Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo III: differenze tra le versioni
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[[w:Tertulliano|Tertulliano]], da buon avvocato, capiva molto bene le intenzioni di Traiano e affermò che la ragione per proibire associazioni (''collegia'') era quella di salvaguardare l'ordine pubblico, nel timore che lo stato potesse esser diviso in fazioni — che potevano facilmente disturbare elezioni, riunioni, senato, assemblee e giochi. Neanche Plutarco dimostrò indulgenza verso le masse popolari: avevano portato la Grecia alla decadenza e alla sua sottomissione a Roma. Ora, nelle città, dissensi e lotte intestine devono cessare, dice Plutarco, e bisogna obbedire al governo romano, continuando a fare il proprio dovere riguardo al proprio paese natale, armonia deve essere la parola d'ordine del nuovo futuro, sia tra le varie classi, sia tra le varie città, come anche nell'impero romano, che governa tutto. ''Homonoia'' era la parola d'ordine di un altro "ideologo", [[w:Dione Crisostomo|Dione di Prusa]];<ref>Il discorso (XXXIV) di Dione è dedicato all'"armonia" (''perì homonoias''), parlando ai Tarsi.</ref> e forse nessun'altra testimonianza è così degna di nota come alcuni dei suoi discorsi nell'interpretare il paternalismo conservatore che ispirò la politica delle classi dirigenti romane in merito al problema sociale. Dione si proclama d'essera dalla parte dei poveri.<ref>Dione, ''Or.'', XLIII, 7; L, 3.</ref> Il suo atteggiamento è moralista e riformista: la divisione tra ricchi e poveri è naturale e quindi permanente. Propone che i "poveri rispettabili" siano spostati dalla città a causa della disoccupazione (σπάντια τά εν τοῖς πόλεσιν ἓργα).<ref>Dione, ''Or.'', VII, 105.</ref> La soluzione è ingenua, sebbene Diono debbe avere il merito di aver riconosciuto che la disoccupazione era un malessere sociale fondamentale. Considera inopportuno che i poveri debbano lavorare su articolipregiati, o gestire bordelli, o vendere alle aste, o aver a che fare con leggi e Servizio pubblico. [[:en:w:Barry Baldwin|Baldwin]] asserisce che tutto ciò è indice di di quanto Dione ed altri pensatori avessero ben capito che il ruolo della burocrazia di Stato rappresentava uno strumento di oppressione delle classi.<ref>Baldwin, ''CQ'', 1961, p. 204.</ref> I suoi discorsi [[w:Bitinia|bitinici]], come anche i due discorsi ai Tarsi, sono sorprendentemente ricchi di riferimenti alle tensioni sociali presenti nelle città che, di per se stesse, non erano in declino. Tuttavia, sul piano sociale è forse più interessante un brano dal Discorso XXXII agli Alessandrini, in cui l'insolenza della [[w:plebei|plebe]] alessandrina incitata dai [[w:Cinismo|cinici]] viene stigmatizzata da Dione.<ref>Dione, ''Or.'' XXXII, 9.</ref>
Cinici e [[w:Cinismo|cinismo]] significavano, nelle città ellenistico-romane dei primi due secoli, un'opposizione popolare a Roma, specialmente sul piano sociale — Rostovtzeff sottolinea fortemente questo punto.<ref>
La mancanza di un'ideologia rivoluzionaria definita ha portato molti storici a sottovalutare la durezza della lotta sociale svoltasi nella città romane. Per quanto espressa in forme "pre-politiche", sicuramente ebbe un carattere di classe: persino in quegli episodi di carattere più o meno anarchico o utilitarista, di puro disordine; fu polarizzato nel contrasto tra ricchi e poveri, tra i privilegiati dll'ordine sociale mantenuto dall'impero, e gli sfruttati che servivano quale base della civiltà materiale e spirituale di queste minoranze privilegiate. Forse gli storici sono stati troppo rigidi nel negare fermamente un carattere sociale, e spesso una prospettiva sociale, all'azione a volte disordinata e irrazionale di queste "foules révolutionnaire" urbane. Nel caso in questione, è di notevole aiuto sul piano operativo, il concetto di "classe" presentato da [[w:Edward Palmer Thompson|E. P. Thompson]] nel suo libro ''The Making of the English Working Class'':<ref>E.P. Thompson, ''The Making of the English Working Class'', Londra, 1963.</ref>
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In generale, tuttavia, le attività delle masse, quali che fossero i bersagli ufficiali e dichiarati, avevano una sottofondo sociale, evidente specialmente in occasioni importanti. La proprietà dei ricchi, i loro possedimenti e in generale la loro stessa esistenza rappresentava l'obiettivo contro cui prima o poi erano diretti gli exploit del proletariato urbano mobilitato. Pertanto, ad Antiochia, l'introduzione di una nuova tassa provocò una dimostrazione popolare nel 387; ma ciò che veramente ne soffrì furono i possedimenti e le case dei ricchi, e in particolare quelli di un cittadino importante<ref>Theod., ''HE'', V, 19; Zos., IV, 41; cfr. Browining, ''JRS'', 1952, p. 15.</ref> – in un'altra sommossa del 353, di nuovo la casa di un ricco cittadino, Eubulus, venne incendiata da una folla inferocita<ref>Amm. Marc., XIV, 7, 6.</ref> – la distruzione di pannelli di legno su cui era stata dipinta l'immagine dell'imperatore, e della statue di bronzo della sua famiglia, servì da sfogo. La rivolta della folla spesso si concludeva con incendi e distruzioni di case appartenenti a personaggi impopolari: potevano essere oppositori religiosi, o più semplicemente alcuni notabili, la cui colpa principale era quelle di essere ad un livello sociale superiore e molti ricchi.<ref>Jul., ''Misopogon'', 370 C.; Amm. Marc., XIV, 7, 6.</ref> La furia popolare poteva anche sfogarsi contro i rappresentanti del potere centrale ritenuti, non senza ragione, troppo spesso dalla parte dei ricchi; in effetti, durante la rivoluzione dei [[w:Gordiano I|Gordiani]], la folla romana, in un impeto di legittimismo senatorio, massacrò i giudici e gli ufficiali "che erano stati lo strumento della tirannia."<ref>Herod., VII, 7, 3.</ref> La rabbia poteva anche essere diretta contro singoli individui, odiati a causa della loro disonestà personale o dei loro atteggiamenti particolari contrari alle ideologie legittimiste della massa e dei suoi sentimenti monarchici a volte più monarchici dei monarchi stessi: poteva sfogarsi contro l'odiato Seiano,<ref>Giov., X, 58-87.</ref> o contro le figlie di Agrippa.<ref>Flavio Gius., ''A.I.'', XIX, 9, 9, 357ff.</ref> Comprensibilmente, uno dei respingenti della folla era il ''[[w:Praefectus urbi|Praefectus urbi]]'', come nel caso di [[w:Artemio (dux Aegypti)|Artemio]] "cuius administratio" – dice [[w:Ammiano Marcellino|Ammiano]] – "seditione perpessa est turbulentas".<ref>Amm. Marc., XVII, 11, 5.</ref>
Come già detto, le città dell'impero erano disturbate internamente da profonde tensioni sociali; anche, e forse specialmente, nei primi secoli – il terzo sicuramente – piuttosto che durante i secoli successivi. A [[:en:w:Smyrna|Smyrna]] "gli uomini della città superiore erano contro quelli del mare"; simili situazioni tese tra differenti gruppi cittadini sono citati dalle fonti per almeno una dozzina di città.<ref>
Ma naturalmente il proletariato, sia urbano che rurale, si sollevò per difendere il suo diritto di esistere, durante quei periodi in cui il costo della vita diventò proibitivo. Con mentalità e procedure "pre-politiche", iniziò la sua battaglia contro gli alti costi, contro l'aumento dei prezzi, nell'area dei prodotti di prima necessità — come il pane, che rappresentava la base principale di alimentazione del proletariato. Infatti, data la semplice economia di sussistenza entro cui si muoveva gran parte della popolazione dell'impero, anche durante tempi normali, un aumento di prezzi nei prodotti primari e un aumento della disoccupazione – prezzi da fame e disoccupazione, come è stato ampiamente dimostrato, tendevano a coincidere in epoca pre-industriale
Turbolenze interne, difficoltà di forniture alimentari, sommosse di un proletariato urbano gradualmente impoveritosi e sempre più sedizioso, dimostrazioni...<ref>
La realtà socioeconomica è più forte della volontà e delle ideologie dell'uomo; queste contraddizioni esplosero. Le contraddizioni sono l'innesco delle trasformazioni; la trasformazione dell'immensa base produttiva si sviluppò in una direzione antagonistica rispetto alle strutture – o, meglio, le sovrastrutture – di natura giuridica, politica e culturale con cui era articolata la società ellenistico-romana, quella società "classica" fondata sulla ''polis''. Le oligarchie municipali, che fino ad allora avevano supportato le città e costituito il nerbo della società ellenistico-romana, dovettero confrontarsi con una battaglia che poteva avere un solo risultato. Questa classe resistette con tutte le sue forze alla pressione che proveniva dal basso; ma il prezzo fu la sua trasformazione. Al suo interno, le distinzioni di potere "reale", cioè potere economico, furono accentuate e definite; perse il suo ''esprit de corps'' e abbandonò la sua ideologia di "servizio pubblico" rispetto alla collettività. Questa classe capì – o piuttosto lo capirono i suoi rappresentanti più abili e più potenti economicamente – quali fossero le cose per cui si doveva combattere e quali da salvare, e quelle che potevano esser lasciate al loro fato. Di conseguenza scelse i suoi alleati: vale a dire, nonostante ciò che credeva Rostovtzeff, un forte potere centrale e un forte esercito che lo proteggesse. L'assolutismo, o per usare un termine ormai tradizionale, il [[w:Dominato|Dominato]] – autocrazia militare, quindi – emerse come forma politica necessaria e desiderabile.
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== L'inflazione ==
Generalmente, l'inflazione rappresenta la sottile linea rossa che interseca questa disintegrazione delle strutture socioeconomiche del Primo Impero; ma sulle strutture municipali, costituiva un tipo di solvente che divise le componenti sociali con cui erano formate. Come sempre, l'inflazione esasperò i contrasti sociali; il suo impatto sulle paghe dei lavoratori riuscì a ridurre a più della metà il potere d'acquisto effettivo. Scioperi e sommosse, carestia e rabbia accompagnò il corso inflazionistico: religioni della salvezza, sebbene la loro vittoria non dipese esclusivamente da questo, trovarono comunque un ''humus'' molto fertileper la loro diffusione e propagazione, essendo in grad di trasporre su un piano soprannaturale le aspettative salvifiche delle masse frustrate nelle loro aspirazioni basilari. Inoltre, l'inflazione agì anche ad un livello più elevato, sulle strutture amministrative della ''polis'' classica e su quella classe che normalmente le gestiva. I comuni cambiarono ruolo, trasformandosi gradualmente in ''curiae'' della Tarda Antichità; quando in effetti, per parafrassare un passo di uno storico moderno, l'imperatore, considerando il diritto di proprietà come l'esercizio di una funzione pubblica, rese sistematico l'obbligo dei proprietari di garantire allo Stato le risorse necessarie per il successo della propria missione. I [[w:decurione|decurioni]], una volta esecutori del mandato a loro dato dai propri cittadini, ora furono comunemente considerati agenti dello Stato. Finanze, ripartizione fiscale e riscossione delle tasse, stazioni di posta, reclutamento militare — tutti richiedevano personale numeroso e permanente. La ''curia'' e il ''consortium curiae'' avrebbe fornito allo Stato il personale necessario di questo settore amministrativo; infatti, lo Stato avrebbe reso i ''curiales'' una sorta di aristocrazia fiscale che obbediva alle sue proprie leggi.<ref>
Avvenimenti come quelli succitati rappresentano un po' il canto del cigno, l’''epicedium'' della ''polis'' classica, dei comuni del Primo Impero, e significano anche, da questo punto di vista, l'inizio di una nuova funzione per loro, in un contesto sociale così differente come quello della Tarda Antichità. In effetti, avendo considerato il carattere e le funzioni della ''polis'' classica,<ref>
Se uno considera le richieste che lo Stato faceva ai suoi sudditi, si nota che essere erano in gran parte mediate tramite le città. Le principali richieste si riferivano a tributi e tasse indirette, la manutenzione della posta imperiale e la rete di comunicazioni che collegava i centri principali dell'impero (''cursus publicus''); le vettovaglie e l'alloggio delle truppe e dei funzionari; la fornitura di lavoro forzato, specialmente per la costruzione di strade; e il reclutamento dell'esercito. Lo svolgimento di questi compiti, nel corso della recessione che affliggeva l'impero dai tempi di Marco Aurelio, rivelava le basi economiche troppo fragili su cui si fondavano le strutture della città, e divenne un peso troppo oneroso per le aristocrazie municipali e il loro ''esprit de corps'', l'ideologia "umanistica" che le aveva stimolate nei primi due secoli dell'impero.
L'inflazione monetaria del terzo secolo praticamente eliminò il significato delle tasse indirette — la ''centesima rerum venalium'', imposta da Augusto, e quella del 4% sulla vendita degli schiavi, cioè la ''vicesima libertatis'', che subì alterne fortune a partire dal primo decennio del III secolo;<ref>
Ancor più degno di nota riguardo all'atteggiamento dell'amministrazione centrale verso i comuni, è lo sviluppo di quella tassa speciale chiamata ''aurum coronarium''. Originalmente, rappresentava un omaggio di una corona d'oro da parte delle comunità soggiogate ai conquistatori e monarchi.<ref>
Il succitato papiro ossirinco testimonia la responsabilità del senato cittadino nella riscossione della tassa locale. Come giustamente osserva Wallace, l'elevata quantità di somme raccolte indica che l’''aurum coronarium'' (lo ''stephanikon'', per usare un termine amministrativo locale) deve aver rappresentato un onere considerevole sulle classi urbane abbienti; e il ricorrere di tale tassa ad intervalli troppo frequenti risultò praticamente nella confisca di gran parte del loro capitale.<ref>S.L. Wallace, ''Taxation in Egypt, cit.'', p. 283.</ref> In realtà, sebbene oneroso, costituiva solo una delle ''munera'' che affliggevano i comuni, specialmente i magistrati municipali che gestivano gli uffici fiscali e tributari. Fu il punto culminante di una singola evoluzione subita dalle strutture dell'impero romano in merito ai problemi dell'amministrazione provinciale e dei rispettivi organi. Il governo imperiale da una parte aveva lasciato una qualche autonomia amministrativa politica alle città; dall'altra, aveva abbandonato, riguardo ai collegamenti tributari con l'amministrazione centrale, il vecchio sistema di contrattori (''publicani'') che ricevevano una decima sui prodotti quale pagamento in natura:
La formazione di personale burocratico specializzato fu uno dei grandi problemi dell'impero — come lo è sempre stato per qualsiasi altra formazione preternazionale o altro organismo statale di vaste proporzioni. Le circostanze relative alla riscossione dei due tributi principali (il ''tributum soli'' sui prodotti della terra, e il ''tributum capitis'', cioè la [[w:capitazione|tassa di capitazione]]) rivelano in tutti i loro aspetti, positivi e negativi, il pragmatismo empirico che controllava la classe dirigente romana. L'operazione era preceduta dal un censimento generale — che a volte sollevava risentimento e resistenza tra le popolazioni provinciali;<ref>
== ''Dekaprotia'' ==
In base a questa situazione si sviluppa l'istituzione del ''dekaprotia'',<ref>Si veda, per esempio, [https://www.researchgate.net/publication/293118876_The_introduction_of_decaproti_and_eicosaproti_in_the_cities_of_Asia_Minor_and_Greece C. Samitz, ''Decaproti and eicosaproti''].</ref> la cui evoluzione, sia sul piano teorico di relazione giuridica tra governo centrale e corpi locali – come iniziò a prender forma mediante l'opera di giuristi dell'epoca antonina e severiana – sia su quello pratico, di relazioni tra le comunità e lo Stato in materie fiscali, esprime pienamente le difficoltà delle oligarchie municipali, oppresse da un lato dalle sempre crescenti richieste del governo centrale – per mantenere in funzione la macchina burocratica-militare dell'impero – e dall'altro, prima dalla pressione, poi dell'indifferenza e ostilità delle classi inferiori, tenute gelosamente fuori della gestione della ''res publica''.
Non è questo il posto per tracciare un profilo analitico di tale istituzione. ''Dekaprotia'' appare già documentata dall'epigrafia del I secolo e.v.,<ref>
Tuttavia, fu principalmente durante l'età severiana che il ''dekaprotia'' acquisì quella fisionomia che l'avrebbe caratterizzato nel III secolo. Come si sa, durante la sua visita in Egitto tra il 199 e il 200,
"Estremismi e illusioni della politica di municipalizzazione dei Severi" affermò [[:en:w:Jean Gagé|Jean Gagé]] in merito a quanto sopra. Mediante l'organizzazione municipale dell'Egitto si possono riconoscere tutte le caratteristiche della politica dell'imperatore africano: da una parte, le necessità della centralizzazione burocratica e autoritarismo di stato; dall'altra, il "democraticismo" e idealismo politico. Le strutture burocratiche locali rimangono inalterate: la metropoli è sempre inserita in un distretto territoriale, la cui area è determinata dalla giurisdizione dello ''strategos'', che continua a supervisionare in ''nomos'' nel suo insieme. Pertanto, la ''boulé'' stessa viene ad esser parte dell'apparato amministrativo imperiale, quale organo per la nomina di funzionari soggetti allo ''strategos''; e alle borghesie cittadine, espresse nelle ''boulai'', vengono estess le responsabilità degli atti eseguiti dai funzionari liturgici nell'amministrazione del ''nomos''.
Anche in quest'area, l'operato di Settimio Severo è "epocale". Giustamente F. Grelle ha detto che il concetto di organizzazione territoriale che le modalità dell'Egitto ci permettono di riconoscere, sembrano alquanto distanti dai modelli federalisti proposti dal panellenismo della [[w:Seconda sofistica|Seconda sofistica]]; invece si traduce in istituzioni con consapevolezza di unità nell'impero che era già emersa all'inizio del secolo in quella legge pubblica più sensibile ai problemi di una nuova dimensione spirituale nella comunità romana. Tuttavia, mentre nella considerazione politica la congruenza della vita amministrativa delle ''civitates'' con quella dell'impero sembrava fosse cercata nell'adesione spontanea all'ordine romano, nel sistema egizio viene ottenuta tramite il posizionamento delle metropoli nell'ambito delle strutture burocratiche preesistenti, e per mezzo degli ''strategos''. Pertanto, mentre la partecipazione nella gestione degli affari pubblici era stata espressa nel diritto pubblico sottolineando specialmente la natura di interesse generale dei doveri individuali nell'ambito della propria comunità, nell'organizzazione egizia questa preoccupazione viene tradotta in un impegno di liturgie da svolgersi sotto la supervisione dello ''strategos''.<ref>
=== ''Munus publicum'' ===
In ogni sistema politico esistono sempre le premesse per il suo ribaltamento; le realtà economiche e sociali sono sempre più
Se è vero che la giustizia rappresenta una cristallizazione sovrastrutturale ideologica degli interessi di classe concreti, nella legislazione dei Severi, e specialmente nell'età post-severiana,<ref>
{{q|'''D.50.4.14. pr. 1 (1.1 ''de cogn.'')''': Honor municipalis est administratio rei publicae cum dignitatis gradu, sive cum sumptu sive sine ergationes contingens. 1. Munus aut publicum aut privatum est. Publicum munus dicitur, quod in administranda re publica cum sumptu sine titulo dignitatis subimus. 2. Viarum munitiones, praediorum collationes non personae, sed locorum munera sunt.}}
Callistrato è abbastanza difficile da interpretare su questo punto.<ref>
L'ispirazione teorica sottostante all'intera giurisprudenza severiana in merito al ''munus publicum'', il pragmatismo idealistico della politica dell'imperatore africano, sono particolarmente chiari in [[w:Emilio Papiniano|Papiniano]].
{{q|'''D. 50.5.8.3 Pap. 1.1 ''resp.''''': Qui muneris publici vacationem habet, per magistratus ex improviso collationes indictas recte recusat; las vero, quae e lege fiunt recusare non debet.}}
La premessa da cui inizia il ''responsum'' è che ormai le ''collationes'' sono tutte ''munera publica'', non solo quelle inerenti ai ''loca'', ma anche quelle inerenti alle persone. ''Collatio'' allora inizia ad essere distinta da ''intributio'', che verrà riferita alla rendita fondiaria; è in questi anni che la pratica della la riscossione dell'annonario viene generalizzata — in effetti, è una ''indictio ex improviso''. ''Annonae militares, cursus publicus, aurum tironicum'', queste sono le ''munera'' che si riversano sui comuni; e se il problema dibattuto dai giuristi è quello di trovare che veramente debba eseguire le riscossioni, rimane il fatto che diventano sempre più onerosi — e sempre di più aumenterà la riluttanza ad eseguirli. Uno dei migliori esempi per illustrare la direzione presa dalla società del terzo secolo è la considerazione della distanza che separa la costituzione di [[w:Gordiano I|Gordiano]] – che respirava ancora l'atmosfera spirituale dell'età antonina e di quella severiana – dalla costituzione di [[w:Decio|Decio]], in cui si possono intravedere i contorni del nuovo ordine che stabilisce la ''junta'' militare dei ''restitutores'' illirici, l'ordine della Tarda Antichità. Ecco le due costituzioni, di seguito:
{{q|'''CJ 10.2.1''': ''Imp. Gordianus A. Saturnio et aliis''. No iniusta ratione desideratis, repromissa fisco indemnitate, eos principali loco conveniri, qui reliqua contraxerunt, mox ad vos perveniri, qui ab his quaedam mercati estis.}}
Qui si sottolinea, nel clima spirituale della "restaurazione" gordiana, il carattere personale del debito fiscale, secondo l'ispirazione che vivifica la grande giurisprudenza dell'età severiana. Il proprietario è responsabile al pagamento solo in modo subordinato: il soggetto passivo dell'obbligo è sempre "qui reliquia contraxit".<ref>
{{q|'''CJ 10.16.3''': ''Imp. Decius A. Citicio''. Indictiones non personis sed rebus indici solent...}}
Qui siamo in quella parte del secolo che segna la fine di un'epoca per la storia del mondo antico. Le aristocrazie cittadine, nella morsa del declino economico, iniziano ad abdicare le loro funzioni, i loro ''honores'' ed i loro ''munera'' (ormai facendone una distinzione tra questi);
La rinuncia da parte delle oligarchie cittadine non fu un semplice atto di codardia politica, o egotismo corporativo; si originò da una situazione reale. La base economica delle aristocrazie era troppo fragile per sostenere i pesi richiesti dalla classe dirigente dell'impero durante il III secolo; non potè resistere alle contraddizioni che si svilupparono internamente. In effetti, la crisi delle oligarchie municipali rifletteva la crisi del mondo della produzione con schiavi, che costituiva il suo supporto economico. Nell'ambito del mondo degli schiavi sorsero delle forze produttive ad esso antagonistiche: il [[w:colonato|colonato]] parziale, la formazione di unità produttive come il ''latifundium'' gestito con sistema colonizzato esacerbato di contraddizioni interne, che ne provocarono il declino. I proprietari di fattorie piccole/medie gestite con schiavi, che rappresentavano la forza delle oligarchie municipali, non poterono sostenere la concorrenza dei grandi proprietari terrieri che sfruttavano il ''latifundium'' gestito da ''coloni''. Una delle conseguenze fondamentali di questo confronto in pratica fu lo sfaldamento della classe dirigente dell'impero e la formazione di una nuova classe che costituirà la classe dirigente della Tarda Antichità. La grande proprietà terriera si svilupperà dalle rovine delle aristocrazie urbane; cercherà di appropriare non solo terre private, ma anche terra civica, minando quindi ulteriormente la struttura cittadina. La coabitazione delle due modalità produttive, in sostanza antagonistiche, in definitiva significò la fine di una delle due: e quindi le città iniziarono a perdere terreno (o, meglio, terreni). La stuttura basilare del mondo classico, la ''poli'', perse preminenza; il ''latifundium'', e la grandi ''villae'' dei ''domini'' terrieri, divennero centri sociali e culturali. Mentre i proprietari di fattorie gestite con schiavi continuarono ad usare lavoro forzato, che stava gradualente perdendo la sua redditività, il colonato si sviluppava e diventava più forte nei ''latifundia'', preparando quindi ed inaugurando la nuova maniera di produzione "feudale", base economica della ''Spätantike''. La ''polis'' e le sue sovrastrutture ideologiche persero la loro supremazia.
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Celebrazione del regicidio non sembra il modo migliore di giustificare la monarchia; tuttavia nella realtà, l'assassinio del tiranno è, per così dire, l'ultima riserva mentale che l'ambiente culturale e sociale a cui apparteneva Flavio Filostrato, cioè le aristocrazie municipali dell'Oriente ellenizzato, ebbe prima della sua accettazione della monarchia ereditaria, e in molti modi assoluta. Proprio a causa della sua degenerazione in tirannia, Filostrato esprime le caratteristiche della monarchia che lui e il suo ambiente sono pronti ad accettare e sostenere, lasciandosi alle spalle qualsiasi rimasuglio di aspirazioni repubblicane: se la monarchia, ereditaria e assoluta, è ora un fatto inevitabile, allora la si accetti; purché allo stesso tempo ne siano dichiarate le caratteristiche e i limiti.
In realtà, la biografia di Apollonio di Tiana, il "pitagorico e mago" che due secoli fa [[w:Ferdinand Christian Baur|C. F. Baur]] interpretò quale "santo" del paganesimo, in opposizione al Cristo dei Vangeli,<ref>
Da un punto di vista culturale, la biografia di Apollonio segna la vittoria di quella sorta di spiritualismo che costituì la forma predominante di filosofia del III secolo, di quel [[w:neoplatonismo|neoplatonismo]] in cui convergevano e trovavano risoluzione le esperienze spirituali contrastanti della cultura dell'età imperiale — una vittoria sullo [[w:stoicismo|stoicismo]] di quella società romana di formazione "repubblicana" e sul ''Vulgarkynismus'' della masse popolari. Questa crisi dello stoicismo "ufficiale" e la diffusione di questo spiritualismo "idealistico" di questo spiritualismo "idealistico" si connette con la sparizione della classe dirigente di formazione "illuminata", quella degli Antonini, e con l'emergere di nuove forse sociali come rimpiazzo — specialmente le aristocrazie provinciali, da cui infatti proveniva Filostrato. Da questo punto di vista, la biografia di Filostrato è veramente significativa: degno di nota è lo scenario politico e sociale in cui Apollonio di Tiana agisce e su cui egli cerca di intervenire concretamente. Non per caso, nella biografia, gli scontri del filosofo con l'autorità politica assume un'enfasi particolare, e contro di essa egli prende una posizione precisa. Tali scontri senza dubbio servono a fini apologetici, per accrescere la forza morale del filsofo; ma servono anche a manifestare le sue convinzioni politiche, che in effetti sono quelle di Filostrato e dell'ambiente da cui proviene il sofista e verso cui è principalmente dedicata la sua opera.
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Le aristocrazie municipali mantennero come fondamentale, nella loro prospettiva politica e sociale, il rapporto tra autorità centrale e le entità politiche locali, tra imperatore e consigli comunali. Ciò rappresentò un problema vitale per questa classe, e dovette necessariamente essere risolto in un senso particolare; dopo tutto, era in ballo la sopravvivenza di queste oligarchie municipali, in quanto erano una classe e un ordine di governo. Filostrato fu del tutto consapevole di ciò; come lo era anche il pubblico a cui era diretta la sua opera. Da qui l'importanza specifica e anche l'enfasi della biografia sulle relazioni tra Apollonio e gli imperatori; inoltre, una parte cospicua è dedicata al problema del governo monarchico, i doveri del sovrano riguardo ai suoi sudditi e allo stato; e, per converso, l'atteggiamento che il soggetto – in quetso caso l'uomo completamente realizzato, il "vero" filosofo e saggio, come Apollonio – deve prendere rispetto all'autorità monarchica, specialmente nel caso degeneri nell'odiata forma di tirannia.
Nella n arrazione di Filostrato, la dolorosa esperienza della tirannia viene provata volontariamente da Apollonio a Roma, nel 66 e.v. Sebbene consapevole della persecuzione dei filosofi da parte di [[w:Nerone|Nerone]], e dell'imprigionamento di [[w:Gaio Musonio Rufo|Musonio Rufo]],<ref>
Al contrario, la natura del vero ''Princeps'' e le relazioni che si possono avere tra lui ed il saggio sono esposte da Filostrato in capitoli molto interessanti riguardo al soggiorno di Apollonio ad Alessandria ed il suo incontro con [[w:Vespasiano|Vespasiano]], il futuro imperatore, che si era già ribellato a [[w:Vitellio|Vitellio]] ed aveva occupato Alessandria per farne una base strategica delle sue azioni. Seguendo uno schema alquanto frequente nella tradizione culturale ellenistica,
Tuttavia, è specialmente nella grande scena del "consiglio" dei filosofi, tra Vespasiano e Apollonio, e presenziato anche dall stoico Eufrate e dal platonico Dione di Prusa, che culmina questo incontro tipico tra il monarca "illuminato" e la "filosofia". Da qui Filostrato coglie l'occasione di esporre le sue convinzioni personali sul programma di governo dell'imperatore ideale.
Il dibattito si apre con la critica da parte di Vespasiano – continuando un modulo già sviluppato precedentemente – in merito agli imperatori, da Tiberio a Vitellio, che hanno fallito il test: chiede ai filosofi di aiutarlo nel difficile momento. Il primo a parlare è [[:en:w:Euphrates the Stoic|Eufrate]], lo [[w:Stoicismo|stoico]]: egli approva la guerra di Vespasiano contro il dissoluto Vitellio; ma lo rimprovera di non aver iniziato prima la ribellione contro il "tiranno" Nerone. Vespasiano deve considerare effettivamente concluso il suo nobile compito solo quando egli abbia ridato ai romani le istituzioni democratiche (''tò demokrateîsthai'') sotto cui essi hanno conquistato il mondo; deve porre termine al governo di uno, ed offrire ai romani il governo dei molti, un governo popolare, e per se stesso la gloria di inaugurare il regno della libertà.<ref>
L'intervento di Apollonio emerge da una situazione effettiva: i discorsi di Eufrate e Dione – egli osserva – non colpiscono il bersaglio, perché Vespasiano è in realtà un vincitore, che chiede ai filosofi come usare la propria vittoria; stanno parlando ad un console e un leader, che non può perdere il suo potere senza perdere anche la vita. Non si deve indurlo a rinunciare ai frutti della sua vittoria, ma si deve consigliarlo su come regnare. Inoltre, egli ha due figli, che comandano eserciti: se rinuncia all'impero, non incontrerà forse l'ostilità della sua famiglia? Se invece accetta il trono, egli userà i propri figli com guardie del corpo sicure, non comprate con denaro, ma a lui vincolate da sangue e amore filiali.<ref>
Pertanto Apollonio defende Vespasiano e le sue azioni di ribellione contro l'imperatore legittimo. E, su richiesta di Vespasiano, procede – anche se con riluttanza poiché Apollonio non crede che l'arte di regnare possa essere insegnata – a fornirgli una serie di consigli, che tracciano il profilo del monarca ideale, come concepito da Filostrato. Di certo, questi precetti non sono singolari' al contrario, sembrano abbastanza banali e ingenui. Concepiti in chiave "idealistica", insistono sulla "moderazione" del ''Princeps'' e sulle sue virtù morali, piuttosto che su disposizioni concrete di ordine sociale e politico. Tendono infine ad evidenziare la conservazione dei privilegi delle classi dirigenti, senza distruggere le classi inferiori: che, non c'è bisogno di dirlo, era un compito impossibile, veramente "idealistico". Il ''Princeps'' – suggerisce Apollonio – non deve sovraccaricare la popolazione di tasse e imposte, deve aiutare i bisognosi, ma anche mantenere costantemente sicura la ricchezza dei ricchi. Deve temere l'assolutezza del suo potere ed esercitarlo con grande moderazione: non deve opprimere i potenti.<ref>
Nonostante il disaccordo di alcuni studiosi, non c'è dubbio che le opinioni di Apollonio fossero dirette non tanto all'età di Vespasiano, quanto a quella dei Severi, che è quella che concerne Filostrato. Alcune misure si trovano chiaramente in un altro storico ed ideologo dell'età severiana, [[w:Cassio Dione|Cassio Dione]].<ref>
Il tema dell'opposizione al tiranno è portata all'estremo nell'ultima parte della biografia. L'esperienza politica di Apollonio in effetti culmina nel conflitto con Domiziano, il ''calvus Nero''. Con l'accesso al trono del tiranno della [[w:Dinastia flavia|dinastia flavia]], che impose oneri insopportabili su tutto l'impero, anche Apollonio si unisce alla lotta. In un epoca di tirannia, quando il sovrano legittimo minaccia la vita dei suoi cittadini, il dovere del saggio è quello di unirsi direttamente alla lotta; nella rappresentazione di Filostrato, lo scontro tra Apollonio e Domiziano diventa paradigmatico: è il conflitto di filosofia contro tirannia, dello spirito contro la forza. Il filosofo, il saggio, può veramente combattere contro il tiranno;<ref>
La "testimonianza"politica di Apollonio non si ferma nemmeno davanti al rischio della propria vita: in effetti, quando viene informato che Domiziano, a causa della sua coraggiosa azione di opposizione, intende gettarlo in carcere e giudicarlo, Apollonio bruscamente rifiuta qualsiasi consiglio di salvarsi la vita fuggendo. Filostrato, infatti, dà il suo ultimo tocco alla figura di Apollonio facendogli emulare [[w:Socrate|Socrate]].<ref>
Con questo confronto, Apollonio sembra aver finalmente assolto la sua missione politica. Durante il processo, il filosofo continua a mantenere il suo atteggiamento coraggioso ed aperto verso l'autorità imperiale, correlandola con alcune dimostrazioni delle sue capacità soprannaturali. Alla fine, dopo aver denunciato la decadenza morale e materiale che affligge correntemente l'impero,<ref>
L'ideale politico di Filostrato, e quello della classe che egli tipicamente rappresentava, appare definito con chiarezza nella sua opera; è quello di uno Stato basato sull'autonomia municipale, come esisteva sotto gli Antonini. Esprimeva la volontà politica delle oligarchie municipali, specialmente quelle orientali, che durante i primi due secoli venne ad assumere un ruolo sempre più determinante nell'ambito dell'impero, fino al punto di costiture la spina dorsale della struttura socioeconomica. Queste oligarchie avevano acquisito funzioni particolarmente onerose, sia verso la collettività sia verso lo Stato; ma non furono mai pronte a rinunciare ai propri diritti. Furono d'accordo a svolgere i loro pesanti compiti riguardo alle loro proprie città e collettività che rappresentavano socialmente e politicamente: fintanto che venisse loro data una certa autonomia sia economica che finanziaria.
Tale organizzazione poteva essere assicurata solo da un forte potere centrale. L'ideale politico di queste oligarchie municipali segna la crisi dell'antico concetto di ''libertas''<ref>
Naturalmente, il risultato politicamente più prevedibile di un monarca ereditario e centralizzante è l'assolutismo: da ciò consegue l'altro tema basilare del tessuto ideologico di Filostrato, l'odio contro il "tiranno". Le aristocrazie municipali sicuramente volevano un monarca energetico e autorevole, ma non volevano un "tiranno". Non c'è bisogno di dire che le aspirazioni sono illusioni, in politica. Poiché queste aristocrazie non erano in grado di risolvere il problema sul piano istituzionale, cioè politico, venne riformulato, mistificato, su un altro piano: vale a dire, sul piano etico. Per cui fiorirono tutti quei trattai sulle virtù del ''Princeps'', sulle sue qualità necessarie di saggezza, sul suo portamento "regale". Il punto di rottura, la reazione e rivoluzione contro il monarca degeneratosi in tiranno, avverrà solo a livello di interessi personali e di classe: cioè, quando il monarca inizierà ad interferire in faccende private, nelle credenze religiose o etiche dell'individuo; quando prenderà posizione a favore delle classi inferiori favorendo l'emancipazione/avanzamento dei ''liberti'' e darà loro accesso persino agli uffici più alti; quando ascolterà le richieste dei soldati e accetterà le accuse degli schiavi contro i loro padroni: allora, diverrà un diritto, o anzi un dovere, del cittadino di combattere contro il tiranno. Ma mentre l'interesse delle classi dirigenti è garantito, quando i suoi privilegi sono conservati, quando il sovrano tiene ognuno al proprio posto giusto, illuminato da una saggezza superiore; quando rifiuta, con giustizia suprema l'accessione delle classi inferiori, ''allora'' uno può sicuramente giurare la sua obbedienza al monarca assoluto, al ''Dominus et Deus''; in definitiva, quando manterrà e difenderà la divisione della società in classi, la società "bifocale" della ''Spätantike''.
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