Missione a Israele/Gerusalemme: differenze tra le versioni

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Con che probabilità quindi accadde veramente questa dimostrazione eccitata della folla? Alcuni studiosi sostengono che gli evangelisti riportano accuratamente persino i dettagli dell'ingresso di Gesù in città, e specificamente la tradizione che egli entrò cavalcando un'asina in imitazione deliberata di questa frase di Zaccaria (cfr. ''supra''). La virtù di questa opinione è che ci permetterebbe uno sguardo nella mente di Gesù, o almeno un'idea delle sue intenzioni: ridefinendo questo titolo per sé, Gesù perlomeno implicitamente si dichiarerebbe Re o Messia. Ma alla luce dell'assenza di una reazione romana – inspiegabile, poiché tali azioni e proclamazioni potrebbero facilmente essere considerate sedizione – la dimostrazione, dicono tali studiosi, deve essere stata alquanto modesta, con Gesù che avrebbe fatto un ingresso relativamente discreto, rappresentando questo atto simbolico (cavalcando un'asina) solo per seguaci e simili.
 
Immaginarsi questa scena col criterio della dissomiglianza in mente potrebbe chiarire la questione. Avere Gesù che consapevolmente ridefinisce il concetto di "messia" quale re mite e umile – come se stesso, insomma – non funziona affatto come criterio. Tale ricostruzione porrebbe Gesù di Nazareth quale origine intenzionale autoconsapevole della definizione cristiana di Messia. Impossibile? Difficile dirlo: i criteri di autenticità aiutano soltanto a mettere in ordine i dati lungo un gradiente di probabilità minore o maggiore. Far svolgere a Gesù le sue azioni facendo appello simbolico con precisione ai versetti di un'antica profezia non mi sembra plausibile: una tale maniera di sistemare il testo scritturale di solito segnala un'attività redazionale da parte degli evangelisti. E ben poco in queste tradizioni evangeliche – sebbene sarebbe piaciuto agli evangelisti – indica che Gesù in qualche modo si mise in mostra come messia. Tutt'altro. Se l'avesse fatto proprio mentre entrava a Gerusalemme per la Pesach, nessuno se lo sarebbe aspettato. E la speculazione che Gesù avesse esternato sottovoce questo atto simbolico messianico trionafale ad un piccolo gruppo di seguaci contrasta sia col tono della scena rappresentata in queste narrazioni, sia col suo finale storico, cioè la [[w:Crocifissione di Gesù|Crocifissione]] stessa.
 
Ma se Gesù aveva insegnato molte volte a Gerusalemme, e quindi se Pilato già sapeva che Gesù era praticamente innocuo, allora la storicità basilare di questa scena – folle di pellegrini che salutano Gesù come messia entrando in Gerusalemme la settimana prima della sua ultima Pasqua – può sussistere senza ridurre la sua portata o significato. L'azione delle folle non comportava un intervento romano proprio perché Pilato sapeva che il messaggio del movimento di Gesù non rappresentava una minaccia per il potere romano.
 
La testimonianza indipendente di Paolo e i sinottici convergono su questo punto e lo confermano. Quale che fossero le speranze ultime della rivelazione della giustizia di Dio contro le forze del peccato e del male, a breve termine, prima dell'arriva del Regno, il male doveva essere confrontato con la resistenza passiva, il nemico con amore piuttosto che odio ({{passo biblico2|Matteo|5:38-6:4}}//{{passo biblico2|Luca|6:27-36}}).
 
 
 
 
 
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