La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo: differenze tra le versioni

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{{q|Confronted with the naked horror of the world as one knows it today, I relive the anguish, the melancholy, the despair which I knew as a young man... Viewing the world as would a visitor from another planet, I have become involved once again in the throes of universal torment. As a young man, brash, impulsive, ridden with ideals, I came close to being annihilated by the sorrow and misery which surrounded me on all sides. To do something for my fellow man, to help deliver him, became my personal affair. Like every fanatical idealist, I ended up making my own life so
miserable and complicated that soon all my time, all my efforts, all my ingenuity, were consumed in the mere struggle to survive. Though speedily disillusioned as to my own powers, I never became indifferent to the plight of those about me. It did appear to me, however, that something like a stubborn refusal to be aided was inherent in man’s nature. In the process of saving my own skin I gained a little wisdom, a greater sense of reality, and a compassion which stilled the senseless conflicts that had ravaged me.|Miller, 1962, p. 17}}
Miller acquisisce un senso di armonia solo quando smette di combattere contro la sofferenza che sperimenta personalmente e vede intorno a sé. Lascia andare l'illusione di poter fare una qualche differenza, e con questo rifiuto dell'ego trova la pace. Etichetta coloro che agiscono come "fanatical idealists" (Miller, 1962, p. 17) e vede solo la perpetuazione della sofferenza in azione. "Children of the Earth" può essere considerato come una serie di esperienze e osservazioni della vita di Miller che servono a illustrare il suo viaggio attraverso le Quattro Nobili Verità.
 
Continua spiegando come la sua vita a Big Sur gli abbia dato un senso più forte di vivere una vita Zen. Lì, Miller aveva finalmente trovato una comunità in cui si sentiva a casa e accettava. Nonostante il suo forte senso dell'individualismo, Miller era una persona profondamente socievole che aveva sempre cercato individui con la stessa mentalità. Dalla sua confraternita ''Xerxes'' di Brooklyn, ai disadattati della Western Union Company, agli abitanti di Villa Seurat a Parigi, Miller aveva bisogno di essere circondato dalla stimolazione offerta dal contatto umano. Per quanto si lamentasse del costo del suo lavoro nel trattare con altre persone, sia in termini di tempo che di energie spese, cercava un senso di comunità ovunque vivesse. In "Children of the Earth" conclude il saggio descrivendo come egli viva una vita buddhista Zen in mezzo alla comunità di Big Sur: "I found myself living the life I had always desired to live, a member of a small community, seemingly isolated and apart from the world" (Miller, 1962, p. 18). Riconosce di aver sperimentato a Big Sur "the full bitterness of Hell and the delights of Paradise" (Miller, 1962, p. 18), ma è rapido a tornare a una comprensione Zen della sua vita e in particolare della pratica del distaccamento praticata all'interno di una comunità:
{{q|Living apart and at peace with myself, I came to realize more vividly the meaning of the doctrine of acceptance. To refrain from giving advice, to refrain from meddling in the affairs of others, to refrain, even though the motives be of the highest, from tampering with another’s way of life — so simple, yet so difficult for an active spirit! Hands off! Yet not to grow indifferent, or refuse aid when it is sincerely demanded. Living thus, practicing this simple way of life, strange things occurred; some might call them miraculous.|Miller, 1962, p. 18}}
Possiamo vedere che per Miller è uno sforzo vivere lo stile di vita Zen, deve resistere all'impulso di essere coinvolto nelle vite degli altri. C'è ancora in lui una parte del giovane che aveva descritto in precedenza nel saggio, l'uomo che cercava di aggiustare e cambiare ciò che lo circondava. Miller riconosce l'apparente egoismo di questo stile di vita, ma torna di nuovo ai concetti Zen per spiegare le sue scelte: "To come back to Big Sur, to my new-found freedom, my inner peace, my sense of at-homeness and at-oneness... Is it selfish of me to try to preserve it?... Can it be shared? And to whom would it have meaning, the meaning which it has assumed for me?" (Miller, 1962, p. 18). La risposta di Miller a questo, è vedere anche la domanda come una forma di ego. L'urgenza di spiegare o condividere la sua illuminazione ne nega l'essenza stessa:
{{q|And all the while an obsessive desire was shaping itself, namely, to lead the anonymous life. The significance of this urge I can explain simply — to eradicate the zealot and the preacher in myself. “Kill the Buddha!” the Zen master is known to say occasionally. Kill the futile striving, is the thought. Do not put the Buddha (or the Christ) beyond, outside yourself. Recognize him in yourself. Be that which you are, completely. Naturally, when one attains to this state of awareness, there is no need, no urge, to convert the other to one’s way of thinking.|Miller, 1962, p. 18}}
Quello che abbiamo qui in molti modi è la voce fiduciosa di Miller, un uomo che ha trovato la sua strada e ha una struttura completa attraverso la quale comprendere tutti gli aspetti della sua vita. È importante tuttavia mostrare la progressione di Miller fino a questo punto, come sia arrivato a tale coerenza per quanto riguarda il buddhismo Zen. Se osserviamo alcuni dei suoi primi scritti, possiamo vedere Miller alle prese con le nozioni di base del buddhismo Zen, senza la comprensione di vederle all'interno di tale cornice. In "Reflections On Writing", uno dei saggi che comprende ''The Wisdom of the Heart'' (1941), Miller lotta per conciliare il ruolo dell'artista con il distaccamento buddhista Zen. A volte si avverte la rabbia nelle sue parole: non si tratta del distaccamento praticato negli ultimi anni, ma piuttosto della rabbia dello scrittore disilluso e sottovalutato. Miller inizia esaminando quanto tempo abbia impiegato per trovare la propria voce autentica nella sua scrittura. Spiega come abbia copiato gli stili di scrittori che ammirava, tra cui Dostoevskij, Hamsun e Mann, e come questa imitazione lo abbia portato a non essere in grado di scrivere o funzionare — "Finally I came to a dead end, to a despair and desperation which few men have known, because there was no divorce between myself as a writer and myself as a man: to fail as a writer meant to fail as a man. And I failed" (Miller, 1941, p. 243). Continua descrivendosi come "less than nothing" (Miller, 1941, p. 243) e cominciamo davvero a percepire un certo suo godimento nell'infelicità. Nessuno sembra aver sofferto più di Miller; pochissimi avrebbbero potuto anche solo cominciare a comprendere tale infelicità. Si avverte anche un certo disprezzo per l'intera comunità letteraria. Miller deve ancora riuscire ad andare oltre la sua rabbia verso una comunità da cui sente di essere stato offeso:
{{q|We are dealing with crystalline elements of the dispensed and shattered soul... It was quite impossible for me, therefore, to think of writing novels, quite equally unthinkable to follow the various blind alleys represented by the various literary movements in England, France and America. I felt compelled, in all honesty, to take the disparate and dispersed elements of our life — the ''soul'' life, not the cultured life and manipulate them through my own personal mode...|Miller, 1941, p. 250}}
Miller si distingue dai suoi contemporanei, in particolare da quelli coinvolti in movimenti letterari, e segnala che il suo è un percorso diverso, in qualche modo più autentico. Parte dell'amarezza di Miller durante questo periodo era senza dubbio legata alle recensioni di ''Tropic of Cancer''. Si era permesso di credere che il suo romanzo sarebbe stato accolto molto più favorevolmente di quanto non lo fosse stato o più apprezzato pubblicamente. T.S. Eliot considerò il romanzo "A very remarkable book, with passages of writing as good as I have seen in a long time... a rather magnificent piece of work" (Potter, 2001, p. 86), ma rifiutò a Miller l'uso delle sue parole come pubblicità. Eliot alluse alla possibilità di pubblicare alcuni dei lavori di Miller per Faber & Faber, ma ciò sembra alquanto improbabile poiché Eliot usava il nome di Miller come sinonimo di "unprintable (impubblicabile)". Eliot riferì al consiglio di amministrazione di Faber che ''The Black Book'' (1938) di Lawrence Durrell aveva problemi di censura per oscenità semplicemente per aver citato il nome di Miller in una frase (Potter, 2011, p. 86). La recensione complessivamente positiva di Edmund Wilson è interessante in quanto Miller vi rispose direttamente in una lettera a ''The New Republic'' nel 1938 criticando quello che riteneva come il fraintendimento fondamentale di Wilson sul ruolo del narratore: "He gives us the genuine American bum come to lead the beautiful life in Paris; and he lays him away forever in his dope of Pernod and dreams" (Baxter, 1961, p.166). La rabbia di Miller sembra essere rivolta al fatto che Wilson vede ''Tropic of Cancer'' come un'opera di finzione, o come Wayne Booth vede lo scambio in ''Rhetoric of Fiction'' (1983), un esercizio nella ricerca d'ironia a tutti i costi da parte del critico moderno. Miller a questo punto ha ancora difficoltà a separarsi personalmente dal narratore e quindi immagina offese ovunque: "The theme of the book is myself, and the narrator or the hero, as your reviewer puts it, is also myself... it is me, because I have painstakingly indicated throughout the book that the hero is myself" (Cohn, 2000, p. 35). Quanto sia positiva la recensione di Wilson rimane discutibile, dopotutto scrive quanto segue:
{{q|The tone of the book is undoubtedly low; ''The Tropic of Cancer'', in fact, from the point of view both of its happenings and of the language in which they are conveyed, is the lowest book of any real literary merit that I ever remember to have read... there is a strange amenity of temper and style which bathes the whole composition even
when it is disgusting or tiresome.|Aschenbrenner, 1974, p. 485}}
L'incapacità di Miller di accettare che la natura sessuale di ''Tropic of Cancer'' avesse reso quasi impossibile pubblicarlo nella sua forma completa nel Regno Unito e in America, lo portò a sentirsi offeso dalla più ampia comunità letteraria.<ref>Miller era ben lungi dall'essere l'unico scrittore a soffrire per le rigide leggi sulla censura in questo periodo, cfr. Potter, R. (2013) ''Obscene Modernism: Literary Censorship and Experiment 1900-1940''. Oxford University Press, Oxford. Ciò che forse differenzia Miller dagli altri scrittori censurati è che egli sembra vederlo come un attacco personale piuttosto che come parte di un problema più ampio. La successiva battaglia per la pubblicazione di ''Tropic of Cancer'' in America, stranamente, ebbe poco a che fare con Miller personalmente. La lotta iniziò nel 1950 e si concluse nel 1964 con il caso "Supreme Court in Grove Press, Inc. v Gerstein". Molti scrittori ed editori combatterono per la pubblicazione dei libri di Miller, ma Miller stesso passò in secondo piano principalmente a causa del suo timore che il governo lo punisse per le sue opinioni pacifiste sulla guerra del Vietnam in corso. Per una descrizione del processo e dei relativi dibattiti, si veda: Hutchison, E.R. (1968) ''Tropic of Cancer on Trial: A Case History of Censorship''. Grove Press, New York.</ref> Miller deve aver saputo che, consentendo alla Obelisk Press di pubblicare il libro in Francia, ciò equivaleva a etichettare la sua opera come pornografica e che gli editori tradizionali si sarebbero rifiutati di essere associati al suo nome, nonostante le recensioni positive di artisti del calibro di Orwell, [[w:Ezra Pound|Pound]], Eliot e [[w:Blaise Cendrars|Cendrar]]. Questo non vuol dire che Miller abbia preso le cose alla leggera o che abbia accettato che ''Tropic of Cancer'' non fosse un successo immediato. La tormentata relazione di Miller con il proprietario di Obelisk Press, [[:en:w:Jack Kahane|Jack Kahane]], potrebbe aver contribuito ai suoi sentimenti di essere un emarginato. Kahane aveva accettato, a considerevole rischio personale, di pubblicare Miller. In precedenza aveva ceduto i diritti francesi a ''Lady Chatterley’s Lover'' (1928) per paura di essere perseguito e chiuso, ma nonostante non volesse perdere un'altra occasione di pubblicazione, offrì a Miller un misero contratto: nessun anticipo e il 10% di royalty sulle vendite.<ref>Black Manikin Press alla fine acquistò i diritti francesi per ''Lady Chatterley’s Lover''; nel 1930 erano state pubblicate tre edizioni pari a 11.000 copie e il ricavato di Lawrence fu di 90.000 franchi francesi.</ref> In ''Obelisk: A History of Jack Kahane and the Obelisk Press'' (2007), Neil Pearson esamina il tempestoso rapporto di lavoro tra Kahane e Miller, e penso che questo spieghi in qualche modo l'antagonismo di Miller verso la comunità letteraria durante questo periodo. Sebbene Miller sia sempre stato grato a Kahane per aver colto l'occasione di pubblicarlo, nel tempo arrivò a vedere Kahane come un dilettante e nel peggiore dei casi un sabotatore. Kahane dilazionò la data di pubblicazione prestabilita, alla fine pubblicando solo un terzo del manoscritto completato, e alla fine fu superato in astuzia da Anaïs Nin che accettò di offrirgli in prestito i soldi per coprire i costi di stampa; successivamente Kahane sostenne che Miller dovesse farsi una reputazione prima della pubblicazione. Kahane insistette sul fatto che Miller dovesse produrre un trattato su D.H. Lawrence per stabilire le sue credenziali intellettuali, una richiesta che Miller trovò sia offensiva che imperdonabile:
{{q|It is humiliating to me to sit in your office and be requested to write a little brochure about this man or that man in order to introduce myself. I don’t want any introduction. I wanted simply to stand up and let go – be knocked over for it or lauded for it. But not apologize, not explain myself. I can’t tell you how ignominious that felt to me.|Pearson, 2007, p. 438}}
Sebbene l'opuscolo su Lawrence non si concretizzò mai, Miller trascorse una quantità eccessiva di tempo nella rispettiva ricerca; tempo che riteneva avrebbe potuto essere utilizzato in modo più produttivo. La pubblicazione di ''Tropic of Cancer'' non fu la fine delle tribolazioni di Miller; sentiva che Kahane non stava promuovendo il libro come avrebbe dovuto e si mise a farne la pubblicità da solo. Miller inviò copie a tutti i colleghi scrittori o critici che pensava potessero essergli utili. La cosa più famosa è che ne inviò una copia a Ezra Pound a Rapallo, nonostante non lo avesse mai incontrato. Pound esclamò "At last, an unprintable book that is fit to read" (Pearson, 2007, p. 443) e lo passò prontamente al suo visitatore [[:en:w:James Laughlin|James Laughlin]], che col tempo avrebbe pubblicato Miller in America attraverso la sua casa editrice [[w:New Directions|New Directions]]. Miller stava godendo di una grande fortuna, anche se un po' per caso, ma Miller pensava solo al fatto che doveva fare quello che avrebbe dovuto fare Kahane. Miller, nella sua stessa mente, aveva sofferto così tanto per arrivare a questo punto e sentiva che non stava ottenendo le sue giuste ricompense; Kahane venne a personificare le cause dell'angoscia di Miller. Anche se Miller stava realizzando i suoi sogni, era ancora l’''outsider'' che doveva lavorare più duramente degli altri per un posto a tavola.