Storia intellettuale degli ebrei italiani/Leone Modena: differenze tra le versioni
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Dopo aver abbozzato la sua rappresentazione storica della vita di Gesù e dei suoi contemporanei, Modena tentò di spiegare le ragioni del grande successo del cristianesimo, religione priva, a suo avviso, di una vera coerenza interna. Qui Modena divenne uno storico delle mentalità religiose.
[[File:Leon of Modena 2.jpg|thumb|
{{q|'''Non è sorprendente che le Nazioni, chiamate Gentili, abbiano accettato la fede cristiana con il passare del tempo. Perché l'idea fondamentale da cui dipende tutto il resto, che lo Spirito Santo sia entrato in un grembo vergine e abbia generato un dio, non aveva per loro nulla di nuovo o di difficile (''raḥoq''). Credevano già che Apollo, Marte e gli altri dei desiderassero e avessero bisogno di donne mortali, che generassero i figli degli dei e degli uomini e che potessero subire una morte violenta. Le differenze di quantità e di metodo nei legami tra l'umano e il divino non erano un ostacolo alla loro fede, tanto più che la nuova religione era attraversata da alcune verità della Torah, che mitigavano le assurdità delle loro divinità. Col tempo si intensificò la propaganda cristiana verso i Gentili; inventando e alterando continuamente elementi del loro credo si allontanarono gradualmente sia dalla fede ebraica che dalle intenzioni di Gesù, arrivando ad assomigliare sempre più ai pagani. Riuscirono finalmente ad imporre la loro religione sotto l'imperatore Costantino. Quanto ai Figli d'Israele, il popolo vicino al Dio benedetto, nel quale Egli e Mosè, Suo fedele servitore, avevano inculcato la comprensione che Dio è assolutamente incorporeo, essendo molto al di sopra di ogni bassezza terrena, nessun martello o ascia o strumento ferreo poteva far loro accettare tali assurdità: che Dio fosse entrato nel grembo di una donna, vergine o meno, e nacque da lei come ogni creatura vile ed effimera, insomma come un uomo comune. Sia lodato e glorificato il Suo nome, poiché Egli ci ha dato comprensione, intelligenza e sapienza; possa il suo Santo Nome, che Egli sia benedetto, essere esaltato, magnificato e lodato'''.|''Magen'', 63.}}
In questo brano straordinario, in cui Modena cerca di spiegare il motivo per cui il cristianesimo è penetrato tra i pagani, va annotata la sua spiegazione di come il messaggio di Gesù sia assimilato a quello degli ebrei, da cui il cristianesimo si è allontanato; l'insistenza ebraica sulla natura incorporea di Dio, affermata orgogliosamente di fronte alla violenza e alla tortura (frase che avrebbe potuto essere pronunciata da un cripto-ebreo iberico o da un cristiano eretico); e infine la sua definizione del popolo ebraico come "popolo di Dio", poiché dotato di intelligenza e, si potrebbe aggiungere, di razionalità.
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La natura relativamente secondaria della fede messianica era già stata espressa da [[w:Hasdai Crescas|Ḥasday Crescas]] (''[[w:Or Adonai|Or Adonai]]'', 3, 8, 3) e [[:en:w:Joseph Albo|Yosef Albo]] (''[[:en:w:Sefer HaIkkarim|Sefer ha-‘Iqqarym]]'', 4, 42); secondo loro, chi non accettava questa credenza infrangeva un comandamento ed era considerato un eretico, ma non metteva in dubbio la Torah in generale. Modena, invece, enfatizzava quello che potremmo definire un concetto "antropologico". Per lui, il popolo ebraico era definito da un dato comportamento e le credenze erano in un certo senso forme di comportamento. In altre parole, la religione rappresentava la cultura di un popolo, e credere ai precetti di un'altra religione non pregiudicava in alcun modo quello che potremmo chiamare un senso di identità "nazionale". Nello stesso spirito potrebbe essere intesa la ''Historia de riti ebraici'',<ref>Composta nel 1616-17 e pubblicata per la prima volta nel 1638 a Venezia.</ref> poiché lo scopo di quest'opera, scritta in italiano e che godette di notevole popolarità tra i lettori cristiani di tutta Europa, era di diffondere tra i non-ebrei la comprensione delle pratiche degli ebrei, soddisfacendo una curiosità più etnografica che teologico-religiosa in senso stretto. La correlazione popolo-credenza, che funziona solo in questa direzione (secondo questa prospettiva, le credenze scaturiscono dall'appartenenza a un popolo, mentre è falso il contrario – identità nazionale che nasce da una credenza) sembrerebbe corroborata dall'affermazione che segue in ''Magen we-ḥerev'':
{{q|Dico spesso che credo nella venuta del Messia perché sono ebreo, ma non che sono ebreo perché credo nella venuta del Messia.|''Magen'', 64.}}
Il concetto di nazione implicito nell'opera di Modena escludeva il piano politico. Il Messia non sarebbe servito come guida del popolo, radunando le tribù perdute di Israele e ricostruendo il Tempio di Gerusalemme, come era inteso da Maimonide,<ref>[[Maimonide]], ''[[Mishneh Torah]]'', ''Hilkhoth melakhym'', 11, 4.</ref> né avrebbe soggiogato il Papa e le nazioni del mondo, come sosteneva Nahmanide; sarebbe stato invece l'uomo che avrebbe permesso all'umanità di ritornare a uno stato di purezza fisica, perduta a causa del peccato originale. Questo messianismo, confinato alla sfera morale, conservava un fascino universale poiché riguardava tutta l'umanità, senza particolare rilevanza per gli ebrei. La nazione ebraica era un concetto più etnologico che politico.<ref>Modena si mostrò disincantato riguardo alla possibilità che gli ebrei si costituissero in un soggetto politico. Si veda David Malkiel, ''A Separate Republic: The Mechanics and Dynamics of Venetian Jewish Self-Government, 1607-1624'', supplemento a ''Italia'' (Gerusalemme: Magnes Press, 1991); nella stessa antologia, si veda l'articolo di Marina Cavarocchi Arbib sulla tragedia ''L’Ester''.</ref>
La posizione moderata di Modena costituì un passo verso un'accettazione ebraica della storia reale. ''Magen we-ḥerev'' era un appello per una posizione religiosa realistica ed era tanto esente da un'escatologia sconsiderata quanto dalle assurdità teologiche respinte dal buon senso (''sekhel yashar, sevara''<ref>Sull'uso del termine ''sevara'' per mettere in dubbio le basi logiche del dogma cristiano, cfr. ''Kuzari'' di Yehudah Ha-Levy (I:5), nella traduzione in ebraico di Yehudah ibn Tibbon. Gianfranco Miletto, ''La biblioteca di Avraham ben David Portaleone secondo l’inventario della sua eredità'' (Firenze: Leo S. Olschki, 2013).</ref>). Potrebbe essere considerato come la controparte ebraica della ricerca di ''decorum'' e di modi socialmente accettabili che alimentavano certe posizioni antiebraiche.
== Buon senso e buone maniere ==
Al processo di Ginevra del 1632 contro [[:en:w:Nicolas Antoine|Nicolas Antoine]], un teologo e pastore protestante accusato di "giudaizzare", i giudici si dichiararono stupiti che l'imputato potesse essere attratto dai riti degli ebrei, perché come dicevano,
{{q|[Essi] si sono consegnati a uno spirito di cecità, le loro sinagoghe sono la confusione più pura, senza riverenza né devozione, strane grida e urla e ogni sorta di gesti osceni.<ref>Nicolas Antoine, "Un pasteur protestant brulé à Genève en 1632 pour crime de Judaïsme", ''Revue des Études Juives'' (1899):36-37. Cfr. anche Elisabeth Labrousse, "Vie et mort de Nicolas Antoine", ''Études théologiques et religieuses'' 52 (1977):421-433.</ref>}}
Antoine aveva cercato di convertirsi all'ebraismo a Venezia, ma i rabbini della città rifiutarono la sua richiesta, sicuramente per ragioni opportunistiche.<ref>''Ibid.'', 164.</ref> I giudici di Ginevra potevano ben aver pensato ai servizi svolti nelle sinagoghe italiane quando espressero il loro disprezzo "estetico" per i riti ebraici; Modena fornì una testimonianza indiretta sullo svolgimento di tali servizi, in un ''responsum'' rituale composto tra il 1604 e il 1606 sulla legittimità del canto in sinagoga secondo le regole della scienza musicale. La risposta di Modena fu categorica:
{{q|[...] Se queste persone dotate vogliono migliorarsi secondo le regole dell'arte, per la maggior gloria di Dio, sono forse colpevoli? Dio non voglia! Dovremmo imporre cantori che ragliano come asini senza la minima modulazione della loro voce, in applicazione del versetto ''ha lanciato il suo grido contro di me'' ({{passo biblico2|Geremia|12:8}})? E dobbiamo noi, che anticamente impiegavamo l'arte della musica nelle nostre lodi e preghiere, diventare oggetto del disprezzo delle Nazioni, vedendoci privati della nostra antica conoscenza, ridotti a latrare al Dio dei nostri Padri come cani o a gracchiarGli come corvi?|Leone Modena, ''Ziqney Yehudah''<ref>Leone Modena, ''Ziqney Yehudah'', cur. Shlomo Simonsohn (Gerusalemme: 1955-1956), ''responsum'' 6. Si veda anche Israel Adler, ''La pratique musicale savante dans quelques communautés juives en Europe, aux XVIIe et au XVIIIe siècle'' (Parigi: Mouton and Co., 1966), 254. Poche righe prima, Modena aveva attirato l'attenzione sul fatto che il canto disordinato era una caratteristica delle sinagoghe aschenazite.</ref>}}
Anche un famoso ebreo convertito al cristianesimo che si professava allievo di Modena, Giulio Morosini (già Samuel Nahmias), aveva sottolineato la mancanza di ordine nelle preghiere ebraiche. Aveva descritto il ''qiddush'', la santificazione dello Shabbat, nei seguenti termini:
{{q|Quando il conduttore dell'assemblea canta o chiama, tutti gli altri gridano con lui, facendo come lui: e il numero, la varietà e la disarmonia tra le voci generano grande confusione.<ref>Giulio Morosini, ''Derekh Emunah. Via della fede mostrata a’gli ebrei'' (Roma, 1683).</ref>}}
L'estetica sembrava essere un fattore significativo nella ripugnanza all'ebraismo che incitò Nahmias, nipote di un neocristiano castigliano che era tornato alla religione ancestrale, a convertirsi al cattolicesimo. Nella sua opera ''La via della fede mostrata agli ebrei'' metteva in risalto i riti superstiziosi e fisicamente poco attraenti dei suoi ex correligionari, insomma la loro mancanza di "civiltà".<ref>Cfr. per esempio ''ibid.'', 184, 566.</ref> "Superstizione" è un termine chiave della sua argomentazione, applicato da Morosini all'ambito religioso-scritturale (per superstizione si intendeva qualsiasi credenza o rito che non corrispondesse alla vera religione insegnata nella Bibbia), ma anche all'ambito del buon senso e, in una certa misura, delle buone maniere: "Voi celebrate numerosi riti che sono manifestamente superstizioni, nel senso fondamentale della parola (nel senso che ognuno le piglia)."<ref>''Ibid.'', 108. In una lettera al teologo cattolico Vincenzo Noghera, Modena ammise di aver scritto ''Historia de’ riti hebraici'' in risposta a ''Synagoga Judaica'' (I ediz. 1603) di Johannes Buxtorf il Vecchio, sottolineando "le cose essenziali, lasciando da parte quelle che finanche i nostri (quelli dotati di ''ingegno'') considerano essere superstizioni" (corsivo mio). Cfr. C. Roth, "Leone da Modena and the Christian Hebraists", 196.</ref>
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