La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo: differenze tra le versioni

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È facile capire perché la scrittura di Miller immediatamente prima della seconda guerra mondiale e durante essa, abbia suscitato tale negatività. Ho già esaminato l'attacco di George Orwell al pacifismo e alla mancanza di impegno politico di Miller in "Inside The Whale" (1940) nel [[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]], tuttavia è importante riconoscere quanto Miller fosse fuori passo con i suoi amici intimi; sia Lawrence Durrell che Alfred Perles si unirono all'esercito britannico e trovarono incomprensibili le credenze Zen di Miller in quel momento.<ref>Sebbene Miller fosse indubbiamente fuori passo sia con i suoi amici che con l'opinione pubblica, altri scrittori sostennero il pacifismo durante la guerra per una serie di ragioni. Huxley e Isherwood si rifiutarono di combattere e così facendo rimasero fedeli alle loro convinzioni buddhiste/vedanta, allo stesso modo Vera Brittain, John Middleton Murry e W.H.Auden aderirono alle loro convinzioni pacifiste cristiane, con i primi due membri impegnati della ''Peace Pledge Union''. Altri notevoli pacifisti, Leonard Woolf, Bertrand Russell e A. A. Milne, ritenevano che l'unica risposta realistica al nazismo fosse la guerra. Si veda: Piette, A. e Rowlinson, M. (2012) ''The Edinburgh Companion to British and American War Literature''. Edinburgh University Press, Edinburgh.</ref> Nel 1941, la visione della guerra di Miller fu profondamente influenzata dal buddhismo Zen e altrettanto profondamente influenzata dalle idee alternative di Howe:
{{q|...evading our real problems from day to day we have produced a schism, on the one side of which is the illusory life of comfortable security and painlessness, and on the other disease, catastrophe, war and so forth. We are going through Hell now, but it would be excellent if it really was hell, and if we really went through with it... Those who are trying to put the onus of responsibility for the dangers which threaten on the shoulders of the “dictators” might well examine their own hearts and see whether their allegiance is really “free” or a mere attachment to some other form of authority...|Miller, 1941, p. 263}}
Ciò che Miller sta sostenendo qui è che la guerra è una realtà creata dall'uomo basata sull'incapacità dell'umanità di accettare la sofferenza come parte della vita. Il nostro bisogno di negare la sofferenza porta a una visione binaria della vita — decisioni semplicistiche che rifiutano il tutto. Quando Miller discute dell'inferno e del suo desiderio che lo stessimo realmente attraversando, utilizza sia la visione di Howe della guerra come risultato fabbricato di scelte artificiali, sia l'idea buddhista Zen di un ritorno al nulla. Miller vuole ricominciare da capo con una ''tabula rasa'' e solo la completa distruzione della civiltà può raggiungere tale obiettivo. Miller si rende conto che la seconda guerra mondiale non porterà a nessun cambiamento o evoluzione fondamentale per l'umanità, ma la vede piuttosto come rappresentazione della "danza di guerra" di Howe e un rito di passaggio capitalista.
 
[[File:China (Chinese characters).svg|thumb|150px|right|''"Cina"'' in [[w:caratteri cinesi semplificati|caratteri cinesi semplificati]] (sopra) e [[w:caratteri cinesi tradizionali|tradizionali]] (sotto)]]
Questa idea di ricominciare da capo con una ''tabula rasa'' è qualcosa con cui Miller giocò nel suo concetto di ''Cina''. Per Miller, la ''Cina'' non è un paese o un luogo geografico, ma piuttosto uno stato d'animo, o più precisamente, uno stato dell'essere. Gli studiosi di Miller sono da tempo in disaccordo su come la ''Cina'' dovrebbe essere intesa all'interno dei suoi scritti, ma ciò su cui si è d'accordo è quanto sia utile interpretare ciò a cui Miller stava cercando di arrivare in alcuni dei suoi brani più filosofici e contorti. La ''Cina'' è spesso interpretata come un mezzo con cui avanzare un'ipotesi esistente, piuttosto che come una filosofia, finanche una destinazione spirituale di per sé. In ''A Self-Made Surrealist: Ideology and Aesthetics in the Work of Henry Miller'' (2000) di Caroline Blinder, la ''Cina'' è vista attraverso il prisma di una narrativa surrealista complessiva; come uno strumento che Miller usa per giocare con le forme della realtà. Per Katy Masuga nel suo articolo "Henry Miller, Deleuze and the Metaphor of China" (2009) la ''Cina'' può essere vista come rizomatica in quanto si basa su "connection and heterogenity", quindi "any point of a rhizome can be connected to anything other, and must be" (Deleuze e Guattari, 2003, p. 7), in linea con l'inclusione di Miller in ''A Thousand Plateaus: Capitalism and Schizophrenia'' (1980) di [[w:Gilles Deleuze|Deleuze]] e [[w:Félix Guattari|Guattari]]. James M. Decker vede elementi della ''Cina'' come una destinazione, anche se si ferma di colpo vedendola come una destinazione puramente in relazione alla libertà artistica in ''Henry Miller and the Narrative Form: Constructing the Self, Rejecting Modernity'' (2005). È più interessato a cooptarlo nella sua teoria della forma a spirale; una teoria che comprende lo stile narrativo radicale di Miller in relazione allo sviluppo del tempo. Forse l'esame più approfondito di ''Cina'' appare in ''Henry Miller: The Inhuman Artist'' (2013) di Indrek Manniste, un libro che considera le basi filosofiche di Miller principalmente contestualizzando il suo lavoro attraverso i tropi tematici modernisti chiave della decadenza della civiltà occidentale, della tecnologia e del ruolo dell'artista; interpretato principalmente attraverso l'influenza di Nietzsche e Spengler, mentre lo inquadra come uno scrittore modernista nella grande tradizione. L'ipotesi di Manniste ruota attorno ai concetti del presente tradizionale e del presente completo. Sono concetti che abbiamo già preso in considerazione nel [[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson|Capitolo 2]] con Bergson, in quanto legati al tempo e all'artista. In breve, il presente tradizionale è tempo lineare, storico; tempo che è confezionato e concettualizzato per noi. Il presente completo ricorda "Durata" e "Intuizione" di Bergson in quanto richiede all'artista di rompere con le nozioni convenzionali di tempo e comprendere la differenza tra tempo e temporalità, per abbracciare l'ora/adesso. Per Manniste ''Cina'' è la manifestazione intellettuale della volontà di Miller di creare uno spazio per gli artisti. Sì, riconosce Miller come un [[w:sinologia|sinofilo]] impegnato, ma è soprattutto il rifiuto di Miller della civiltà occidentale in tutte le sue manifestazioni e la sua convinzione della ''Cina'' "as the ultimate realm to which art or artistic activities should lead..." (Manniste, 2013, p. 95). Quindi prosegue riconoscendo che l'arte e la ''Cina'' non sono il fine in se stesse poiché la creazione dell'arte è solo il mezzo attraverso il quale l'artista si libera del passato e tocca l'autenticità, una teoria che ricorda molto la rinascita artistica di Rank — l'obiettivo è la vita:
{{q|Art... is only a preparation, an initiation into the way of life. The goal is liberation, freedom... To continue writing beyond the point of self-realization seems futile and arresting. The mastery of any form of expression should lead inevitably to the final expression — mastery of life.|Miller, 1941, p. 209}}