Missione a Israele/Paolo e Gesù: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
testo
testo
Riga 565:
Tuttavia, tutti ciò he fanno questi evangelisti è narrare una storia che aderisce all'asserzione già fatta da Paolo a metà secolo: che Gesù era il figlio di Davide ''kata sarka'' — "secondo la carne", cioè, per discendenza fisica ({{passo biblico2|Romani|1:3:}}). Quando ridefiniscono chiaramente "messia" per metterlo in linea con le loro convinzioni religiose su Gesù (come nella suddetta citazione di Luca: il Messia è uno che soffre, muore, e risorge dopo tre giorni), possiamo legittimamente dar credito alla loro propria creatività teologica, e/o alle tradizioni che fomano l'impegno delle loro comunità di lingua greca nel tardo primo secolo. Dove però il concetto, quando lo presentano, è comunque consistente con altri dati indipendenti del periodo di Gesù (circa 6 p.e.v. – 30 e.v.), possiamo trovare delle basi per ulteriori indagini storiche.
 
Una dato primario è la stessa crocifissione di Gesù. Specialmente insieme al suo reato, scritto sul ''titulus'' sopra la croce – "l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: ''Il re dei Giudei''" ({{passo biblico2|Marco|15:26}} e parall.) – questa esecuzione è coerente proprio con le note reazioni romane contro un'asserzione di autonomia da parte di un soggetto, nel territorio di Israele o in qualsiasi altro posto. Qui Flavio Giuseppe fornisce la nostra migliore testimonianza specificamente per la Giudea. Nel 6 e.v., Varo, il legato romano in Siria, crocifisse duemila ribelli come parte del suo sforzo per pacificare le campagne ebraiche ribelli (''BJ'' 2.76; ''AJ'' 17.297). Giacomo e Simone, figli del ribelle galileo Giuda, furono crocifissi verso il 46-48 e.v. dal procuratore Tiberio Alessandro (''AJ'' 20.102). Sotto Cumano, un successivo governatore giudeo (48-52 ca.), una schermaglia sanguinosa tra Samaritani e alcuni pellegrini galilei che passavano per la Samaria verso Gerusalemme per una festività, portò ad una serie di crocifissioni quando il tumulto minacciava di espandersi (''BJ'' 2.241; ''AJ'' 20.130). Anche lo storico romano Tacito, che parla di questo incidente, cita specificamente il timore che tale incidente iniziale potesse far scattare una ribellione armata per tutta la Galilea e Samaria (''Annali'' 12.54). Infine, durante le violenti convulsioni che precedettero lo scoppio della guerra nel 66 c.e., il procuratore Floro rispose alle provocazioni a Gerusalemme radunando molti cittadini, anche coloro che avevano un alto rango romano, prima flagellandoli e poi crocifiggendoli (''BJ'' 2.306-8). E ad intervalli durante l'assedio, i soldati di Tito inchiodarono a croci degli ebrei prigionieri in modo che venissero visti da quelli in città, "sperando che tale vista spaventasse il resto della popolazione ad arrendersi" (''BJ'' 5.290). Gli ebrei catturati mentre disperatamente cercavano provviste fuori dalla città quando ormai l'assedio volgeva al termine – "ogni giorno cinquecento, a volte di più, cadevano prigionieri in mano sua – venivano torturati, flagellati e "infine crocifissi in vista delle mura": Tito sperava
{{q|che tale vista avrebbe forse indotto gli ebrei ad arrendersi per evitare lo stesso destino. I soldati stessi, con rabbia e amarezza, inchiodavano le loro vittime in varie posizioni quale beffa crudele finché, a causa del vasto numero, le croci e lo spazio non bastarono più.|Flavio Giuseppe, ''BJ'' 5.450}}
Pertanto il ''titulus'' sulla croce e la ripetuta imputazione di regalità messianica che figura in tutta le narrazioni dell'udienza di Gesù davanti a Pilato ben si adattano a questo contesto fornita da Flavio Giuseppe. Come per gli altri ebrei, lo stesso per Gesù: la crocifissione annuncia chiaramente la politica di ferma intolleranza da parte di Roma di percepite minacce di sedizione. Dobbiamo ritornare a considerare in seguito la questione di Roma e sedizione, perché certe anomalie complicano il caso di Gesù. Qui, in ogni modo, può servire da punto di partenza per capire quell'altra idea messianica non-regale attribuita a Gesù: il titolo o ruolo di "profeta". Ancora una volta, facciamo riferimento a Flavio Giuseppe.