Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo II: differenze tra le versioni

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Un'altra premessa importante di tale commercio interno e un fattore principale di sviluppo economico fu l'alto coefficiente di urbanizzazione, superiore a quello di qualsiasi altra parte del mondo antico: questo, insieme ad una struttura di proprietà agraria che non è ancora del tutto compresa<ref>108</ref> ma che sembra alquanto differente dal ''latifundium'' generalmente predominante nelle regioni imperiali occidentali,<ref>109</ref> permise la massima crescita di questa area privilegiata dell'impero romano e lo sviluppo di possibilità latenti. Con sorprendente rapidità, l'impulso dello sviluppo economico si diffuse dalle città costiere alle regioni montuose interne, poi fino alle vaste valli fluviali, sopra le catene montuose, entrando nel cuore delle zone lontane — spargendo ovunque nuove energie. Le città marittime prosperarono, beneficiando del riflusso prodotto da queste nuove energie, e divennero ricche servendo da intermediarie, distribuendo il surplus della produzione interna dei centri commerciali mediterranei.<ref>110</ref>
 
Inoltre, si deve aggiungere che questo settore in effetti rappresentò un ponte tra Oriente e Occidente. Non solo, come spesso si potrebbe pensare seguendo le orme di Sir [[w:Mortimer Wheeler|Mortimer Wheeler]], per quei rinomati prodotti del commercio internazionale, i ''Grandi Cinque'': incenso dall'Arabia, avorio dall'Africa, pepe dai [[w:Tamil (popolo)|Tamil]] e seta cinese (escludendo naturalmente l'ambra, che veniva dal Baltico);<ref>111</ref> ma anche per molti altri articoli portati da carovane o navi dal mondo orientale.<ref>112</ref> In questa sfera, la Siria era in una posizione di assoluto privilegio: durante l'età imperiale, il mercante siriano sembra aver sostituito in ogni aspetto il ''negotiator'' italico, che aveva dettato legge sulla scena commerciale del mondo ellenistico. Gli imprenditori orientali sono presenti su tutti i mercati del mondo antico, pronti a confrontarsi con qualsiasi concorrente, disposti ad reinvestire immediatamente i profitti guadagnati. Sono sempre loro, che impongono sui mercati commerciali i prodotti delle proprie manifatture molto apprezzate: i broccati di lana e le belle lenzuola; e specialmente, la seta pregiata che gli artigiani siriani hanno imparato a lavorare, importando quindo solo la materia grezza. Molto abili anche nelle tecniche metallurgiche, producevano articoli alquanto richiesti da tutte le nazioni: gli armaioli fornivano l'Arabia, i produttori di bronzo fondevano e groffavano lastre per i Sassanidi; gli orafi creavano gioielli complessi indossati da tutte le donne del mondo romano.<ref>113</ref> Ma c'erano due attività industriali che mantenevano il monopolio incontestabile della Siria: la [[w:soffiatura del vetro|soffiatura del vetro]] e la [[w:Porpora|tintura in porpora]].<ref>114</ref> Sidone divenne ricca col primo prodotto, esportando il suo vetro in tutto il mondo romano, anche nella Germania libera;<ref>115</ref> il secondo rappresentava la specialità di [[w:Tiro (Libano)|Tiro]], le cui stoffe non avevano eguali ed erano vendute a prezzi altissimi. I ''mercatores'' fenici, e le loro società, detenevano il monopolio nelle nazioni orientali, il vasto commercio internazionale romano, i ''Grandi Cinque'', come ho già citato. Questo era il commecio che procurava la fortuna delle grandi città carovaniere, come Petra, Bostra e specialmente Palmira e Antiochia, quest'ultima essendo al capolinea di importanti vie commerciali terrestri.<ref>116</ref> E questo era in effetti il commercio che infiammava moralisti come Plinio il Vecchio, che si indignava alla vista dell'Impero Romano dissanguato finanziariamente a favore di "lavativi" orientali, a causa dei capricci di donne sconsiderate e uomini effemminati: secondo le sue fonti (o stime personali), l'Oriente sottraeva all'economia romana almeno 100 milioni di sesterzi ogni anno.<ref>117</ref> Sebbene questa cifra debba essere considerata con cautela,<ref>118</ref> e il cosiddetto "salasso dell'oro" verso le nazioni orientali non avesse una tale grande importanza come certi studiosi (Bratianu, Piganiol)<ref>119</ref> sembra gli abbiano dato, purtuttavia gran parte di tale flusso aurifero, quale che fosse l'ammonto reale, doveva finire nelle tasche di intermediari: in questo caso, alessandrini, siriani, palmirani; e, comunque, aggiunto aqlle altre entrate attive nel bilancio commerciale siriano, questo fatto di certo influenzava pesantemente la bilancia del commercio interno mediterraneo a favore delle province orientali. Tale trasferimento di capitali, innegabile nonostante certe posizioni prese da alcuni studiosi moderni,<ref>120</ref> deve essere stato uno dei fattori principali per la prosperità del settore orientale, e simultaneamente anche uno degli elementi determinanti nello squilibrio della struttura globale dell'economia imperiale. La decentralizzazione, se fattore dinamico di questa economia, alla fine fu compiuta tramite lo sfruttamento di certe province rispetto ad altre, e dalla creazione o peggioramento di tensioni socioeconomiche insite in essa.
Inoltre, si deve aggiungere che questo settore in effetti rappresentò un ponte tra Oriente e Occidente. Non solo, come spesso si potrebbe pensare seguendo le orme di Sir [[w:Mortimer Wheeler|Mortimer Wheeler]], per quei rinomati prodotti del commercio internazionale, i ''Grandi Cinque'': incenso dall'Arabia, avorio dall'Africa, pepe dai [[w:Tamil (popolo)|Tamil]] e seta cinese (escludendo naturalmente l'ambra, che veniva dal Baltico);<ref>111</ref> ma anche per molti altri articoli portati da carovane o navi dal mondo orientale.<ref>112</ref>
 
 
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[[Categoria:Cambiamento e transizione nell'Impero Romano|Capitolo II]]