Pluralismo religioso in prospettiva ebraica/Pluralismo, giustificazione, politica: differenze tra le versioni

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Il mio sostegno al pluralismo religioso e all'opposizione alla coercizione religiosa (tra ebrei e non ebrei, o tra ebrei) può sembrare contrario alle affermazioni del monoteismo. Dal momento che il monoteismo, dopo tutto, afferma l'esistenza di un solo Dio, lo stesso monoteismo ebraico non legittima forse la lotta contro gli "dèi contendenti"? Non a mio modesto parere. Il monoteismo ebraico, per come lo intendo io, è compatibile con il pluralismo perché afferma che la vera unità appartiene solo a Dio e non agli esseri umani, nemmeno agli esseri umani che parlano in nome di Dio o di una verità assoluta. L'unità e la verità appartengono a Dio perché Dio è il Creatore di tutte le cose e tutte le cose alla fine devono la loro esistenza a Dio. Poiché l'ordine creato, per definizione, è governato dalla molteplicità e non dall'unità, qualsiasi tentativo delle creature di imporre l'uniformità di una visione singolare nel mondo creato significa fingere impropriamente di essere Dio, conoscere la mente di Dio e dire la verità di Dio come Dio la conosce. Questo, credo, è il segno dell'arroganza umana, l’''[[w:hybris|hybris]]'' che è alla base di tanti conflitti etnici, politici e religiosi nella società umana. Tale ''hybris'' si basa sull'idea errata che gli esseri umani possano, in linea di principio, possedere l'intera verità. Ma la verità divina è infinita; non può mai essere esaurita da una sua versione umana. La verità divina è sempre più grande, più profonda, più complessa e più sottile di quanto qualsiasi prospettiva umana possa esprimere. Quando gli esseri umani cercano di "giocare a fare Dio", danno necessariamente a ciò che è finito, parziale e incompleto lo status di infinito, pieno e completo. In altre parole, se permettiamo a una sola versione parziale della verità infinita di dominare tutte le altre, propaghiamo necessariamente l'errore e commettiamo ingiustizia opprimendo, emarginando o cancellando altre visioni della realtà.
 
Qualsiasi forma di coercizione ideativa (religiosa o secolare) ignora anche un'altra profonda intuizione del monoteismo ebraico: la convinzione che tutti gli esseri umani siano creati a immagine divina. Nonostante le differenze radicali tra il creato e il Creatore, il monoteismo ebraico afferma che gli esseri umani sono, in un certo senso, come Dio. Indipendentemente da come interpretiamo il significato dell'"immagine divina" (ad esempio, come l'anima umana, l'intelletto umano da solo o qualche valore umano intrinseco), la convinzione che tutti gli esseri umani siano creati da Dio a Sua immagine rende qualsiasi tentativo di diminuire l'umanità di un'altra persona o di un altro gruppo un peccato contro Dio. La disumanizzazione degli altri, attraverso la coercizione, l'oppressione, lo sfruttamento, l'abuso, la tortura o l'emarginazione, sono tutti reati contro l'aspetto divino della natura umana. Gli esseri umani commettono tali reati proprio perché gli esseri umani non sono Dio. La storia della razza umana è stata quindi piena di guerre, conflitti, sofferenze, torture e ingiustizie, perché noi tutti non siamo riusciti a essere all'altezza dell'aspetto divino in noi, sebbene possiamo parlare in nome della verità assoluta, dei testi sacri, e autorità religiose. È solo quando ricordiamo che tutti gli esseri umani sono creati a immagine di Dio che possiamo iniziare a onorare le differenze e rispettare l’''alterità'' di coloro che sono diversi da noi.
 
Molta intolleranza religiosa nel corso dei secoli è stata commessa in nome dello status divinamente rivelato di certe affermazioni di verità. Presumibilmente, una data tradizione religiosa, o una sua interpretazione, ha uno status assoluto perché è rivelata da Dio. Ma io sostengo che una lettura pluralistica del monoteismo ebraico sia compatibile con la fede nella rivelazione divina perché, come disse [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], "l'ebraismo si basa su un minimo di rivelazione e un massimo di interpretazione, sulla volontà di Dio e sulla comprensione di Israele".<ref>Si veda lo stupendo libro di Abraham Joshua Heschel, ''God in Search of Man: A Philosophy of Judaism'' (Farrar, Straus and Giroux, 1955), qui a p. 274.</ref> Seguendo l'interpretazione di [[w:Martin Buber|Martin Buber]] riguardo alla rivelazione divina come risposta umana alla presenza di Dio, anch'io insisto sul fatto che si può accedere alla rivelazione divina solo attraverso l'interpretazione. Ma quest'ultima, ahimè, è un'attività umana soggetta ad ambiguità e opacità, che necessariamente sfociano nella diversità. Gli stessi rabbini erano consapevoli di questo principio quando distinguevano tra ciò che viene da Dio e ciò che è regolamentato dagli esseri umani. Le risposte alla presenza di Dio sono sempre parziali, incomplete e fallibili. L'ebraismo ha potuto evolversi nel corso dei secoli attraverso l'attività dell'interpretazione, che ha dato origine a diverse visioni della verità infinita. Qualsiasi tentativo di arrestare il processo, sostenendo che una sola lettura dell'ebraismo è la versione esclusiva e autentica, in effetti vuol dire minare una delle principali fonti di sopravvivenza e vitalità ebraica. L'ebraismo continuerà a crescere e rispondere alle sfide future solo se l'interpretazione sarà mantenuta viva, determinando, a sua volta, un pluralismo di opinioni e pratiche.
 
Finora ho sostenuto che la pluralità di punti di vista, prospettive e pratiche, è essa stessa un segno dell'ordine creato. Nell'ordine creato le cose sono quello che sono perché limitate da confini che segnano l'identità: per essere qualcosa, una cosa deve essere distinta da ciò che non è. L'affermazione del sé, quindi, implica necessariamente l'affermazione dell’''alterità''. Vi è un'ampia ricerca psicologica, soprattutto da parte dei cosiddetti psicologi della "[[w:object relations theory|relazione oggettuale]]", per supportare questa affermazione. Nell'ebraismo, la necessità dei confini è trasmessa nella narrativa biblica della creazione. Nella Genesi, il mondo è nato come un atto di separazione di elementi l'uno dall'altro: i cieli sono separati dalla terra, l'acqua dalla terraferma, la vegetazione dalla vita animale e gli esseri umani dagli animali. La creazione, quindi, non è rappresentata come un atto di portare l'esistenza dalla non-esistenza, ma come un atto di porre limiti, delineare confini e affermare differenze. La dottrina religiosa della creazione sancisce la differenza.
 
La dottrina della creazione (da non confondere con il [[w:creazionismo|creazionismo]]) è alla base della visione ebraica della realtà.<ref>Si veda Norbert Samuelson, ''Judaism and the Doctrine of Creation'' (Cambridge
University Press, 1997).</ref> Dalla separazione tra il Creatore e il creato, il divino e l'umano, o Dio e natura, attraverso la separazione tra il santo e profano, il permesso e il proibito, fino alla separazione tra Israele e le nazioni, l'ebraismo afferma esplicitamente la necessità di confini e l'istituzione di differenze. I numerosi comandamenti riguardo al tempo, al luogo, alle relazioni sociali, al corpo e ai rituali religiosi, illustrano tutti la centralità dei confini nell'autocomprensione ebraica. Allo stesso tempo, la condotta peccaminosa è vista in termini di attraversamento o offuscamento dei confini stabiliti dalla rivelazione divina (che si accorda coi principi che hanno informato l'atto di creazione iniziale da parte di Dio). Mettere le cose a parte, separarle tra loro e trattarle secondo il loro giusto status è al centro della condotta religiosa ebraica.
 
Tuttavia i confini, come abbiamo visto nella rassegna storica del passato ebraico, non escludono l'interazione. Mi sia consentito di esplorare questa idea su basi teologiche. In un sistema di credenze basato sulla creazione, cosa potrebbe esserci di più ''altro'' di Dio? Il monoteismo ebraico afferma che il Dio Creatore è l’''Altro Totale'', il Quale è diverso da qualsiasi altra cosa. Nel Medioevo, i filosofi ebrei spiegarono ulteriormente come l'unicità di Dio sia diversa dall'unità delle cose discrete e come Dio sia unico e inconoscibile. Nonostante la differenza radicale tra Dio e il mondo creato, il Dio dell'ebraismo non è solo trascendente ma anche imminente nel mondo che Egli ha creato. Dio è presente in qualche modo sia nel mondo naturale che nella storia umana, in modo tale che è possibile una relazione con il Dio Creatore. Inoltre, la convinzione che Dio abbia rivelato la Sua volontà nella forma della Torah è il modo in cui l'ebraismoo rende chiaro che gli esseri umani possono interagire con Dio. In altre parole, anche la differenza radicale, come la differenza tra Dio e gli esseri umani creati, non esclude la relazione, il rapporto con Dio. Infatti, nel filone mistico dell'ebraismo, la ''[[w:Cabala ebraica|Kabbalah]]'', l’''alterità'' di Dio richiede l'interazione con la realtà non-divina, in particolare gli esseri umani. Secondo la ''Kabbalah'', l'imperfezione e la disarmonia non sono solo il segno dell'ordine creato, ma sono anche una caratteristica della realtà divina. Ed è solo lo sforzo congiunto di Dio e degli uomini che può redimere la realtà (individuale, sociale, cosmica e divina) dalla sua imperfezione intrinseca. Ma non è necessario consultare alla ''Kabbalah'' per trovare l'insistenza ebraica sull'interdipendenza tra Dio e l'umanità; è una caratteristica fondamentale della comprensione ebraica del culto religioso.
 
Eppure tutte le versioni della teologia ebraica insistono sul fatto che la redenzione appartiene al remoto futuro dell'[[w:Messia nell'ebraismo|Era Messianica]] e non al presente. L'ideale non può essere realizzato nel tempo-spazio; può solo essere approssimato.<ref>Questa interpretazione dell'ideale messianico ebraico si ritrova nelle idee di [[w:Hermann Cohen|Hermann Cohen]], filosofo ebreo tedesco neokantiano, e dei suoi seguaci del XX secolo. L'argomentazione più appassionata a favore dell'interpretazione prescrittiva del messianismo ebraico fu proposta da [[:en:w:Steven Schwarzschild|Steven Schwarzchild]], in particolare il suo "On Jewish Eschatology", in ''The Pursuit of the Ideal: Jewish Writings of Steven Schwarzchild'', Menachem Kellner, cur. (SUNY Press, 1990), 209–28.</ref> Il culto ebraico in tutte le sue diverse forme è quindi uno sforzo continuo per raggiungere la vicinanza a Dio pur riconoscendo che, fino all'Era Messianica, tale vicinanza è nel migliore dei casi momentanea e temporanea. Anche un'esperienza mistica, che alcune personalità di spicco chiaramente aspiravano a raggiungere, non può superare i limiti dell'ordine creato. Fino all'Era Messianica, gli ebrei vivono in un mondo irredento, sebbene non irredimibile. L'azione ebraica nell'ordine spazio-temporale creato è orientata a rendere il mondo un posto migliore in cui vivere perché è più adatto alla presenza di Dio. L'azione ebraica nella sfera morale-sociale – come nutrire gli affamati, vestire gli ignudi e prendersi cura dei malati – non può di per sé redimere il mondo, perché l'azione umana è, per definizione, parziale, limitata e incompleta. Questo è il motivo per cui gli ebrei non potevano e non possono accettare le affermazioni del cristianesimo e perché tutti i contendenti messianici nella storia ebraica hanno dimostrato di essere falsi messia. Che la realtà umana non sia ancora redenta è suggerito anche dal fallimento del Sionismo moderno e delle ideologie secolari, come il socialismo, nel liberare gli ebrei e/o l'umanità dalla condizione di imperfezione. Tutte le agende utopiche, che affermano il successo nel qui e ora, si dimostreranno un fallimento nell'ordine creato. Da una prospettiva ebraica, costituiscono una forma di idolatria. Se è così, allora il divino deve rimanere un ideale che ispira gli esseri umani a essere migliori, non un ideale già realizzato nel tempo-spazio.
 
== Religione e potere politico ==
La pluralità di visioni, prospettive e pratiche religiose è quindi il segno di un mondo irredento, un mondo governato dalla finitezza, dall'incertezza e dall'ambiguità piuttosto che dall'uniformità trionfalista. In pratica, pluralismo significa che gli individui, i gruppi sociali e le nazioni devono imparare a limitare il loro appetito di potere e frenare il loro desiderio di dominio o espansione. Chiedere agli umani di esercitare l'autocontrollo in modo che altri possano esistere, è chiaramente nell'interesse dei deboli. In effetti, sostengo i limiti al potere proprio perché ho familiarità con l'impotenza politica degli ebrei protrattasi per due millenni. Ma che dire di coloro che già possiedono il potere? Possono rinunciarci volontariamente per accogliere il pluralismo?
 
 
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[[Categoria:Pluralismo religioso in prospettiva ebraica|Pluralismo, giustificazione, politica]]