Missione a Israele/Contesti sociali: differenze tra le versioni

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=== ''Il Gesù di Giovanni, il Gesù di Marco, la crocifissione'' ===
In che misura possiamo basarci su Giovanni per informazioni storiche su Gesù? Né la narrazione dell'evangelista né i suoi discorsi ispirano fiducia come storia. L'itinerario del suo Gesù è frammentato e a volte senza senso.<ref>Famosamente, nel sobbalzo tra {{passo biblico|Giovanni|5:47}} e {{passo biblico|Giovanni|6:1}}, Gesù va direttamente da Gerusalemme "all'altro lato del Mar di Galilea", con la moltitudine ''de rigueur'' già al seguito.</ref> Ed i suoi dialoghi e lunghi soliloqui, stracolmi di teologia, sono virtualmente impossibili da immaginare in un ambiente realistico. Se il Gesù storico ebbe veramente dei seguaci, egli non avrebbe potuto far loro questo tipo di discorsi.
 
Talmente congeniale all'autore è il simbolismo teologicolo che egli sussume l'importanza dell'azione di Gesù nel Tempio completamente nella cristologia ("Ma egli parlava del tempio del suo corpo", {{passo biblico|Giovanni|2:21}}). La scena è altamente drammatica, ma narrativamente non ha senso. Nessuno si oppone all'azione di Gesù né gli diventa ostile come risultato. In effetti, nonostante il dramma più forte di questa scena in confronto a quella di Marco – la sferza di cordicelle, le pecore ed i buoi imbizzarriti (vv. 14-15) – l'azione di Gesù è totalmente senza conseguenze nella storia. Persino i suoi stessi discepoli non capiscono cosa egli voglia significare fino a "quando poi fu risuscitato dai morti" (v. 22).
 
Inoltre, il Gesù di Giovanni non si occupa mai di volgari esorcismi. Egli preferisce segni drammatici: acqua in vino a Cana ({{passo biblico2|Giovanni|2:1-11}}), guarigioni a distanza (da Cana a Cafarnao, {{passo biblico2|Giovanni|4:46-47}}, resuscitare il morto (da tempo) Lazzaro, sepolto già da quattro giorni ({{passo biblico2|Giovanni|11:17-44}}. Sereno, calmo, invero ultraterreno, questo Gesù tiene sempre tutto sotto controllo. Davanti a Pilato, egli essenzialmente dice al prefetto come comportarsi ({{passo biblico2|Giovanni|19:11}}). Sulla croce, coscientemente orchestra le sue azioni ad adempiere la Scrittura ({{passo biblico2|Giovanni|19:28-30}}) e muore con un tranquillo "È compiuto".
 
C'è quindi poco da meravigliarsi che la maggioranza degli studiosi al momento occupati nella ricerca del Gesù storico preferiscano la tradizione sinottica a quella di Giovanni. Marco (accresciuto in modo vario da ''Q'') e il Gesù di Marco sono sedmplicemente più utilizzabili. Compiendo guarigioni con esercismi, parlando nelle sinagoghe, proclamando l'arrivo del Regno di Dio: il Gesù di Marco, nonostante tutte le sue peculiarità, è un riconoscibile ebreo del primo secolo. E questa preferenza per la sostanza della rappresentazione marciana ha portato anche ad una notevole preferenza per la cronologia di Marco in generale (per cui una visione della missione di Gesù concentrata estensivamente se non esclusivamente nella Galilea), ed in particolare per la sua presentazione dell'ultima settimana di Gesù a Gerusalemme. Che il Gesù degli studiosi moderni sia un profeta apocalittico, un hassid galileo, un attivista sociale di qualsiasi banda, o un antinazionalista antipurità, egli rimane comunque nella Galilea soprattutto, poi va a Gerusalemme ed esegue la sua azione nel Tempio durante la sua ultima Pasqua, e di conseguenza ne muore, essendosi attirata l'attenzione dei capi sacerdoti.
 
Questo consenso sulla presentazione di Marco è tanto più sorprendente quando la questione si volge verso le valutazioni del processo ebraico nelle narrazioni della Passione. Qui di nuovo gli studiosi moderni si trovano in accordo; ma si uniscono nell'opinione che, in questo caso e su questa questione – adeguatezza storica – ''Giovanni'' debbe essere preferito.
 
Le ragioni non sono difficili da trovare. Il resoconto di Marco così com'è non è credibile. Presenta due sessioni complete del "consiglio" (il sommo sacerdote, i capi sacerdoti, gli anziani e gli scribi), il primonella tarda notte del ''seder'', il secondo presto quella mattina ({{passo biblico2|Marco|14:53,15:1}}). "Molti" testimoni spergiurano con false testimonianze contraddittorie dato che il consiglio cerca di metterlo a morte ({{passo biblico2|Marco|14:55-59}}). E quando Gesù finalmente risponde alla domanda del sommo sacerdote - "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?" dicendo: "Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'Uomo seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo" – il sommo sacerdote la chiama blasfemia ed il consiglio lo condanna sentenziando "che era reo di morte" (vv. 61-64). Dopo un secondo plenum del consiglio "appena fu mattina", condussero Gesù davanti a Pilato.
 
Questa scena è incoerente anche solo in termini dello stesso Vangelo di Marco. Marco aveva usato i precedenti capitoli per sviluppare un quadro di crescente minaccia da parte degli scribi e dei Farisei. Dopo che Gesù rimette i peccati di un paralitico, gli scribi "nei loro cuori" accusano Gesù di blasfemia. ({{passo biblico2|Marco|2:3-7}}). Dopo che guarisce la mano rinsecchita di un uomo, i Farisei complottano con gli erodiani "per distruggerlo" ({{passo biblico2|Marco|3:1-6}}). Lo seguono da vicino, gli fanno domande ostili, cercano di intrappolarlo verbalmente. Fino a {{passo biblico|Marco|11:18}}, i Farisei sono chiaramente i furfanti della situazione. Ma con l'azione di Gesù nel Tempio, l'onere passa ai sacerdoti e lì rimane. Non ci sono Farisei nella scena del processo ebraico, né come testimoni né come membri del consiglio; nemmeno si mostrano a deriderlo quando è sulla croce. E anche il tema delle violazioni (dello Shabbat, per sempio, o delle regole di purezza), cosi attentamente sviluppato in precedenza, scompare: nessuna accusa riguardo a queste questioni appare davanti al sommo sacerdote.
 
 
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