Abulafia e i segreti della Torah/Introduzione 2: differenze tra le versioni

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La quantità piuttosto scarsa di riferimenti a Maimonide, che fu il principale centro di dibattiti e discussioni tra gli ebrei europei nella prima metà del XIII secolo, è un fatto sorprendente che dovrebbe essere messo in rilievo perché mostra la scarsa importanza che il suo pensiero aveva per l'economia concettuale dei cabalisti teosofici. In uno di questi pochi casi, è stata fornita una citazione più lunga in modo che il cabalista potesse opporsi alle sue opinioni.<ref>Si veda il testo di Rabbi Jacob Ben Sheshet che è stato tradotto e discusso in Moshe Idel, "Maimonides's Guide of the Perplexed and the Kabbalah", ''Jewish History'' 18 (2004):199-201, e Moshe Idel, "Jewish Kabbalah and Platonism in the Medioevo e Rinascimento ", in ''Neoplatonism and Jewish Though''t, 338-44. In ''Mešiv Devarim Nekhoḥim'' di Ben Sheshet, cur. Georges Vajda (Gerusalemme: Israel Academy of Sciences and Humanities, 1968), fa più volte riferimento al libro di Maimonide mentre discute sul ''Maʾamar Yiqawwu ha-Mayyim'' di Rabbi Samuel ibn Tibbon. Cfr. anche Jonathan Dauber, "Competing Approaches to Maimonides in Early Kabbalah", in ''The Cultures of Maimonideanism: New Approaches to the History of Jewish Thought'', cur. James T. Robinson (Leiden: Brill, 2009):57–88. Nessuno dei cabalisti teosofici nel tredicesimo secolo scrisse nemmeno un commento cabalistico neutrale sui testi filosofici di Maimonide, né un'ampia esposizione sulle sue opinioni. A mio parere, Maimonide era di trascurabile importanza per i cabalisti teosofici, soprattutto se paragonato alla sua centralità nelle opere di Abulafia. Nel caso della maggior parte dei cabalisti teosofici, il ruolo svolto da Maimonide è essenzialmente quello di un fattore scatenante negativo, sebbene nei suoi temi dettagliati ciò abbia avuto un impatto trascurabile. Particolarmente interessante è il fatto che l'enumerazione dei 613 comandamenti da parte di Maimonide nel suo ''Sefer ha-Mitzvot'' sia stata talvolta accettata dai cabalisti, sebbene non abbiano mai menzionato il suo nome in quel contesto.</ref> Da questo punto di vista, Maimonide serviva come un fattore scatenante negativo il cui approccio mentalista e naturalistico alla religione<ref>Per alcuni studi generali sull'innovativo concetto di maimonide riguardo alla vera religione — cioè, dell'ebraismo come lui lo concepiva — cfr. David Hartman, ''Maimonides:Torah and Philosophical Quest (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1976); Eliezer Goldman, ''Expositions and Inquiries: Jewish Thought in Past and Present'' {{he}}, curr. Avraham Sagi & Daniel Statman (Gerusalemme: Magnes Press, 1996), 60–137; Isadore Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides (Mishneh Torah)'' (New Haven: Yale University Press, 1980); Joel L. Kraemer, "Naturalism and Universalism in Maimonides’ Political and Religious Thought", in ''Me’ah She‘arim'', 47–81; Ravitzky, ''History and Faith'', 146–303; Amos Funkenstein, ''Nature, History, and Messianism in Maimonides'' {{he}} (Tel Aviv: Open University, 1983); Davidson, ''Moses Maimonides, The Man and His Works'', 377–87; Davidson, ''Maimonides the Rationalist'' (Oxford: Littman Library of Jewish Civilization, 2011); Jose Faur, ''Homo Mysticus: A Guide to Maimonides’s Guide for the Perplexed'' (Syracuse: Syracuse University Press, 1999); Kellner, ''Maimonides’ Confrontation with Mysticism''; Ehud Benor, ''Worship of the Heart: A Study in Maimonides’s Philosophy of Religion'' (Albany, NY: SUNY Press, 1995); Fraenkel, ''Philosophical Religions'', 175–202; Eliezer Hadad, ''The Torah and Nature in Maimonides’s Writings'' {{he}} (Gerusalemme: Magnes Press, 2011); e Moshe Halbertal, ''Maimonides: Life and Thought'', trd. {{en}} Joel Linsider (Princeton: Princeton University Press, 2013).</ref> sfidava alcuni segmenti dell'élite ebraica in Europa occidentale ad offrire alternative alle sue teorie. In effetti, la sua interpretazione delle questioni esoteriche ebraiche fu una delle ragioni principali per l'emergere della Cabala teosofico-teurgica come un'articolazione di temi precedenti in una cornice più ampia.<ref>Idel, "Maimonides and Kabbalah".</ref> Vista nella sua interezza, la Cabala teosofico-teurgica del XIII secolo include alcuni deboli echi del pensiero maimonideo, in un parallelo negativo all'intensità e profondità dell'appropriazione che è evidente nella Cabala di Abulafia.
 
Fornisco ora un esempio di tale contrasto. Nell'introduzione al suo diffuso ''Commentario al Sefer Yeṣirah'', il rabbino Joseph ben Shalom Ashkenazi, importante cabalista attivo alla fine del tredicesimo secolo,<ref>Questo testo, diffuso in forma manoscritta e in stampa, è stato attribuito a Rabbi Abraham ben David di Posquières, vissuto nel XIII secolo. Per l'autore reale, si veda lo studio innovativo di Gershom Scholem, "The Real Author of the Commentary on Sefer Yeṣirah Attributed to Rabbi Abraham ben David and His Works" {{he}}, in ''Studies in Kabbalah'' [1], curr. Joseph ben Shlomo & Moshe Idel (Tel Aviv: Am Oved, 1998):112–36.</ref> scrisse in modo piuttosto affascinante sull'escatologia dei filosofi che individuavano l'atto principale della redenzione nell'intelletto e non nell'anima: "Dovresti sapere che per coloro che interpreteranno la Torah secondo la via della natura e diranno che l'intelletto si unisce a Dio, questo non è altro che uno scherzo e un ladrocinio, un tentare di plagiare le menti dei figli della religione."<ref>Rabbi Joseph Ashkenazi, ''Commentario al Sefer Yeṣirah'' (Gerusalemme, 1961), fol. 6a. per un'interpretazione differente sull'unione dell'anima con Dio, cfr. Ashkenazi, fol. 9cd, ed il suo ''Commentario a Genesi Rabbah'', cur. Moshe Hallamish (Gerusalemme: Magnes Press, 1984), 269. Questo cabalista era certamente consapevole del libro di Maimonide e le formulazioni presenti in alcune delle sue dichiarazioni dimostrano che da alcuni punti di vista, egli fosse vicino ad Abulafia, sebbene la sua Cabala fosse radicalmente differente da quella del cabalista estatico. Su questo cabalista ed il suo tipo di Cabala, cfr. Haviva Pedaya, "Sabbath, Sabbatai, and the Diminution of Moon: The Holy Conjunction, Sign and Image" {{he}}, in ''Myth in Judaism'', cur. Haviva Pedaya (Be’er-Sheva: Ben-Gurion University Press, 1996):150–53; Brian Ogren, ''Renaissance and Rebirth: Reincarnation in Early Modern Italian Kabbalah'' (Leiden: Brill, 2009), 18–21, 187, 193–94, 216–19, 279–80; Moshe Idel, “An"An Anonymous Commentary on Shir ha-Yiḥud", in ''Mysticism, Magic and Kabbalah in Ashkenazi Judaism'', edscurr. Karl Erich Grözinger and& Joseph Dan (Berlin: De Gruyter, 1995): 151–54; Moshe Idel, ''Golem: Jewish Magical and Mystical Traditions on the Artificial Anthropoid'' (Albany, NY: SUNY Press, 1990), 119–26; Moshe Idel, ''Enchanted Chains: Techniques and Rituals in Jewish Mysticism'' (Los Angeles: Cherub Press, 2005), 228–32; Moshe Idel, “Ashkenazi"Ashkenazi Esotericism and Kabbalah in Barcelona", ''Hispania Judaica Bulletin'' 5 (2007):100–104.</ref> Il nesso tra la "via della natura" e l'"unione/comunione con Dio" è della massima importanza per comprendere l'approccio generale di Abulafia, come verrà discusso di seguito.
 
La comunione intellettuale è concettualizzata come un fenomeno naturale e compresa in una luce negativa. Inoltre, apprendiamo qui i tentativi di propagare questa visione. Altrove, in una dichiarazione parallela trovata in un altro dei libri di Ashkenazi, aggiunge che quei commentatori collegavano la loro interpretazione naturalistica a una visione del mondo come pre-eterno (''ʿal ha-qadmut'').<ref>Ashkenazi, ''Commentario a Genesi Rabbah'', 250: {{Lingua ebraica|אל אגשם קמ ו בעדתנ ו נ אשים נק רא ו חכ י מם בעיני מיש אינו יו דע דתו וס ו בר שעלת הידב ו אמונתו והנ ם פמרשי ה ו תר הלע דר ך טהב ע ע דפישרש ו א תתו הרה על הקדמות}}
"Ma nella nostra comunità sono apparse persone che sono chiamate 'saggi' da chi non sa quale sia la sua religione ma pensa di comprendere la propria fede, e stanno commentando la Torah secondo il sentiero della natura, in modo da commentare la Torah secondo la pre-esistenza."<br/>
Vedi anche la sua affermazione simile, in un'importante discussione trovata altrove nello stesso libro, 146:
{{Lingua ebraica|ליקי ם קדמות ועשו לו מ תדובות פושטי ם כל חאדוא חד כד י ילש ב דהת על מאמיני הפכה בקדמות ה ו עםל}}
"Per sostenere la pre-eternità, e hanno inventato parole per il semplice senso, ognuna per stabilire la religione secondo i credenti del suo opposto, la pre-eternità del mondo."<br/>Le "parole inventate" possono riferirsi ad allegorie che interpretano il senso semplice. Vedi anche il punto di vista che Nahmanide attribuisce a un certo Rabbi Abraham, forse ibn Ezra, in merito a una visione platonica della pre-eternità, discusso in seguito.</ref> Qui, le interpretazioni intellettuali e naturali delle sacre scritture, immaginate da Ashkenazi come deleterie, erano intese ad andare di pari passo, poiché l'intelletto era concepito come parte della natura quando interpretato in una vena aristotelica. Una persona è capace di educare se stessa per raggiungere il trabocco intellettuale, dato che è disponibile poiché pulsa costantemente nella realtà. Ashkenazi presenta l'ideale filosofico dell'unione dell'intelletto con Dio, che si riscontra, anche se solo implicitamente tra quei commentatori, come una mera strategia per attirare le persone religiose allo studio della filosofia. Tale strategia di travestimento fu riconosciuta sia dallo stesso Abramo Abulafia che dal rabbino [[w:Shlomo ben Aderet|Solomon ibn Adret]] nella sua descrizione della natura speciale dei libri di Abulafia.<ref>Si veda il ''responsum'' 1 nr. 548 di ibn Adret, e Rabbi Nathan, ''Le Porte della Giustizia'', 478.</ref>
 
L'accusa di Ashkenazi è corroborata dagli scritti di uno dei suoi contemporanei. Rabbi [[w:Judah ben Moses Romano|Judah Romano]], un pensatore italiano attivo a Roma all'inizio del XIV secolo, scrive nel suo ''Commentario sul Resoconto della Creazione'': "Alcuni saggi di Israele dell'ultima generazione – i cui nomi sarebbe meglio non menzionare – erano inclini a un'interpretazione della pre-eternità nei loro commentari sull'ordine della creazione e ai sillogismi dei filosofi".<ref>Ms. Firenze, Laurenziana, Plut. I, 22, fol. 45a:
{{Lingua ebraica|אב ל צקת מחכמי ישראל האחורנ ים אש י רןא רוי א לנ קב ם בשו מת, נט ו א ל קהדמו תבוי אר ו פבירו שי הם כל סד ר בהריאה
ביאו רונט ה אל קהדמו ת נמשכי ם חאר הקשי ה י פלוסופים}}
Su questo trattato, si veda Joseph B. Sermoneta, "The Commentary to ‘The Pericope of Creation’ of Rabbi Judah Romano and Its Sources" {{he}}, in ''Proceedings of the World Congress of Jewish Studies'' 2 (1965):341–42.</ref> Come vedremo anche nel caso di Abulafia, la preoccupazione principale di Romano non era la filosofia in sé, ma piuttosto un tentativo di reinterpretare la religione ebraica tradizionale in un modo nuovo, sebbene il suo approccio differisca sostanzialmente da quello del precedente rabbino Samuel ibn Tibbon. Abbiamo recentemente appreso dalla discussione di Yitzhak Tzvi Langermann sul precedente materiale esegetico ebraico, che c'erano effettivamente commentatori precedenti sulla Genesi che presumevano la pre-eternità dell'universo.<ref>Yitzhak Tzvi Langermann, "Cosmology and Cosmogony in Doresh Reshumot, a Thirteenth-Century Commentary on the Torah", ''HTR'' 97 (2004):199–227. Si veda anche Abulafia, ''Sitrei Torah'', cur. Gross (Gerusalemme: 2002), 175–76. Cfr. anche il frammento del perduto commentario sul Pentateuco di Rabbi Shem Tov ibn Falaquera, presentato da Rabbi Samuel ibn Tzartza (XIV sec.), discusso in Raphael Jospe & Dov Schwartz, "Shem Tov Falaquera’s Lost Bible Commentary", ''HUCA'' 64 (1993):191.</ref>
 
Joseph Ashkenazi era certamente piuttosto critico nei confronti dei filosofi, sebbene ne fosse anche influenzato: i suoi scritti mostrano una buona conoscenza della filosofia medievale.<ref>Si veda l'importante articolo di Georges Vajda, "Un chapitre de l’histoire du conflit entre la Kabbale et la philosophie: la polémique anti-intellectualiste de Joseph b. Shalom Ashkenazi", ''Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge'' 31 (1956):45–14, e anche il testo che ha pubblicato e che tratta della sua critica della filosofia "Ninety-Four Principles of the Philosophers Cited by Rabbi Joseph Ashkenazi" {{he}}, ''Tarbiz'' 27 (1958):290–300.</ref> Nonostante ricorra molte volte al termine "natura", egli tuttavia affermò che la natura non ha un intendimento delle persone che sono vicine a Dio.<ref>''Commentario a Sefer Yeṣirah'', fol. 44d:
{{Lingua ebraica|כי דו רש י 'הלאיפ על בה םבטע רק"ה ' עליה םחייו " י(שעי החי ל:ז).}}
Bisogna ricordare che anche altri cabalisti espressero la loro reticenza verso la centralità del concetto di natura negli scritti dei filosofi. Si vedano specialmente le opinioni di Nahmanide, da me trattate in seguito.</ref> Ashkenazi offrì un quadro cabalistico completo dell'universo basato su modi di pensare non-maimonidei, alcuni probabilmente derivanti dall'Ismāʿīliyyah,<ref>Si vedano le importanti osservazioni di Shlomo Pines in merito, nel suo "Shi’ite Terms and Conceptions in Judah Halevi’s Kuzari", 249–51.</ref> che furono almeno in parte formulati come risposta alla sfida filosofica, fondata su un approccio naturalistico. Alla fine egli usò temi maimonidei all'interno di un approccio anti-maimonideo, come debitamente sottolineato da [[:en:w:Georges Vajda|Georges Vajda]].<ref>Cfr. il suo "Un chapitre de l’histoire du conflit", 73–74.</ref>. Un commentatore di alcuni Salmi<ref>Si veda Moshe Hallamish, "Remnants of the Commentary of Rabbi Yoseph Ashkenazi to Psalms" {{he}}, ''Daʿat'' 10 (1983):57–70.</ref> e di diversi testi ebraici tardoantichi,<ref>Si veda l'introduzione di Hallamish al ''Commentario a Genesi Rabbah'', 14–16.</ref> Joseph Ashkenazi era più interessato agli errori di ermeneutica filosofica rispetto a qualsiasi altro cabalista del tredicesimo secolo, almeno per quanto possiamo apprendere dalle testimonianze scritte.
 
 
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