Il buddhismo cinese/Le scuole/Il Tiantai: differenze tra le versioni

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Per quanto concerne invece l'argomento del secondo quesito, ovvero cosa implichi la dottrina religiosa della compresenza e necessità del bene-male, va ricordato che analogo tema, in ambito religioso, religioso-comparato, morale e psicologico, fu affrontato anche da Carl Gustav Jung durante la conferenza, tenutasi a Stoccarda nel 1959 e poi successivamente pubblicata, dal titolo: ''Gut und Bose in der analytischen Psychologie''.<ref>Carl G. Jung ''Bene e male nella psicologia analitica'', Biblioteca Bollati Boringhieri, Torino, 1993.</ref>.
 
Il lavoro di Jung, tuttavia, focalizzandosi sul valore trasformativo-spirituale di alcuni insegnamenti religiosi, non entrando dunque nelle implicazioni filosofiche del rapporto tra il bene e il male come fa invece il dibattito contemporaneo su Zhīlǐ, raggiunge una maggiore coerenza con gli scopi di questi insegnamenti anche nel caso delle dottrine Tiantai. Ciò premesso, se esaminiamo alla luce della Triplice verità la dottrina sul "male" formulata da Zhīlǐ potremo darne una lettura più coerente. Dal punto di vista della Vacuità (o della Verità assoluta) il "male" non esiste. La Vacuità infatti non rende conto dell'individualità. Essa è e basta, si manifesta per quello che è: nascita, morte, vita, positivo, negativo, etc., tutto manifesta senza privilegiare uno rispetto all´'altro. Dal punto di vista della "Realtà" e "Verità convenzionale", il "male" esiste. Esiste perché la soggettività, l'individualità dell'essere senziente lo percepisce, lo giudica, lo fugge. Perché l'essere distinto nasce, vive, soffre e muore, sogna e desidera, è frustrato nei suoi desideri, impaurito dal dolore, addolorato dall'ingiustizia. La pratica dello ''zhǐguān'' (止觀, giapp. ''shikan'': calmarsi e guardare, discernere), com´è insegnata dalla scuola "Tiāntái", è finalizzata a rendere conto di ambedue le "Verità" (assoluta e convenzionale), a leggerne una con lo sguardo dell'altra e tramite questo guardare, a individuare una modalità concreta di esistenza che renda conto di ambedue. L'assolutezza e la finitezza del mondo ma anche il "grido" dell'individuo al suo cospetto. Questa pratica consentirebbe, secondo la dottrina Tiantai, di realizzare la "Verità di mezzo" o "Verità ultima".
 
La dottrina buddhista Tiāntái si distingue quindi nettamente da quella del Buddhismo ''Hīnayāna'' (o Buddhismo dei Nikāya), dove il "male" è frutto (e colpa) dell'ignoranza (sanscrito: ''avidyā'') dell'uomo e solo se questi apporta dei correttivi (per mezzo dell'Ottuplice sentiero, sanscrito: ''mārgasatya'') che gli consentano la fuga dal luogo di dolore e dagli attaccamenti (''samsāra'') raggiungendo il ''nirvāna'', sarà possibile la sua sconfitta definitiva. <br />