Abulafia e i segreti della Torah/Studi e insegnamento 3: differenze tra le versioni

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= STUDI E INSEGNAMENTO =
[[File:Abu Nasr al-Farabi (head).png|right|thumb|240px|<small>[[w:Al-Farabi|Abū Naṣr Al-Fārābī]]</small>]]
[[File:Avicenne - Avicenna - Ibn Sina (980-1037) CIPB2067.jpg|right|thumb|240px|<small>[[w:Avicenna|Avicenna]]</small>]]
[[File:Andrea di bonaiuto, apotesosi di san tommaso d'aquino, 11 averroè.jpg|right|thumb|240px|<small>[[w:Averroè|Averroè]]</small>]]
== Abulafia: Al-Fārābī, Avicenna e Averroè ==
Il libro di Maimonide è senza dubbio la fonte filosofica più influente sul pensiero di Abulafia, un'affermazione che non può essere pronunciata su nessun altro cabalista del XIII secolo, sia dal punto di vista del numero di citazioni esplicite sia dall'uso del quadro speculativo di [[Maimonide]] e quello della paternità di Abulafia di tre commentari al libro di quest'ultimo. Tuttavia, per quanto importante fosse la ''[[Guida dei perplessi|Guida]'', non fu l'unico trattato filosofico studiato da Abulafia. Come confessò nel suddetto brano autobiografico, prima di studiare la ''Guida'' di Maimonide, aveva già studiato filosofia "giorno e notte", molto probabilmente con Rabbi Hillel di Verona, anche se allo stesso affermasse di aver fatto solo "poco" studio in questo campo.
 
Altrove, egli cita i titoli dei libri che studiò insieme alla ''Guida'', come si vede in due citazioni ''supra''. Nella sua ultima opera, Abulafia fa riferimento al neoplatonico ''Liber de Causis'' – un epitome medievale degli ''Elementi di teologia'' di Proclo, uno dei cui paragrafi cita a nome di Platone – chiamandolo come ''Sefer ha-ʿAṣamim ha-ʿElyonim'', una versione che non si trova in nessuna delle altre tre traduzioni ebraiche esistenti di questo trattato che furono create durante la sua generazione.<ref>Si veda ''Imrei Šefer'', 193-94, e Moshe Idel, "The Magical and Neoplatonic Interpretations of Kabbalah in the Renaissance", in ''Jewish Thought in the Sixteenth Century'', cur. Bernard D. Cooperman (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1983):216-17, 220-23; Idel, "Jewish Kabbalah and Platonism in the Middle Ages and Renaissance", 332-33. Sulla presenza di brani di una traduzione ebraica del ''Sefer ha-Sibbot'' insieme a brani del ''Sitrei Torah'' e di ''Or ha-Śekhel'' di Abulafia in alcuni manoscritti, elaborerò altrove. È interessante notare che la traduzione ebraica utilizzata da Abulafia differisce da quella che il suo ex maestro, Rabbi Hillel di Verona, tradusse dal latino nell'Italia settentrionale durante lo stesso periodo, nonché da quella di Rabbi Zeraḥyah ben Sheʾaltiel Ḥen. Abulafia conosceva anche il ''Tiqqun Middot ha-Nefeš'' di Solomon ibn Gabirol, ma questo non è uno scritto particolarmente filosofico.</ref> È ovvio dal contesto della citazione che Abulafia aveva esaminato l'intero libro, che descrive brevemente.
 
Nell'interesse delle nostre discussioni alle Parti III e IV, è necessario ora discutere il ricorso di Abulafia ad altri libri filosofici che coltivavano una forma di esoterismo simile a quello di Maimonide. I libri di [[w:Al-Farabi|Abū Naṣr Al-Fārābī]], [[w:Avicenna|Avicenna]] e [[w:Averroè|Averroè]] furono probabilmente influenti sul suo esoterismo.<ref>Cfr. James T. Robinson, "Al-Fārābī, Avicenna, and Averroes in Hebrew: Remarks on the Indirect Transmission of Arabic-Islamic Philosophy in Medieval Judaism", in ''The Muslim, Christian, and Jewish Heritage: Philosophical and Theological Explorations in the Abrahamic Traditions'', curr. Irfan Omar e Richard Taylor (Milwaukee: Marquette University Press, 2012):59–87.</ref> Al-Fārābī è citato come l'autore di un libro intitolato ''al-Siyāsah al-Madaniyyah'', tradotto in ebraico dal rabbino Moses ibn Tibbon con il titolo ''Hatḥalot ha-Nimṣaʾot (I Princìpi dell'Esistente)'' sia nel ''Sitrei Torah'' che in ''Ḥayyei ha-Nefeš'' di Abulafia, che sono entrambi commentari sui segreti di Maimonide.<ref>Per un'analisi particolareggiata di questa citazione, si veda Idel, ''Ben'', 279–84, 352–53, nota 70; cfr. anche ''id.'', "Abraham Abulafia’s Works and Doctrine", 11. Questo libro era anche conosciuto da Rabbi Hillel di Verona. Si veda anche Schwartz, "Magic, Philosophy and Kabbalah", 111, nota 47.</ref>
 
Tuttavia, tracce di questo libro possono essere individuate ancora nel 1289 nel suo commentario al Pentateuco.<ref>Si veda ''Mafteaḥ ha-Šemot'', 26, e ''Mafteaḥ ha-Sefirot'', cur. Gross (Gerusalemme: 2001), 33, dove il termine "lo spirito fedele" (הרוח הנאמן) quale designazione dell'Ibtelletto Agente si trova esattamente come nella traduzione ebraica del libro di Al-Fārābī. Cfr. anche ibn Kaspi, ''Menorat Kesef'', 81.</ref> Pertinente ad Abulafia è il fatto che, secondo una testimonianza, Al-Fārābī cambiò idea sulla possibilità della congiunzione drammatica dell'intelletto umano con l'Intelletto Agente. Questo sembra essere il caso anche del pensiero di Averroè, sebbene in una direzione diversa. Questi cambiamenti non sono registrati nelle discussioni di Abulafia, sebbene Hillel ne conoscesse meglio alcuni.
 
[[File:Salomon Munk cropped.jpg|240px|thumb|right|<small>[[:en:w:Salomon Munk|Solomon Munk]] (c.1850)</small>]]
L'influenza di Averroè su Abulafia dovrebbe quindi essere riconsiderata.<ref>Per i differenti riferimenti alle opinioni di Averroè che non citano il suo nome nel contesto del pensiero di Abulafia, si veda Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 60; ''Id.'', ''Language, Torah, and Hermeneutics'', 12, 13, 75, 81, 145, 183, 187; ''Id.'', ''Studies in Ecstatic Kabbalah'', 3, 5, 7, 17, 23, 68, 118, 153; ''Id.'', ''The Mystical Experience'', 70, 74–75, 126, 138, 146, 172; ''Id.'', "Abulafia’s Secrets of the Guide", 308; infine ''Id.'', ''Kabbalah in Italy'', 142–43, 331. Per quanto ne so, la proposta di interpretare Abulafia in un contesto averroista non ha attirato la dovuta attenzione degli studiosi nella recente ricerca, che guarda principalmente in direzioni diverse per comprendere il suo pensiero. Cfr. tuttavia Yossef Schwartz, ''"To Thee Is Silence Praise": Meister Eckhart’s Reading in Maimonides’s Guide of the Perplexed'' {{he}} (Tel Aviv: Am Oved, 2002), 163–64, nota 256.</ref> Come è stato sottolineato da [[:en:w:Salomon Munk|Solomon Munk]] più di un secolo e mezzo fa, gli scritti di Averroè furono conservati da pensatori e traduttori ebrei in Europa, che contribuirono notevolmente alla loro sopravvivenza.<ref>Si veda il suo importante studio, ''Mélanges de philosophie juive et arabe'' (Parigi: Vrin, 1927), 418–58.</ref> Sembra che la sua diagnosi non sia cambiata nella cultura delle generazioni a lui successive, e propongo che Abulafia debba essere visto anche come certamente influenzato dal filosofo cordovano. Particolarmente importante per la nostra discussione qui è il fatto che alcuni degli scritti di Averroè furono tradotti in ebraico e in latino nella generazione precedente ai decenni in cui Abulafia iniziò i suoi studi di filosofia. Ciò avvenne nelle immediate vicinanze geografiche di Capua (Napoli) negli scritti di Rabbi [[w:Jacob Anatoli|Jacob Anatoli]], [[w:Michele Scoto|Michele Scoto]], [[w:Ermanno Alemanno|Ermanno Alemanno]] e alcuni altri.<ref>Si veda Mauro Zonta, ''La filosofia antica nel Medioevo ebraico'' (Brescia: Paideia, 1996), 73–74, 76–78, 143, 182–84, 245–46, 258; Charles Burnett, "The ‘Sons of Averroes with the Emperor Frederick’ and the Transmission of the Philosophical Works of ibn Rushd", in ''Averroes and the Aristotelian Tradition: Sources, Constitution and Reception of the Philosophy of Ibn Rushd'' (1126–1198), curr. Gerhard Endress e Jan A. Aertsen (Leiden: Brill, 1999):259–99; e Giuseppe Sermoneta, "Federico II e il pensiero ebraico nell’Italia del suo tempo", in ''Frederico II e l’arte del Duecento italiano'', cur. Angiola M. Romanini (Galatina: Congedo Editore, 1980), 2:183–97. Cfr. anche Robinson, "Secondary Forms of Transmission", 195–201, e l'introduzione di Luciana Pepi al testo ebraico e traduz. italiana del libro di Anatoli, in Anatoli Ja‘aqov, ''Il Pungolo dei discepoli'', trad. Luciana Pepi (Palermo: Officina di Studi Medievali—Fondazione Federico II, 2004), 1:3–42.</ref> Inoltre, diversi membri della [[w:Ibn Tibbon|famiglia Tibbon]], oltre ad Anatoli e suo figlio Anatolio, vissero a Capua per un periodo di tempo significativo: lo stesso Moses ibn Tibbon; suo figlio, Samuel (nipote del traduttore Samuel ibn Tibbon); e alcuni cugini di Samuele.
 
Un brano piuttosto lungo della traduzione ebraica di Rabbi Jacob Anatoli del commentario di Averroè al ''De interpretatione'' di Aristotele, è citato nell'epistola ''Ševaʿ Netivot ha-Torah'' di Abulafia, dove sono menzionati i nomi di Aristotele, Averroè e il traduttore ebreo.²²⁸ Inoltre, è più che plausibile che un altro passo della stessa epistola, dove Abulafia enumera le diverse parti dell’''Organon'' di Aristotele, indichi che i suoi studi in questo campo dipendevano dalle traduzioni ebraiche da parte di Anatoli dei commenti di Averroè a questi trattati.²²⁹ Come afferma Abulafia, li studiò attentamente oppure, come dice lui in ebraico, ''be-ʿIyyun''.
 
 
<!--- mie note ingl. da inserire tradotte --
228 See “Ševaʿ Netivot ha-Torah,” 14. For a translation and analysis of this passage, see Idel, Language,
Torah, and Hermeneutics, 12–13. Abulafia quotes a passage found in the Hebrew translation
preserved in Ms. Oxford, Bodleian 1356, fol. 59b.
229 “Ševaʿ Netivot ha-Torah,” 14. For the issue of Anatoli’s translations of this philosophical literature,
see Shalom Rosenberg, “Logic and Ontology in Jewish Philosophy in the 14th Century” [Hebrew]
(PhD diss., Hebrew University, 1973), 8–10. Abulafia refers to the Book of Logic—a term he sometimes
uses for all eight books of the Organon—in his Sitrei Torah, 73, where he also mentions “many
other books.” For the medieval transmission of the Organon in more general terms, see the studies
collected in Logik und Theologie: Das Organon im arabischen und lateinischen Mittelalter, eds. Dominik
Perler and Ulrich Rudolph (Leiden: Brill, 2005).
230 Oṣar ʿEden Ganuz, 3:1, 302–3, 3:1, 305.
231 Imrei Šefer, 128–29.
232 On the impact of this book on Rabbi Nathan ben Saʿadyah, see Le Porte della Giustizia, 470.
233 See Sitrei Torah, 160.
234 Oṣar ʿEden Ganuz, 3:5, 321, and Imrei Šefer, 156.
235 See Averroes’ Middle Commentary on Porphyry’s Isagoge and on Aristotle’s Categories, ed. Herbert
A. Davidson (Cambridge, MA: Medieval Academy of America, 1969); Rosenberg, “Logic and Ontology,”
140–43; and Zonta, La filosofia antica nel Medioevo ebraico, 73–74.
236 See Sefer Geʾulah, 37; “Ševaʿ Netivot ha-Torah,” 14–15; and Imrei Šefer, 156.
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