Utente:Giuli2797/Cromatografia/Gascromatografia: differenze tra le versioni

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{{Cromatografia}}
==Gascromatografia==
=Gas cromatografia=
La gascromatografia è una tecnica analitica complementare alla cromatografia liquida in cui la fase mobile è costituita da un gas che ha solo funzione di trasporto. <br>
Questa tecnica viene utilizzata su sostanze che abbiano una tensione di vapore sufficientemente alta, in modo da garantirne il passaggio in fase gas, e che siano termicamente stabili, per evitare che possano decomporsi per riscaldamento. La temperatura massima di esercizio è limitata non solo dalla stabilità termica degli analiti, ma anche da quella della fase stazionaria che, oltre ad una certa temperatura, può decomporsi o volatilizzarsi. Questa serie di fattori porta a scegliere temperature di esercizio che possono arrivare fino ad un massimo di circa 300-350°C. <br>
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Il sistema utilizzato in gas cromatografia può essere schematizzato con il seguente schema a blocchi: <br>
[[File:Gas chromatograph-vector.svg|thumb|center|500px|Schema a blocchi gas cromatografia]]
GAS CARRIER &rarr; CONTROLLO DEL FLUSSO &rarr; INIETTORE &rarr; COLONNA &rarr; RIVELATORE
 
==Gas carrier==
La fase mobile è costituita da un gas chimicamente inerte: in gas cromatografia infatti, la fase mobile non ha azione chimica competitiva con la fase stazionaria ma ha solo funzione di trasporto, per questo motivo si parla di gas carrier. Le molecole interagiscono con la fase stazionaria e vengono trattenute più o meno a lungo a seconda dell'affinità e quindi della forza delle interazioni che questi stabiliranno con essa: più forti le interazioni e più lunghi i tempi di ritenzione. L'energia cinetica delle particelle fa si che si abbia un continuo scambio di molecole di analita tra fase mobile e fase stazionaria: se un analita si distribuisce prevalentemente nella fase mobile le molecole passeranno più tempo nel gas carrier e quindi saranno trasportate più a lungo attraverso la colonna rispetto a quelle che verranno più stabilmente trattenute dalla fase stazionaria. <br>
A seconda del tipo di detectorrivelatore si utilizzano come fasi mobili: elio, idrogeno e talvolta anche azoto e argon. È estremamente importante che il gas presenti un'elevata purezza perché eventuali impurezze possono andare ad intaccare la fase stazionaria presente nella colonna e distruggerla, compromettendo quindi l'analisi. Tra questi possibili contaminanti troviamo l'acqua che, se presente in tracce, può andare a desorbire altri contaminanti della colonna causando un alto background e talvolta dando picchi fantasma. Un'altra possibile impurezza che va eliminata sono gli idrocarburi che costituiscono un problema importante nel caso si utilizzi un detectorrivelatore a ionizzazione in quanto, dando un alto background, limitano la rivelabilità degli analiti. Dal momento che i gas carrier ad altissima purezza hanno prezzi estremamente elevati, spesso si sceglie di lavorare con gas ad alta purezza e li si purifica prima dell'utilizzo. Le impurezze di acqua e idrocarburi vengono eliminate attraverso l'ausilio di un filtro a setaccio che viene posizionato tra la bombola di gas e il resto della strumentazione, per eliminare l'ossigeno si ricorre invece ad un apposito filtro in quanto è più complicato da rimuovere.
 
==Controllo del flusso==
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A seconda dello stato fisico in cui si presenta il campione e del tipo di analisi che va eseguita, si può ricorrere a diversi tipi di iniettori. Il più semplice metodo di introduzione del campione prevede l'utilizzo di una microsiringa la quale fora un setto di gomma che serve per evitare che, al momento dell'iniezione, i vapori si disperdano <ref>Sadek pag. 177</ref>. Il campione così introdotto entra all'interno di un liner, un inserto di vetro inerte e stabile aperto alle due estremità e all'esterno del quale è posto un sistema di riscaldamento. Qui il campione introdotto viene vaporizzato. Le eventuali sostanze non volatili vengono trattenute nel liner e quindi non raggiungono la colonna che altrimenti verrebbe danneggiata: a causa dell'accumulo di queste sostanze al suo interno è infatti necessario sostituire periodicamente il liner. Questo tipo di iniettore è di comune utilizzo per le colonne impaccate e può prevedere un sistema di introduzione con una valvola a loop come quello precedentemente illustrato per l'HPLC.
 
Un altro tipo di iniettore più complesso, ma molto usato, è l'iniettore '''split-spitless''' il quale ha due diverse modalità di funzionamento a seconda di come viene suddiviso il volume di vapore ottenuto a seguito dell'iniezione: [[File:Iniettore split-splitless.png|thumb|right|400px|Iniettore split-splitless]]
* split - solo una piccola parte del volume viene iniettato in colonna;
* splitless - tutto il volume viene iniettato in colonna. <br>
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==Rivelatore==
Il rivelatore è lo strumento che reagisce alla presenza di un composto e che in risposta produce un segnale elettrico che viene amplificato e poi registrato. A differenza dei rivelatori usati nella cromatografia liquida questi sono di tipo differenziale e sfruttano quindi la variazione di una proprietà del gas di trasporto e non di una grandezza assoluta. <br>
Dalla colonna cromatografica esce un flusso di sostanze sotto forma di bande discrete le quali hanno un tempo di residenza all'interno del detectorrivelatore relativamente breve, per questo motivo lo strumento deve essere in grado di fornire una risposta in tempi piuttosto rapidi. <br>
Qualsiasi fluttuazione del segnale non attribuibile ad un analita viene definito rumore. Questo può essere causato da diversi fattori quali ad esempio una variazione nella temperatura, impurezze presenti nel gas carrier, fluttuazioni nel flusso di gas, il bleeding della colonna oppure la presenza di contaminanti all'interno del detectorrivelatore . Il rumore è la misura della distanza tra la parte più in alto e quella più in basso della linea di base tra due picchi. Si possono distinguere tre possibili tipologie di rumore: il rumore a breve termine, quello a lungo termine e da deriva. Il rumore a breve termine consiste in perturbazioni ad alta frequenza della linea di base e viene facilmente eliminato con l'utilizzo di appositi filtri. Il rumore a breve termine si manifesta come delle oscillazioni di frequenza minore o simile a quella del picco di interesse. Questo tipo di rumore è molto difficile da eliminare in quanto è difficile da distinguere da un vero picco cromatico. È solitamente causato dall'instabilità di alcune componenti del rivelatore o da fluttuazioni ambientali, la deriva invece riguarda delle variazioni nella linea di base che sono molto lente ma costanti nel tempo. Questa tipologia di rumore non oscura il picco cromatografico e si verifica a causa del bleeding della colonna, del cambiamento del flusso del make up gas, oppure del bakeout di contaminanti interni al rivelatore. Un parametro che viene impiegato spesso per valutare l'impatto del rumore è attraverso la determinazione del rapporto segnale/rumore, che è indicativo della probabilità che un particolare picco, in una linea di base affetta da rumore, rappresenti il segnale di un analita. <br>
Dal momento che quasi tutti i detectorrivelatori impiegati nella GC sono distruttivi, non è possibile recuperare il campione dopo averlo analizzato. <br>
Un buon rivelatore deve avere diverse caratteristiche, in particolare deve:
* essere sensibile - avere quindi un buon rapporto tra segnale e quantità di sostanza;
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: <math> LOD= \frac{3N}{Su_h} </math>
: e dipende dal rumore (N) e l'altezza del picco (S) e l'ampiezza del picco a mezza altezza <math> u_h </math> <ref>Barry pag. 288 </ref> <br>
: È infatti fondamentale che il detectorrivelatore lavori all'interno del suo range di linearità affinché fornisca del valori affidabili: per questo motivo quantità doppie di campione devono restituire un segnale doppio. Ogni rivelatore presenta un suo intervallo di linearità;
* essere stabile e operativo per lungo tempo;
* fornire una risposta velocemente perché il segnale che registra è transiente;
* avere un ridotto volume morto - per evitare che si verifichi il rimescolamento degli analiti nel tratto che collega il detectorrivelatore e la colonna;
* sopportare elevate temperature per evitare che gli analiti vi condensino all'interno - la temperatura di esercizio deve andare circa da temperatura ambiente fino a 400°C.
I principali detectorrivelatori impiegati nella gas cromatografia sono:
* TCD - Thermo Conductivity Detector;
* FID - Flame Ionization Detector;
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* FPD - Flame Photometric Detector;
* MS - Mass Spectrometry.
Il '''rivelatore a termoconducibilità''' è un detectorrivelatore universale e non distruttivo il cui funzionamento si basa sulla differenza di conducibilità termica del gas carrier causata dalla presenza di sostanze nel flusso in uscita dalla colonna. Viene molto spesso utilizzato nella determinazione di sostanze gassose che sono altrimenti difficili da determinare con altri metodi, in particolare è adatto a sostanze inorganiche quali ad esempio NH<sub>3</sub>, CO<sub>2</sub> e H<sub>2</sub>O <ref>Sadek pag. 198</ref>. <br>
Questa tipologia di detectorrivelatori utilizza elio o idrogeno come gas carrier in quanto hanno conducibilità maggiore di tutte le sostanze organiche. <br>
All'interno del rivelatore è presente un filo metallico che viene scaldato elettricamente: se il flusso di gas in arrivo è a composizione costante la temperatura del filo metallico sarà costante, quando però all'interno del flusso si trova un analita organico la conducibilità termica diminuisce (le sostanze organiche hanno conducibilità termica minore di quella del gas usato), e quindi la temperatura del filo aumenta. Questa variazione di temperatura provoca uno squilibrio nel circuito con conseguente variazione della resistenza che viene misurata attraverso un ponte Wheatstone. <br>
Può capitare che al posto di un filamento metallico si utilizzi un termistore ovvero un resistore la cui resistenza varia significativamente al variare della temperatura. Il vantaggio principale legato al loro uso è dato dal fatto che sono inerti in condizioni di ossidazione, per contro sono molto fragili e sensibili in ambiente riducente. Un'altra problematica relativa al loro utilizzo è data dal fatto che la rivelabilità di un analita diminuisce velocemente quando la temperatura del rivelatore aumenta sopra i 50°C, inoltre le condizioni operative sono piuttosto complesse da settare. Per questa serie di motivi vengono usati principalmente quando si lavora con volumi ridotti e si richiede una risposta rapida, come nel caso di analisi su campioni gassosi eseguite a bassa temperatura con colonne capillari <ref> Barry pag. 295 </ref>. <br>
Il segnale ottenuto è proporzionale alla concentrazione degli analiti. Si tratta di un rivelatore non specifico in quanto risponde ad ogni tipo di composto ed è inoltre universale, questo perché ogni composto modifica la conducibilità termica del flusso di gas in modo differente: per questo motivo è necessaria una standardizzazione. Anche la sensibilità è molto ridotta, una delle peggiori se confrontata con quella degli altri rivelatori. Tollera un rumore fino a 2 μV e ha una rivelabilità compresa tra 10^6 e 10^8 g/mL nel gas carrier, il LOD è nell'intorno dei 10 ppm e il LOL di 10<sup>4</sup> <ref>Sadek pag. 5</ref>. Si possono impiegare entrambi i gas anche se l'idrogeno si addice meglio a misure quantitative. Viene spesso aggiunto uno standard interno che arreca importanti vantaggi all'analisi: innanzitutto in questo modo le temperature della cella e del filamento sono indipendenti le une dalle altre, il risultato fornito è inoltre indipendente dal tipo di detectorrivelatore (se a filamento o a termistore), dalla corrente misurata, dalla concentrazione del campione e dal flusso del gas carrier. <br>
Per minimizzare le fluttuazioni termiche il rivelatore viene posizionato all'interno di un blocco metallico dotato di grande inerzia termica che viene mantenuto ad una temperatura di circa 50°C maggiore di quella della colonna: è infatti molto importante controllare la temperatura in quanto si possono registrare variazioni di resistenza significative al variare della temperatura. La variazione della resistenza del filamento varia con la temperatura con la seguente relazione:
<math> R_1 = R_0[1+0,004(T_1-T_0)] </math>. <br>
Si possono trovare strumenti a singolo o a doppio canale. Nel primo caso è necessario avere un sistema di correzione per le variazioni di temperatura, nel secondo invece si confrontano i due filamenti di cui uno esposto ad un flusso di una colonna di un bianco e l'altro al flusso uscente dalla colonna di analisi. Il secondo caso è ovviamente il preferibile in quanto consente di compensare non solo le variazioni di temperatura del forno ma anche il fenomeno di bleeding. <br> [[File:Flame Ionization Detector.svg|thumb|right|125px|Rivelatore a ionizzazione di fiamma]]
 
Il '''rivelatore a ionizzazione di fiamma ''' è un detectorrivelatore adatto pressoché ad ogni sostanza organica. Richiede un'elevatissima purezza del gas carrier, del combustibile e del comburente impiegato nella fiamma ma la sua risposta non è influenzata da piccole variazioni di pressione, temperatura e velocità del flusso. Non risente inoltre di impurezze eventualmente presenti all'interno del gas carrier quali ad esempio CO<sub>2</sub> o acqua. In compenso anche piccolissime tracce di idrocarburi possono andare ad intaccare la stabilità della linea di base<ref> Barry pag. 298 </ref>. Il FID è costituito da una fiamma alimentata da idrogeno ed aria che sono rispettivamente il combustibile e il comburente. Quando il flusso contenente gli analiti raggiunge la fiamma si ha la combustione con formazione di nuove specie cariche. A seguito della ionizzazione di queste specie si ha il rilascio di elettroni che, una volta usciti dalla fiamma, incontrano un campo elettrico che viene applicato tra due elettrodi. Gli elettroni quindi si dispongono in virtù dell'effetto del campo elettrico e vengono raccolti e conteggiati all'elettrodo collettore: si crea così una corrente elettrica tra i due elettrodi che è proporzionale alla concentrazione degli analiti che la hanno generata. È inoltre presente un amplificatore che ha il compito di amplificare il segnale registrato.<br>
Il segnale è proporzionale al numero di atomi di carbonio presenti nella specie rivelata e non al suo peso o al suo numero di moli <ref> Barry pag. 300 </ref>. La risposta che viene fornita dal rivelatore è influenzata dalla presenza di eteroatomi quali ossigeno, zolfo e alogeni in quanto, essendo elettronegativi, possono catturare parte degli elettroni rilasciati durante la combustione e possono causare l'abbassamento della corrente di fondo. <br>
L'elettrodo collettore di elettroni è solitamente di forma cilindrica in modo da massimizzare la superficie disponibile alla collezione di elettroni.
Il FID fornisce una miglior risposta se si usa azoto come make up gas, soprattutto nel caso si utilizzi una colonna capillare. È molto importante mantenere la temperatura controllata all'uscita della fiamma del rivelatore o il rischio è che l'acqua condensi nuovamente e torni verso la fiamma causando corti circuiti: per questo motivo la temperatura del detectorrivelatore viene mantenuta più alta rispetto a quella della colonna in modo tale da non avere la condensazione delle sostanze. Si deve comunque prestare attenzione al fatto che la temperatura non sia troppo elevata o il rischio è che le superfici solide costituenti lo stesso rivelatore emettano elettroni per ionizzazione termoionica. Il surriscaldamento del rivelatore può inoltre causare perdite elettriche causando instabilità nella corrente. <br>
È un rivelatore molto specifico e dotato di una stabilità moderata. Il range di linearità si estende fino a 10<sup>7</sup>, è dotato di bassi LOD, 10<sup>-13</sup> gC/s<ref> Barry pag. 303 </ref> ma necessita di un gas carrier puro, in particolare privo di idrocarburi in modo da diminuire il rumore di fondo che rischia di essere molto alto essendo questo strumento molto sensibile alla presenza di atomi di C <ref> Sadek pag. 81 </ref>. <br>
 
Il '''rivelatore a cattura di elettroni''' è un detectorrivelatore specifico e non distruttivo, particolarmente adatto a piccole quantità di analita e quindi molto sensibile. <br>
Il rivelatore ECD sfrutta una sorgente di particelle β che vengono solitamente emesse da una sorgente radioattiva di Ni 63 le quali, colpendo il gas di trasporto lo ionizzano e producono un flusso di elettroni che viene misurato: si genera infatti una corrente costante sotto l'effetto di una differenza di potenziale che viene applicata a due elettrodi. Quando al rivelatore arriva un analita elettron attrattore, ovvero una specie elettronegativa come ad esempio alogeni, azoto, fosforo, specie contenenti doppi legami coniugati o organometalli, questa cattura elettroni e diminuisce la corrente di fondo in modo proporzionale alla concentrazione degli analiti <ref> Sadek pag. 62</ref>.<br>
Al posto del Ni 63 si può anche impiegare del trizio che presenta però diverse problematiche a livello operativo: innanzitutto può essere adottato solo a temperature inferiori a 225°C (mentre il Ni può arrivare fino a 400°C), in più può essere facilmente contaminato da composti che possono adsorbirsi sulla superficie della lamina affievolendo la sorgente di raggi x. Altro aspetto da tenere in considerazione è che ad elevate temperature il trizio emette radiazioni ad un livello tale da costituire un pericolo per la salute umana. Questi importanti svantaggi vengono però compensati da un importante vantaggio: la forza di ionizzazione del trizio è molto più elevata di quella del nichel, il che comporta un flusso di radiazioni maggiori a cui consegue una ionizzazione del gas d trasporto più efficiente. Per cercare di compensare gli aspetti positivi di entrambe le sorgenti si è quindi passati ad utilizzare una sottile lamina di Ni 63. <br>
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Vista la sua elevata sensibilità e dati i limiti di rivelabilità molto bassi in particolare per alogeni, zolfo, fosforo e nitrogruppi (arriva a rivelare quantità nell'ordine di picogrammi e talvolta femtogrammi), viene spesso utilizzato in ambito biomedico e ambientale. <br>
 
Il '''rivelatore fotometrico a fiamma''' è un tipo di detectorrivelatore che viene utilizzato per la rivelazione di composti e metalli contenenti zolfo o fosforo quali ad esempio stagno, boro, arsenico e cromo. <br>
Il suo funzionamento si basa sul monitoraggio dell'intensità dell'emissione luminosa di specie dopo che queste sono state eccitate attraverso l'ausilio di una fiamma idrogeno/aria. Gli analiti presenti nel campione vengono indirizzati alla fiamma dove vengono decomposti e portati allo stato eccitato. Le specie così ottenute emettono luce con una lunghezza d'onda caratteristica. La radiazione viene prima fatta passare attraverso un filtro che seleziona una lunghezza d'onda, dopodiché l'intensità viene amplificata e poi rivelata con un tubo fotomoltiplicatore. <br>
Il rumore aumenta all'aumentare della temperatura di esercizio per cui la temperatura del detectorrivelatore deve essere impostata ad un valore tale da impedire giusto la ricondensazione delle sostanze nel detectorrivelatore. Per questo motivo la temperatura di esercizio di questo rivelatore è di circa 150-275°C <ref> Barry pag. 328 </ref>. <br>
La sensibilità dipende dall'intensità della luce emessa dalle specie analizzate ed aumenta al diminuire della temperatura della fiamma. Altri aspetti che possono andare ad aumentare la sensibilità del rivelatore sono l'utilizzo di gas carrier come elio o idrogeno, in quanto dotati di alta conducibilità termica, e l'utilizzo di una fiamma ricca di idrogeno che però rappresenta un problema perché rende la fiamma instabile. L'intervallo di linearità è nel caso del fosforo di circa 10<sup>4</sup> e per lo zolfo 10<sup>3</sup> <ref> Barry pag. 328 </ref>. <br>
Un'altro rivelatore che viene spesso usato in GC è lo spettrometro di massa che risulta essere un accoppiamento vincente in quanto consente di restituire informazioni sulla natura degli analiti separati e permetterne anche l'identificazione. È per questo che si parla di accoppiamento GC-MS. Alla trattazione di questo argomento verrà però riservato un capitolo nella sezione successiva.
 
==Esempio di applicazione==
Nell'esempio qui riportato si vedrà come la gas cromatografia possa essere applicata alla determinazione quali-quantitativa di idrocarburi lineari. La metodologia analitica impiegata prevede una separazione GC e rivelazione tramite FID. <br>
Viene fornito un campione contenente un analita incognito da identificare e da determinarne la concentrazione. Vengono preparate delle soluzioni standard a concentrazione nota e crescente delle seguenti specie: C<sub>10</sub>H<sub>22</sub>, C<sub>11</sub>H<sub>24</sub>, C<sub>12</sub>H<sub>26</sub>, C<sub>13</sub>H<sub>28</sub>. Per identificare l'analita presente nel campione in esame si confronta il tempo di ritenzione ottenuto dall'analisi cromatografica del campione incognito con i tempi di ritenzione delle specie delle varie soluzioni standard, avendo cura di mantenere inalterate le condizioni operative durante tutte le analisi. <br>
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<math>C_{decano} = \frac {6225+843,5}{473,7} = 14,9 ppm</math>
 
==Bibliografia==
Basic Gas Chromatography, H.M.McNair & J.M.Miller, John Wiley & Sons, 2009 <br>
Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015 <br>
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Modern Prectice of Gas Chromatography, R.L.Grob & E.F.Barry, Wiley Interscience, 2004
 
==Note==
<references/>