Missione a Israele/Contesti sociali: differenze tra le versioni

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Mentre gli eredi di Erode contestavano il suo testamento davanti ad Augusto, agitazione e ribellione scoppiarono in tutta la nazione. Dopo soli cinquanta giorni dallo sfacelo di Pasqua, durante la successiva festa di pellegrinaggio, Shavuot/Pentecoste, una folta moltitudine di ebrei ("decine di migliaia") – "Galilei, Idumei, una folla dalla Transgiordania e dalla stessa Giudea" – mise in atto una battaglia campale contro il sopraintendente romano temporaneo, Sabino, sempre nel complesso del Tempio. Il legato romano in Siria, Varo, dovette portare a Sud l'esercito nello sforzo di contenere la confusione; dando battaglia ai ribelli in Galilea, Varo bruciò Zippori. In Giudea, i veterani del precedente esercito di Erode combattrono con quelli già in forza. Due differenti pretendenti regali, Simone, un ex schiavo, e [[:en:w:Athronges|Atronge]], un pastore, entrambi rappresentatio da Flavio Giuseppe come uomini straordinariamente forti, crearono caos nella regione, Simone saccheggiando i palazzi reali, Atronge e i suoi fratelli, insieme alle loro bande armate ("poiché un gran numero di persone si radunarono intorno a loro") massacrando le truppe dei romani. La nazione, dice Flavio Giuseppe, piena di briganti, incappò in anarchia e rapina. Varo alla fine ristabilì l'ordine in Giudea solo dopo aver rastrellato la campagna dagli insorti, infine crocifiggendo circa duemila di loro (''AJ'' 17.250-89).
 
All'indomani di tali convulsioni, Varo permise ad una delegazione di cinquanta ebrei di lasciare la regione e andare a Roma a dire la loro sulla controversa disposizione della volontà di Erode. La loro posizione era là sostenuta, dice Flavio Giuseppe, da più di ottomila ebrei romani. Questi uomini raccontarono ad Augusto il lungo malgoverno (secondo la loro prospettiva) di Erode e, indicando il recente massacro di migliaia di ebrei da parte di Archelao durante la Pesach, supplicarono Agusto affincheaffinché, invece di essere sottoposti a suo figlio, alla nazione venisse invece concessa ''autonomia'' (''AJ'' 17.295-314).
 
''Autonomia'' non significava in tale contesto quello che significa oggi per noi, e questo fatto ci dovrebbe avvertire quanto poco il concetto moderno di "nazionalismo" serva per capire gli ebrei nell'antichità o, finanche, i popoli antichi in generale. Questi Giudei ''non'' cercavano un'indipendenza politica per la loro nazione: ciò era chiaramente da escludersi, aldilà delle loro possibilità. La loro richiesta era semplicemente che non fossero più governati da re erodiani, ma piuttosto dall'amministrazione romana quale parte della provincia di Siria (''AJ'' 17.314). Ciò potrebbe sembrare controintuitivo: perché preferire un dominio straniero, addirittura pagano, rispetto ad uno ebraico? In effetti, la loro petizione dà la misura dell'attrattiva dei bei tempi ''prima'' che gli Asmonei prendessero il potere. Questa precedente forma di governo – incorporazione in un impero con il governo locale lasciato nelle mani del sommo sacerdote – era persistito senza molte controversie per secoli sotto il dominio persiano, e persino per gran parte del periodo sotto i Seleucidi. Secondo questi ebrei giudei dissidenti, un governatore politico gentile remoto avrebbe garantito la pace nella terra, e l'integrità e indipendenza del Tempio e conseguentemente del sommo sacerdozio, molto di più di un re erodiano.