Storia della letteratura italiana/Poesia del dopoguerra: differenze tra le versioni
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Nel corso del Novecento si è assistito allo sviluppo di una nuova poesia dialettale, che superando i modelli del [[../Verismo|verismo]] ha portato a risultati molto elevati. Si tratta per lo più di autori appartati, che verranno riscoperti e valorizzati negli anni cinquanta e sessanta grazie all'impulso dato da [[../Pier Paolo Pasolini|Pasolini]]. Per questi poeta la scelta del dialetto è un modo per uscire dal movimento distruttivo della storia, dalla consunzione della lingua letteraria tradizionale, e di esprimere sentimenti autentici di cui la lingua comune non è più capace. La poesia dialettale consentiva quindi di recuperare il sublime attraverso una via diversa da quella battuta dalla lirica moderna.<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2002 | Einaudi | Torino | p= 991}}</ref>
All'inizio del secolo i risultati più significativi arrivano dall'area della Venezia Giulia,
Anche nel secondo dopoguerra si registra il ritorno al dialetto come lingua poetica, incoraggiato, come già ricordato, da Pasolini. Il dialetto continua a rappresentare una fuga dalla modernità alla riscoperta di una realtà originaria pura, estranea alla trasformazioni dell'età industriale. In questo modo, però, il dialetto perde la sua funzione comunicativa per diventare una lingua astratta e artificiale. Tra gli autori inquadrabili in questo filone si ricordano '''Ignazio Buttitta''' (Bagheria, 19 settembre 1899 – Bagheria, 5 aprile 1997), '''Tonino Guerra''' (Santarcangelo di Romagna, 16 marzo 1920 – Santarcangelo di Romagna, 21 marzo 2012), '''Albino Pierro''' (Tursi, 19 novembre 1916 – Roma, 23 marzo 1995), '''Franco Loi''' (Genova, 21 gennaio 1930).<ref>{{cita libro | Giulio | Ferroni | Profilo storico della letteratura italiana | 2002 | Einaudi | Torino | pp= 1098-1099}}</ref>
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