi libri sono una testimonianza di tale persistente successo nel sopravvivere alle avversità.<ref name="Russian"/>
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[[File:Isaac Babel 1908.jpg|thumb|150px|Isaac Babel nel 1908]]
La carriera di '''Isaac Babel''' (1894-1941),<ref name="Babel1"/> come quella di tanti altri scrittori sovietici, fu ambivalente. Originario di Odessa, centro di tante sue storie, si stabilì a San Pietroburgo nel 1915. In seguito combattè dalla parte dei Rossi nella guerra civile in Polonia orientale, insieme alla cavalleria cosacca — esperienza che forma le fondamenta della sua raccolta di racconti ''L'armata a cavallo'' (titolo originale: ''La cavalleria rossa''), pubblicata nel 1926.<ref name="Armata"/> Pubblicò inoltre ''I Racconti di Odessa''<ref name="Odessa1">''I Racconti di Odessa'' (in russo: Одесские рассказы), conosciuti in italiano anche col titolo di ''Storie di Odessa'' o ''Odessa'', sono un ciclo di sei racconti, scritti da Isaak Ėmmanuilovič Babel' tra il 1923 e il 1932, nei quali prendono vita le gesta dei banditi che hanno popolato, nel primo ventennio del Novecento, i sobborghi di Odessa, e in particolare il quartiere ebraico della Moldavanka.<sup>''[https[w://it.wikipedia.org/wiki/Racconti_di_Odessa |Cfr. Wikipedia]]''</sup></ref> nel 1932, dopo la dissoluzione del RAPP, l'Associazione che richiedeva una coscienza proletaria nella letteratura. Scrisse anche due drammi e alcuni altri racconti. Riconobbe come la sua produzione fosse alquanto limitata e, al Congresso del 1934, parlò della pratica del silenzio.<ref name="Silenzio"/> Arrestato nel 1939, Babel scomparve dalla circolazione. Pubblicamente, appariva simpatizzante del regime, o perlomeno acquiescente, e affermava la sua lealtà. Tuttavia, come tutti gli altri, si preoccupava della propria sopravvivenza. L'ironia della sua percezione viene sentita più per implicazione che per enunciazione diretta.<ref name="Charyn">Jerome Charyn, ''Savage Shorthand: The Life and Death of Isaac Babel'', Random House, 2005, Introd.</ref>
 
Anche la sua rappresentazione dell'ebreo è biforcata. C'è l'ebreo di Odessa e l'ebreo di Polonia. Il primo viene caratterizzato dal gangster Benya Kirk, il duro della Moldavanka, e l'altro è un tipo servile, debole, barbuto e occhialuto. Ma chi è il narratore stesso? Anche Babel è occhialuto, erudito e, secondo lui, distorto. In "Risveglio", scrive autobiograficamente e confessa: "Come fu lenta la mia acquisizione delle cose che bisogna sapere! Nella mia gioventù, incatenato alla ''Gemara'',<ref>''Gemara'' (o ''Ghemara'', lingua ebraica: גמרא "studiare"; pronuncia ashkenazita: ''Ghmora''), è la parte del Talmud contenente i commentari rabbinici e le discussioni sorte sull'interpretazione della ''Mishnah''.</ref> avevo condotto una vita da saggio. Quando fui cresciuto, iniziai ad arrampicarmi sugli alberi."<ref name="Babel1"/> Il normale, salutare progresso da bambino ad adulto viene per lui invertito, come per l'archetipico ebreo che incontra nuovamemte in Polonia. In questo racconto si è descritto esplicitamente — ma il narratore emerge implicitamente attraverso le descrizioni sincopate del campo di battaglia. La sua ambizione maggiore è di essere accettato dai compagni, e quindi rigetta la sua natura ereditata e le evidenti caratteristiche. Non vuole far parte della raffigurazione tipica dell'ebreo occhialuto ed intellettuale che si porta sulla spalle ataviche: aspira invece alla fisicità del soldato cosacco. Si allontana quindi dagli ebrei che incontra, e ne parla coem se fossero strani, assolutamente non collegati a lui, una razza esotica a lui estranea.Quando deve condividere il dormitorio con ebrei, scrive: "Nella stanza che mi venne assegnata, scoprii armadi scompigliati, pezzi di pelliccia da donna buttati sul pavimento, frammenti di posate misteriose usate dagli ebrei solo una volta all'anno, a Pasqua." Poi esalta le virtù della spietatezza ed esclama: "ovunque c'era slealtà e masse di sporchi giudei come durante il vecchio regime" (cfr. "Passando in Polonia"). Queste non sono le osservazioni di un ebreo, nemmeno di un ebreo secolarizzato — sono piuttosto le affermazioni di un estraneo, implacabilmente superiore. È forse questa la maschera dell'autore come narratore? Dopo tutto, è pur vero che aspira alla posizione di cosacco, quindi perché non adottare la prospettiva ed il linguaggio del guerriero cosacco?<ref name="Charyn"/>
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[[File:Ilf Petrov.jpg|thumb|Ilf sulla sinistra, in compagnia di Evgenij Petrov]]
C'è quindi da esser grati che, nonostante tutto, siano sopravvissuti e siano stati pubblicati così tanti scritti e di così grande qualità. Il contributo ebraico è evidente, per quanto sempre frenato, a volte represso, inaspettatamente accetto per brevi periodi, e ambivalentemente problematico. Una delle grandi opere di umorismo sovietico, ''Le dodici sedie'' (1928),<ref>Traduzione italiana: Il'ja Arnol'dovič Il'f, Evgenij Petrovič Petrov, ''Le dodici sedie'', Rizzoli Editore (BUR) 1993.</ref> fu scritto da un ebreo, '''Ilya Ilf''' (1897-1937) in collaborazione con Evgenij Petrov (1903–1942). Anche Ilf originò da quel centro di risorse della cultura ebraica che era Odessa, ed introduce un'abbondanza di folklore ebraico nel suo racconto del giovane astuto e giramondo Ostap Bender. Bender afferma: "Nessuno ci ama, ad eccezione del Dipartimento Investigativo Criminale, che pure non ci ama." E scrive un necrologio immaginario per se stesso: "Ha amato e sofferto. Amava il denaro e soffriva per la sua mancanza." Lo humour è grottesco, mentre la trama si sviluppa in modi imprevisti verso direzioni essenzialmente improbabili. Nel 1927 in Russia l'umile impiegato Ippolit Vorob'janinov, proveniente dalla cittadina di provincia di Stargorod, viene a scoprire che l'anziana suocera ha lasciato in punto di morte un'enorme eredità. Si tratta di un'enorme quantità di diamanti seppelliti nell'imbottitura ricoperta di raso di un antico servizio di dodici sedie da salotto. Ippolit vorrebbe sapere qual è la sedia giusta, ma la donna morendo ha portato il segreto con sé nella tomba. Come se non bastasse alcune sedie vengono pignorate dalla polizia e essendo antiche e di grande valore vengono esposte in un famoso museo di Mosca. Sulle tracce delle dodici sedie si mette anche il prete ortodosso Padre Fёdor, un uomo eccentrico, gaudente ed estremamente attaccato al denaro, che aveva saputo dei diamanti attraverso la confessione della proprietaria. Dopo un primo scontro tra Padre Fёdor ed Ippolit, da cui escono entrambi malconci e con una sedia rotta, ma senza i diamanti, Vorob'janinov si mette in affari con il giovane astuto e giramondo Ostap Bender, per ricercare le sedie al museo. Ve ne sono almeno sette e i due compari le distruggono tutte, sperando di trovare la refurtiva nelle imbottiture dei cuscini, ma niente. E intanto Padre Fёdor si trova sempre sulle loro tracce, per poi mettersi da solo alla ricerca delle sedie restanti, giungendo in case di nobili e venendo preso a calci da contadini. Nella ricerca delle altre sedie, i pasticcioni Ippolit e Ostap arrivano persino a corrompere giudici, archivisti e a finire in una compagnia teatrale inglese in tournée, finendo sempre nei pasticci e non trovando mai quel che cercano. Alla fine, mentre Padre Fёdor si ritira dalla ricerca dopo aver cercato addirittura di ammazzarsi per il fallimento, i due protagonisti si avviano alla ricerca dei diamanti sempre più a fondo nella sconfinata Russia, sopportando fatica e freddo dell'inverno. Alla fine, superate persino le pendici del Caucaso, Ostap e Ippolit giungono in un'umile pensione di Mosca per ristorarsi. Lì Ippolit, sfinito e disgustato dai continui comandi e rimproveri di Ostap e desideroso di non spartire con lui il bottino, gli taglia la gola con un rasoio. Nel nuovo Club per gli addetti ferroviari della città Vorob'janinov scopre quindi l'ultima sedia del famoso servizio della suocera. La sonda, ma non trova nulla, finché il guardiano non rivela a Ippolit che mesi prima gli era capitato di distruggere senza volerlo una sedia uguale, trovando i diamanti e i gioielli. Usò questi ultimi per sostenere la costruzione del nuovo Club. Sfinito e in preda alla povertà, a Ippolit non resta che guadagnarsi da vivere mendicando e fingendo, in maniera buffa, di avere attacchi epilettici.<ref>[https[w://it.wikipedia.org/wiki/Le_dodici_sedie |Cfr. Wikipedia ''s.v.'' ''"Le dodici sedie"''.]]</ref> Nell'immediata euforia poststalinista del "disgelo" (termine coniato da Ehreburg), quest'opera venne ristampata in un'edizione di 200000 copie.<ref>Si veda [http://lib.ru/ILFPETROV/ilf_petrov_12_chairs_engl.txt testo e commento alla trad. inglese], su ''Lib.RU''</ref> La storia è stata più volte trasposta in film, dai registi Monty Banks (1936), Nicolas Gessner (1969), Mel Brooks (1970), Leonid Gaidai (1971), Carlo Mazzacurati (2014) ed altri ancora.<ref>Nella Germania nazista, il film ''Dreizehn Stühle (13 sedie)'' del 1938 si basava su questo romanzo, tuttavia i rispettivi autori rimanevano anonimi, probabilmente perché Ilf era di origine ebrea.</ref>