Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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In effetti, al livello di sovrastrutture, la trasformazione del mondo classico, del mondo greco-romano, appare molto più comprensibile. Per così dire, il dibattito sull'idea della decadenza si evolse dal piano sovrastrutturale all'ambito della storia della cultura. I primi a rifiutare una concezione di "decadenza" e sostituirvi la visione di un processo ininterrotto di trasformazione, che avrebbe collegato in un continuum l'età di Marco con quella di [[w:Costantino I|Costantino]], furono gli studenti della storia spirituale del mondo antico, specialmente gli storici dell'arte. [[w:Alois Riegl|Alois Riegl]] ed i teorici della cosiddetta "[[w:Scuola viennese di storia dell'arte|Scuola Viennese]]"<ref>A. Riegl, ''Spätrömische Kunstindustrie'', Vienna, 1901. Sulla cosiddetta "Scuola viennese" si vedano: G.V. Schlosser, ''La storia dell'arte nelle esperienze e nei ricordi di un cultore'', trad. ital., Bari, 1936; R. Bianchi Bandinelli, ''Archeologia e cultura'', Milano-Napoli, 1961, pp. 189segg. (sulla crisi artistica alla fine del mondo antico); pp. 234segg. (su Wickhoff e l'arte romana). per un esame del concetto di "Kunstwollen", cfr. E. Panofsky, ''La prospettiva come forma simbolica'', trad. ital., Milano, 1961, pp. 157segg.; D. Ainalov, ''Ellinisticheskie osnovy visantiiskogo iskusstva'' (trad. ingl. E.S. Sobolevitch, ''The Hellenistic Origins of Byzantine Art'', New Jersey, 1961).</ref>, già all'inizio del XX secolo, affermavano con insistenza la validità e l'autonomia delle esperienze intellettuali avvenute durante tale periodo e che segnavano nella sostanza l'inizio di una nuova concezione mondiale e, correlativamente di una nuova forma artistica; gli storici della filosofia, della religiosità e della cultura, ora si spostano nella stessa direzione e adottano una prospettiva che non è più quella assolutamente negativa e pessimista mantenuta dai loro predecessori.<ref>Sulle varie posizioni degli storici riguardo alla filosofia antica, cfr. ''The Cambridge History of Later Greek and Early Mediaeval Philosophy'', cur. A.M. Armstrong, Cambridge, 1967; W. Theiler, ''Forschungen zum Neuplatonismus (Quellen u. Stud. z. Gech. d. Philos.'', 10, Berlino, 1966; S. Sambursky, ''The Physical World of Late Antiquity'', Londra, 1971;spec. Cap. II, pp. 49-114. Sui nuovi approcci alla religiosità del III secolo, cfr. E.R. Dodds, ''Pagan and Christian in an Age of Anxiety'', Cambridge, 1965; W.H.C. Frend, ''Martyrdom and Persecution in the Early Church'', Oxford, 1995; P. Brown, ''The Making of Late Antiquity'', Cambridge, 1978; A. Momigliano (cur.), ''The Conflict between Paganism and Christianity in the Fourth Century'', Oxford, 1963.</ref> Nell'ambito di questa sfera di ricerca, il terzo secolo non è più una "epoca oscura", in cui tutto si sgretola e collassa, ma costituisce un momento importante e cruciale per la creazione di una visione di mondo nuovo e di una nuova cultura; da questo, infatti, si genera una nuova fase della storia del mondo antico e di quelle fondamenta statali che gravitano intorno all'Impero Romano: cioè ''Spätantike'', l'epoca in cui l'unità prima ''culturale'' e poi ''politica'' dell'impero universale scomparve gradualmente e fu rimpiazzata, su fondamenta "tardo-antiche", da nuove strutture economiche e sociali.<ref>S. Mazzarino, ''La democratizzazione della cultura del Basso Impero'', pp. 35segg.; F.G. Maier, ''Die Verwandlung d. Mittelmeerwelt'', pp. 9segg.; 15segg.; 398. Sulle svariate interpretazioni di ''Spätantike'', cfr. Lynn White, ''The Transformation of the Roman World'', pp. 179; 204; 248; 301; W.C. Bark, ''Origins of the Medieval World'', Stanford, 1958; C.D. Burns, ''The First Europe (400-800)'', Londra, 1936; A.H.M. Jones, ''The Later Roman Empire'', Oxford, 1964; S. Katz, ''The Decline of Rome and the Rise of Medieval Europe'', Ithaca, 1995; H.St.L.B. Moss, ''The Birth of the Middle Ages'', Londra, 1945; J. Vogt, ''Der Niedergang Roms'', Zurigo, 1975; J.M. Wallace-Hadrill, ''The Barbarian West, 400-1000 AD'', Londra, 1977<sup>4</sup>.</ref>
 
Il concetto di "decadenza", come ho già detto, ovviamente è comprensibile soltanto nell'ambito di una visione "classicista" del mondo antico; e, a sua volta, appre alquanto evidente che tale visione classicista dell'antico è una dei lasciti più logori ed imbarazzanti del razionalismo illuminista.<ref>P. Gay, ''The Enlightenment: An Interpretation. The Rise of Modern Paganism'', New York, 1967, ''passim''; P. Brown, ''The World of Late Antiquity, pp. 70-81.</ref> Questo però non è un sillogismo; nel corso di questo mio studio si vedrà, più di una volta, come il vincolo illuminista ha pesato potentemente in senso negativo sull'interpretazione del terso secolo. Non è stata sviluppata, per quanto ne so, una ricerca significativa sulle componenti illuministe della storiografia del XIX secolo e tardo XIX secolo in merito al mondo antico (includendoci dentro anche [[w:Eduard Meyer|Meyer]] e [[w:Michail Ivanovič Rostovcev|Rostovtzeff]] agli inizi del XX secolo); tuttavia, potrebbe veramente produrre risultati interessanti e potrebbe chiarire molte di quelle interpretazioni storiografiche proposte dagli insegnanti della nostra scienza. Rostovtzeff, come è stato indicato acutamente,<ref>A. Momigliano, ''op. cit.'', p. 9; "Aspetti di Michele Rostovtzeff", su ''Contributo'', III, p. 333.</ref> è infine molto meno appartato da [[w:Edward Gibbon|Gibbon]] di quanto ci faccia sospettare lo studio enormemente accresciuto in materia; e, per sua ammissione e vocazione esplicite; [[w:Ronald Syme|Syme]], nonostante certe sofisticatezze nelle sue tecniche di ricerca, sembra molto più allineato coi ''Philosophes'' scetticamente razionalisti del diciassettesimo secolo che non con alcuni degli inquieti rappresentanti dell'attuale generazione di storici (da [[w:Pierre Vilar|Vilar]] a [[:pl:w:Witold Kula|Kula]], a [[w:Eric Hobsbawm|Hobsbawm]], ecc.). Per un giudizio sul III secolo, questa prospettiva è stata determinante; a dir la verità, apparve come un'epoca di "decadenza" al confronto con l'ipotizzata e ipotetica perfezione dell'era repubblicana e dei primi due secoli dell'età imperiale, specialmente la mitica "età degli Antonini". Il risultato più consequenziale di questa prospettiva fu che, dopo la "crisi" del terzo secolo, il Medioevo sarebbe iniziato. Tale ful il caso, infatti, per quegli storici totalmente convinti della decadenza irrimediabile di quel secolo e dell'intero periodo che chiamarono ''Bas-Empire'', il "Tardo Impero" (terminologia che risale a [[w:Charles du Fresne, sieur du Cange|Du Cange]] e [[:en:w:Charles le Beau|LeBeau]], con enfasi peggiorativa su ''Bas'').<ref>Su questaquesto tema cfr. P. Gay, ''op. cit.'', spec. la parte "The Appeal to Antiquity. The Useful and the Beloved Past". Si veda anche M. Gigante, ''Introduzione alla filologia bizantina'', Napoli, 1956, pp. 13segg.</ref> Già nel 1927 F. Lot, illustre storico francese, forse uno dei migliori esperti di tale periodo per la parte gallico-germanica, intitolava il suo resoconto della storia del III secolo e la sua trattazione del periodo da Costantino a [[w:Giustiniano I|Giustiniano]], ''La Fin du Monde Antique et le Début du Moyen Âge''.<ref>F. Lot, ''La Fin du Monde Antique et le Début du Moyen Âge'', Parigi, 1951. Successivamente troviamo autori che intitolano le proprie opere con ''The Decline of Rome'' (A.M.H. Jones; J. Vogt, 1966), oppure ''Corruption and the Decline of Rome (R. MacMullen, 1988).</ref>
 
Possiamo ora tentare di comprendere le difficoltà storiografiche incontrate dalla storiografia moderna nel trattare il terzo secolo, e le incertezze implicite di una sua corretta valutazione storica. Il III secolo è l'inizio di una decadenza ininterrotta, prolungatasi per secoli fino alla dissoluzione dell'Impero Romano (secondo Gibbon, che la fece protrarre fino alla caduta dell'impero bizantino, vero erede dell’''imperium'' universale)? Oppure, rifiutando il concetto "antistorico" di decadenza (e quindi, e più giustamente, quello anacronistico e vuoto del Medioevo), il III secolo fu un periodo di "crisi", un periodo di transizione posto tra due epoche di relativa prosperità, quasi una ''maladie'' che nel corso di tale secolo l'Impero dovette affrontare, venedone fuori rigenerato ed rinforzato, per poi cadere nuovamente e definitivamente sotto i colpi dei barbari germanici?<ref>A. Piganiol, ''L’Empire Chrétien'', 1947, p. 422. Tuttavia, si veda anche la sua spiegazione "economica" nel suo successivo ''Historie de Rome'', Parigi, 1962<sup>2</sup>, p. 522, in cui la rigidità della prima tesi viene molto ridotta: "Penso che la causa essenziale [della caduta di Roma] fosse lo spostamento dell'asse commerciale. Agli inizi, la ricchezza era concentrata intorno al Mediterraneo. Ma ora l'attività viene trasferita all'asse Reno-Danubio, lungo il quale nascono gli stati metà romani e metà barbari, ai confini tra Germania e Romania". Implicito è che la causa di tale spostamento sarebbe stata la necessità di evitare le minacce degli "assassini" barbari.</ref> E, inoltre, cambiando formula e finanche prospettiva: questa "crisi" del III secolo produsse un impero sostanzialmente immutato nelle sue strutture fondamentali – culturali e socioeconomiche – e nella sua natura essenziale, o segnò veramente la fine di un'epoca per il mondo antico e lo stabilimento, sulle ceneri del vecchio ordine, di un nuovo mondo, caratterizzato da peculiari strutture sociali, economiche e culturali?<ref>Si veda infine F. G. Maier, ''Die Verwandlung'', pp. 7segg.; 9</ref>
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Dalla risposta a queste domande dipende in realtà l'interpretazione di questa epoca convulsiva di trasformazioni socioeconomiche e culturali, che convenzionalmente chiamiamo III secolo. In effetti, un problema di periodizzazione, come afferma giustamente K. F. Stroheker, è non solo un momento formale, estrinseco alla ricerca storica, ma costituisce anche e proprio la predicazione del problema.<ref>K.F. Stroheker, "Um die Grenze zwischen Antike und abendländischen Mittelalter", ''Saeculum'', 1950, pp. 433-465, aggiornato in ''Germanentum und Spätantike'', Zürich-Stuttgart, 1965, pp. 275-308 (studio fondamentale, ma molto difficile da capire nella versione originale tedesca). Si veda anche A.F. Harvighurst, ''The Pirenne Thesis. Analysis, Criticism and Revision'', Boston, 1958; Lynn White (cur.), ''The Trasformation of the Roman World'', Berkeley, 1966. Sulla "periodizzazione" cfr. A. Dopsch, ''Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturenwicklung'', II ediz., Vienna, 1923-24.</ref> In sostanza, qui abbiamo a che fare con una valutazione storica di un'epoca e delle sue peculiarità, per le quali viene distinta da tutte le altre e costituisce un'entità determinata e in qualche modo autonoma. Per ragioni che spiegherò, non posso accettare la teoria di coloro che credono che, arrivati al IV secolo e particolarmente a [[w:Costantino I|Costantino]] (o a volte persino a [[w:Diocleziano|Diocleziano]]) il Medioevo occidentale sarebbe iniziato. La crescente critica del concetto "medievale", ed un'analisi ravvicinata dei "modi" e forme individuali tramite cui avvenne la transizione, in dati ambienti socioculturali, dall'unità dell’''imperium romanum'' alle neoformazioni romano-barbariche,<ref>Cfr. per es. la prospettiva "aperta" di Hermann Aubin, ''Vom Altertum zum Mittelalter'', München, 1949 (e la sua scuola).</ref> ha fortemente limitato la validità di una tale formulazione — che, tra l'altro, ha goduto del favore dei curatori di una storia "universale" di standard eccellente come il ''[[:en:w:The Cambridge Ancient History|Cambridge Ancient History]]''. Tuttavia, bisogna sottolineare, infatti che [[:en:w:Norman H. Baynes|Baynes]] (che fu l'ispiratore e coordinatore del Volume XII e del primo Volume del ''Cambridge Medieval History''),<ref>Cfr. ''Epilogue'' del Vol. XII, p. 705.</ref> quando propose la formula ''Crisis and Recovery'' per l'ultimo volume del ''CAH'', stava riconoscendo il fatto che l'interpretazione negativa, tutta "ombre" e incertezze, del Tardo Impero, non poteva, né doveva, essere più mantenuta; e che, come aveva già indicato nel suo breve ma importanto libro del 1926 sulla ''HA'' e in altri saggi fondamentali,<ref>Cfr. specialmente ''The Hellenistic Civilisation and East Rome'', Oxford, 1945; ''The Byzantine State'', Cambridge, 1935; "Some Aspects of Byzantine Civilisation", ''JRS'', 1930; "The decline of the Roman Power in Western Europe: some modern explanations", ''JRS'', 1943, ora raccolti in ''Byzantine Studies and Other Essays'', Londra, 1955.</ref> l'iterpretazione di Gibbon di una decadenza continua ininterrotta non poteva più essere sostenuta. Un tale ribaltamento decisivo della prospettiva gibboniana in quest'ultimo volume del ''CAH'' fu immediatamente percepito da [[w:Joseph Vogt|J. Vogt]], che in una recensione importante criticò l'appiattimento indebito della prospettiva storica e il senso di continuità troppo forte.<ref>J. Vogt, ''HZ'', 161, 1940, p. 565.</ref> Vogt, sorpreso, osservò che nel volume curato e ispirato da Baynes "il concetto di decadenza era totalmente assente"; ed era vero: ciò che, paradossalmente, stava emergendo con vigore in questa ultima ramificazione dell'albero storiografico bourgeois-liberale, piantato da [[w:John Emerich Edward Dalberg-Acton|Lord Acton]] e [[w:John Bagnell Bury|J. B. Bury]], era proprio la critica dell'idea meccanicistica illuminista della decadenza.<ref>Cfr. il famoso ''Inaugural'' (1895)di Lord Acton, in ''Modern History'', Londra, 1906, ed un altro ''Inaugural'' (1903) di J.B. Bury, ''The Science of History'' (ora in ''Selected Essays of J.B. Bury'', cur. H. Temperley, 1930, rist. Hakkert, 1964), pp. 3segg.</ref> Come ad esorcizzare la ''Dekadenzidee'' – vecchio demone della storiografia europea – quel volume pubblicato durante i primi mesi di un anno denegatorio (1939), che avrebbe visto riapparire i fantasmi della distruzione e l'annientamento delle civiltà, includeva i risultati fondamentali della ricerca storica ottenuti nel ventennio tra le due Guerre Mondiali, sviluppato sotto l'egida di uno [[w:storicismo|storicismo]] più o meno consapevole, che comunque lasciava poco spazio a dinterpretazioni storiografiche "negative" o "pessimiste".<ref>Cfr. l'influenza di Mainecke sugli storici tedeschi in P. Rossi, ''Lo storicismo tedesco contemporaneo'', Milano, 1956, pp. 473segg. Su Febvre e Bloch, e la Scuola "Annales" si dovrebbero consultare direttamente le loro opere; tuttavia, si veda H.D. Mann, "Lucien Febvre, La pensée vivante d'un historien", ''Cah. des Ann.'', 31, Parigi, 1971. Sulle idee storiografiche di Piganiol, cfr. "Qu’est-ce l'historie", ''Rev. de Metaph. et Mor.'', 1955, p. 228segg.; si veda anche S. Mazzarino, "Hommage à A. Piganiol" in ''Allocutions pronuncées le 18 juin 1966 au Collège de France'', pp. 13-17. Sulla storiografia inglese, si veda l'articolo polemico di G.S. Jones, "The Pathology of En glish History", ''New Left Rev.''. n. 46, 1975.</ref> Il volume includeva opere di Esslin e [[w:Andreas Alföldi|Alföldi]], il primo autore indubbiamente miglior studioso delle strutture politiche e istituzionali del Tardo Impero Romano; il secondo che tendeva a rinnovare lo studio dei suoi aspetti culturali e della mentalità politica.<ref>Si veda spec. A. Alföldi, ''A Conflict of Ideas in the Later Roman Empire'', Oxford, 1952, e anche i suoi ''Studien z. Geschichte der Weltkrise des 3. Jahrh. nach Christus'', Darmstadt, 1967 (raccolta di opere sul III secolo).</ref> Inoltre, vi figuravano anche Burkitt e Lietzmann (e, dietro di loro, la forte presenza della Scuola Harnack)<ref>Sulle relazioni tra Lietzmann, Harnack e Holl, si veda K. Aland, "Aus der Blütezeit d. Kirchenhistorie in Berlin. Die Korrespondenz A. von harnacks und K. Holls mit H. Leitzmann", ''Saeculum'', 1970, pp. 235-271.</ref>; e Nock, con le sue proposizioni sulla ''Conversion'' (1933) e la sua erudizione profonda sulla complessa materia della religiosità pagana;<ref>Cfr. anche la sua pubblicazione, insieme a Festugière, del ''Corpus Hermeticum''.Per una valutazione globale dell’''opus'' di Nock, cfr. il necrologio di E.R. Dodds e H. Chadwick, ''JRS'', 1963, pp. 168segg.</ref> e J. Bidez (con influenze di Franz Cumont);<ref>Sull'importanza degli studi della storia delle religioni riguardo alla prospettiva ''Spätantike, cfr. S. D'Elia, ''Il Basso Impero nella cultura moderna'', pp. 373segg.</ref> e Rodenwaldt (cioè, Riegl e la Scuola Viennese, ed il suo rinnovamento degli studi sull'arte romana della Tarda Antichità);<ref>Cfr. ''supra'' n.1 e anche "The Transition to the Late-Cloassical Art", ''CAH'', 1939, pp. 544-570.</ref> c'era anche Collingwood, in una parte comunque secondaria; c'era Oertel, con la sua dichiarata interpretazione "mickwitziana" della storia economica del III secolo.<ref>''CAH'', XII, pp. 232segg. (anche pp. 279 e 402-403; Ensslin). L'accettazione delle teorie di Mickwitz anche di M. Gelzer, ''BZ'', 1933, p. 387; Kiessling, ''Gnomon'', 1939, p. 372; ecc. Parimenti, ma con interessanti limitazioni, A. Bernardi, "The Economic problems of the Roman Empire at the time of its decline", ''SDHI'', 1965, pp. 110-170; L. Cracco-Ruggini, ''Economia e Società nell'Italia Annonaria'', Milano, 1962.</ref> In pratica, tutto stava a documentare, in un momento così contraddittorio per la scienza storica del mondo antico, la conquista dal di dentro di una conoscenza più completa e storicista del mondo spirituale di un'antichità in declino. Un'antichità che però possedeva, nonostante le sue afflizioni, grandezza e vitalità spirituale e che fu creativa tanto quanto qualsiasi altra epoca della storia mondiale, forse ancor di più.<ref>Cfr. l'ipotesi di Jaeger nel suo "Humanism and Theology", ''Humanistische Reden u. Vorträge'', Berlino, 1960, pp. 308-9. Si veda anche S. Mazzarino, ''Aspetti sociali del IV Secolo'', Bari, 1951, pp. 10segg.</ref> Fu in grado di trasmettere le sue esperienze, non solo culturali e artistiche ma anche politiche e sociali ed economiche, ai secoli dominati dalle costellazioni politiche dei nuovi ''Regna'' barbarico-romane: secoli non più "oscuri", non ancora medievali, ma tardo-antichi — vale a dire, in cui il lascito politico, economico e sociale del mondo mediterraneonon era ancora scomparso, né la sua peculiare formazione politica con una sfondo preternazionale; in sintesi: l’''imperium romanum''.<ref>Si veda S. Mazzarino, ''Il Pensiero storico classico''. Cfr. anche F.G. maier, ''Il mondo mediterraneo tra l'Antichità e il Medioevo'', pp. 14segg.</ref>
 
Tuttavia fu specialmente il riesame delle vicissitudini economiche da cui era emerso drammaticamente il Tardo Impero Romano, che impose una profonda revisione dell'attuale valutazione del terzo secolo. La scoperta di uno "stile" economico specifico della Tarda Antichità, contro le interpretazioni pessimiste di Lot, Rostovtzeff e Persson – e ancor prima da Meyer o M. Weber – comportò anche un'analisi più attenta delle fasi mediante le quali tale epoca era stata creata e delle sue forze concomitanti: proprio alla base delle "nuove" strutture dell'economia e società del tardo-romana stava quella perturbazione economica e sociale che gli storici, ancor troppo prevenuti dalle concezioni classiciste, avevano designato con espressioni tipo "decadenza" o "crisi". Nel 1926, quando Rostovtzeff espose la sua propria interpretazione della "crisi" imperiale, gli studi della storia monetaria dell'Impero Romano era ancora in una fase embrionica – o perlomeno, non erano ancora andati oltre la fase descrittiva; mancava ancora un'analisi in prodondità dell'inflazione del III secolo che, come oggi è assai evidente, poteva solo essere risolta con l'implementazione del sistema monetario di Costantino, connesso all'oro, al ''solidus'' aureo: la moneta più stabile di 4 ''grammata'' d'oro che avrebbe caratterizzato l'intera storia economica del mondo tardo-imperiale e "bizantino".<ref>Cfr. S. Mazzarino, ''Aspetti sociali del IV secolo'', pp. 107segg.; ''L’impero romano'', Bari, pp. 666segg., 694.</ref> Com'era, questaquesto tema del rapporto tra economia e sistema monetario nel Tardo Impero fu alla base del libro che indubbiamente segnò un punto decisivo nell'interpretazione dell'economia tardo-imperiale, il famoso ''Geld und Wirtschaft im römischen Reich des vierten Jahrhunderts'' di [[:de:w:Gunnar Mickwitz|Gunnar Mickwitz]] (1932). In questo studio fondamentale, sebbene alquanto breve, – come anche in altre opere originali connesse a questo problema<ref>''Die Systeme des röm. Silbergeldes im IV Jhdt. n. Ch.'', Helsingfors, 1933; ecc.</ref> – il giovane studioso finlandese, reagendo alle interpretazioni "deprimenti" presentate da Persson<ref>A.W. Persson, "Staat u. Manifaktur im röm. Reiche", ''Skrifter utgivan av Vetenskaps-Societaten I Lund'', 3, 1923.</ref> e Rostovtzeff, insisteva sul fatto che l'economia privata del IV secolo era sempre fondata sullo scambio in moneta e che, in realtà il sistema monetario istituito da Diocleziano e stabilizzato da Costantino aveva tutti i requisiti per costituire un solido supporto alle strutture economiche e sociali del Tardo Impero. ''Contra'' Persson, che aveva interpretato le dinamiche economiche del IV secolo in termini della rioganizzazione di un'industria statale e la creazione di un sistema di economia dirigista che impediva la concorrenza (con la conseguente socializzazione dei prezzi di produzione e la relativa vittoria di un economia in natura) – modello in parte continuato dallo storico inglese [[:en:w:F. W. Walbank|F.W. Walbank]] in un libro di ispirazione marxista<ref>F.W. Walbank, ''The Decline of the Roman Empire in the West'', Londra, 1946, successivamente ripubblicato ed ampliato in ''The Awful Revolution. The Decline of the Roman Empire in the West'', Liverpool Univ. Press, 1969. Walbank, riguardo al sistema politico-amministrativo della Tarda Antichità, non esita ad usare, e giustamente, termini come "stato corporativo", "stato autoritario" (e nella prima ediz., persino "fascismo").</ref> – Mickwitz notò che non esisteva una documentazione sufficiente per comprovare un socialismo statale, una produzione di merce da parte delle fabbriche statali destinate al commercio privato; e che la base per gli scambi economici nell'economia privata del IV secolo era ancora fermamente radicata nel sistema monetario istituito da Costantino. In realtà, le dinamiche socioeconomiche del quarto secolo – e quelle del Tardo Impero – avrebbero dovuto essere analizzate in una chiave differente dalla dottrina perssoniana della vittoria del socialismo statale e la sparizione dell'impresa privata (e "la morte della coniatura" secondo l'economista [[w:Friedrich von Hayek|Hayek]]).<ref>Sul pensiero economico di Von Hayek, è sufficiente consultare i suoi scritti in ''Collectivist Economic Planning'', Londra, 1935.</ref> Mickwitz riprese e sviluppò in tutte le sue implicazioni la nota tesi di M. Weber, secondo cui la politica finanziaria del Tardo Impero "...con gli aumentati bisogni finanziari, assunse sempre più un carattere di economia in natura ed il fisco divenne un ''oikos'', che per le sue necessità si rivolse il meno possibile al mercato, rendendo difficile la formazione di patrimoni monetari con questo mezzo."<ref>M. Weber, ''Die soz. Gründe'', p. 304.</ref> Mickwitz, tuttavia, preferì sottlineare un contrasto basilare tra l'economia naturale, a cui erano legati lo stato e la burocrazia militare – secondo la dottrina weberiana che "il fisco è un ''oikos'' – e l'economia monetaria, possibilmente favorita in generale dai contribuenti. Iniziando dalla premessa di una continuità dell'economia monetaria con sostanziali tendenze inflazionistiche finanche nel IV secolo, e nel Tardo Impero generalmente, lo studioso finlandese credeva che i pagamenti in natura fossero vantaggiosi alla burocrazia e all'esercito, mentre i pagamenti in moneta inflazionata fossero indubbiamente più accettabili e vantaggiosi per i contribuenti. Pertanto, partendo dal famoso brano della ''Vita Claudii'' in ''HA'' già "scoperto" da Baynes,<ref>''HA'', ''Cl.'', XIV, 14 (nella famosa lettera di Valerianus a Zosimio ''proc. Siriae'', XIV, 2). Cfr. N.H. Baynes ''HA. Its Date and Its Purp.'' (e ''JRS'', 1929, pp. 229segg., anche in ''Byzantine Studies and Other Essays'', cit., pp. 307segg.). G. Mickwitz, ''Geld. u. Wirtschaft'', pp. 167-168; per una critica a Mickwitz, cfr. partic. S. Mazzarino, ''Aspetti sociali del IV secolo'', cit. pp. 57-71.</ref> egli interpretò i testi legislativi sulla ''aderatio'' veramente nel senso che la burocrazia e l'esercito richiedevano pagamenti in natura e quindi forzavano costantemente il contribuente a pagare le sue tasse in natura; mentre quest'ultimo di certo avrebbe voluto disperatamente scambiare in contanti, contanti svalutati, quelle tasse richieste dallo stato come servizi in natura. Pertanto, in tale attrito di classe tra burocrazia statale, che cercava di imporre un'economia naturale che la beneficiasse, e i ''collatores'' (specialmente i ''possessores''), generalmente favorevoli all'economia monetaria, si sarebbe sviluppata la dinamica socioeconomica del Tardo Impero. E nella vittoria dei contribuenti contro la burocrazia e l'esercito si riscontra la causa fondamentale, o perlomeno una delle cause fondamentali, della disintegrazione dell'organismo statale imperiale.<ref>G. Mickwitz, ''Geld. u. Wirtschaft'' cit., p. 191.</ref>
 
Attraverso importanti ricerche sul significato del blocco sociale, [[w:Santo Mazzarino|S. Mazzarino]] ha approfondito e modificato l'interpretazione mickwitziana.<ref>S. Mazzarino, ''Aspetti sociali'', cit., 1951 (partic. pp. 137-217); ''L’impero romano'', cit., pp. 434-444, 495segg., 588segg., 673-694, 812segg.; ''La fine del mondo antico'', pp. 162segg.; "La democratizzazione della cultura nel Basso Impero", ''XI Congr. Int. Sc. Hist.'', II, Stockholm 21-28 agosto 1960, II, pp. 35-54.</ref> La prospettiva di studi più aggiornati ora si muove lungo linee che si allontanano dalla visione "neoliberale" di Mickwitz. Il quadro della società tardo imperiale, sebbene sicuramente brillante riguardo alla vita intellettuale e artistica, mostra toni più oscuri e zone d'ombra più depressive nell'area della vita economica e sociale. Tramite Mazzarino si riesce a capir meglio il significato del blocco sociale che, contrariamente all'opinione di Mickwitz, unì la burocrazia statale superiore con la grande aristocrazia dei possidenti contro le classi inferiori – le sole produttive – sotto l'egida di una ''civilitas'' che non era altro che la cultura e l'ideologia di una classe che desiderava mantenersi i propri privilegi, contro qualsiasi alleanza con gli oppressi e gli "incivili".<ref>Fondamentale per questo sono gli scritti di Staerman, ''Die Krise der Sklavenhalterordnung'' e "Programmes politiques à l'epoque de la crise du III<sup>e</sup> siècle", ''Cah. hist.mond.'', IV, 2, 1958, pp. 310-329. Il dibattito su questa materia ovviamente è stato molto intenso e prolifico nella storiografia di estrazione o ispirazione marxista: un'analisi degli storici sovietici dopo Stalin è stata presentata anni fa da A. Denman, ''Latomus'', 1966, pp.991segg. Si veda anche P. Oliva, ''Pannonia and the Onset of Crisis in the Roman Empire'', Praha, 1962, pp. 62segg.; 126segg.; 362 segg. Interessanti sono anche le osservazioni di P. Brown, ''Ec. HR'', pp. 362segg., circa l'interpretazione di Jones dell'Impero Romano Tardo-Antico.</ref> Ciononostante, la necessità mickwitziana di una "continuità" tra la storia sociale ed economica del III secolo e la storia del Tardo Impero rimane ferma in tutta la sua validità. Giustamente, tramite lo studio dell'inflazione monetaria del terzo secolo, e le conseguenze economiche e sociali che provocò, Mickwitz cercava le premesse dell'economia e società dell'epoca costantiniana e tardoimperiale. In questo senso, alla visione "catastrofica" della storia del III secolo venne sostituita una più cauta considerazione dei modi e delle forme con cui le strutture economiche e sociali dell'ordine stabilito da Augusto furono trasformate in quelle dell'ordine economico e sociale del Tardo Impero. Questa fu una trasformazione che escluse qualsiasi giudizio di valore e che sostenne, per le strutture politiche, sociali ed economiche della ''Spätantike'' la stessa validità, la stessa originalità già riconosciuta per le espressioni coeve dell'arte e cultura; e il III secolo in effetti apparve come il "metro di misura" per questa trasformazione ed una delle chiavi necessarie a facilitarne la comprensione.<ref>S. Mazzarino, ''L’impero romano'', cit., pp. 495segg.; 601segg.</ref>