Missione a Israele/Paolo e Gesù: differenze tra le versioni

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Fu il genio dei profeti che la trasformò altrimenti. Tra tutte le famiglie della terra, esortarono, Dio aveva scelto esclusivamente Israele per conoscerLo e servirLo:
{{q|Soltanto voi ho eletto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità.|{{passo biblico2|Amos|3:2}}}}
La sofferenza era la punizione, e la punizione non era un rigetto. Dio usava la calamità per richiamare Israele al pentimento. Con la ridedicazione ad adempiere i suoi obblighi – rituali, morali, economici, come li interpreta la mente moderna – ritornando alla Torah, Israele sarebbe ritornato anche alla Terra. "Sion sarà riscattata con la giustizia, i suoi convertiti con la rettitudine" ({{passo biblico2|Isaia|1:27}}). Dio è giusto e misericordioso; il Suo amore è costante; la Sua parola immutabile; le Sue promesse, quindi, sicure — o come asserisce Paolo in Romani: "I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" ({{passo biblico|Romani|11:29}})
 
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Ed il segno più sicuro era che le cose andavano proprio male. Se sacerdoti ellenizzati controllavano il Tempio; se un idolo straniero era posto sull'altare di Dio; se gli ebrei apostatavano e gli idoli profanavano la Terra; se il sommo sacerdozio veniva tolto alla casa di Zadok; insomma, se ogni cosa era diventata il più terribile possibile, allora di certo Dio stava per intervenire. Quanto in realtà fossero terribili queste cose, o cosa fosse "terribile" dipendeva, naturalmente dal proprio particolare punto di vista: quello che poteva sembrare terribile ad un sacerdote zadokita alienato avrebbe potuto sembrare accettabile ad un partigiano maccabeo. In poche parole, la situazione particolare o l'evento che stimolava una reazione apocalittica variava da persona a persona e da comunità a comunità. Ma comune a tutti era la mentalità di urgenza, insieme ad un'intensa convinzione religiosa: peggio diventavano le cose, e meglio sarebbero presto diventate. Dio – giusto, buono, onnipotente – non avrebbe permesso alla storia di andare alla deriva indefinitivamente.
 
Pertanto quello che nei profeti doveva essere un evento storico nella vita del popolo di Israele – il ritorno alla Terra ed il ripristino del Regno – divenne nella sua modalità apocalittica ciò che Dio avrebbe compiuto alla Fine dei Giorni, cambiando la natura stessa della realtà storica. Sia l'estensione precedente del male sia l'estensione finale del bene diventano universali, man mano che la redenzione di Israele da Babilonia ed il ritorno alla Terra si espandono su vasta scala: la sconfitta cosmica del male, il raduno di tutto il popolo (vivi e morti), e l'adorazione universale del Dio di Israele. Ritornando dai territori della sua dispersione, Israele sarà scortato a Sion dalle nazioni: "In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi" ({{passo biblico2|Zaccaria|8:23}}). E scrive Tobia, un apocfrifo del secondo secolo p.e.v.:
{{q|Poi di nuovo Dio avrà pietà di loro e li ricondurrà nel paese d'Israele. Essi ricostruiranno il Tempio, ma non uguale al primo, finché sarà completo il computo dei tempi. Dopo, torneranno tutti dall'esilio e ricostruiranno Gerusalemme nella sua magnificenza e il Tempio di Dio sarà ricostruito, come hanno preannunziato i profeti di Israele. Tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità. Tutti abbandoneranno i loro idoli, che li hanno fatti errare nella menzogna, e benediranno il Dio dei secoli nella giustizia.|{{passo biblico2|Tobia|14:5-6}}}}
Qui dunque sta la chiave per capire la visione di Paolo riguardo a Gesù quale Cristo davidico. Che nei giorni finali, per effettuare la redenzione di Israele, Dio avrebbe mandato il sua Messia, il germoglio di Iesse, ''non'' era, come abbiamo visto, una credenza ebraica universale; tuttavia, chiaramente, Paolo e gli altri membri del movimento cristiano erano tra quegli ebrei che la sostenevano. E che nei giorni finali Dio avrebbe convinto le nazioni gentili ad adorarLo, facendoli rifiutare per sempre i loro falsi idoli, ''non'' era il solo ruolo apocalittico assegnato ai Gentili. Troviamo infatti altre speculazioni meno generose (molte anche in Isaia): le nazioni ingiuste sarebbero state distrutte, le loro città desolate ({{passo biblico2|Isaia|54:3}}); le loro ricchezze passeranno a Gerusalemme ({{passo biblico|Isaia|45:14}}); i re dei Gentili si prostreranno dinanzi a Israele ({{passo biblico|Isaia|49:6-7}}); le nazioni leccheranno la polvere ai piedi di Israele. Ma è la tradizione inclusiva che anticipa la partecipazione gentile alla redenzione finale di Israele che appare sempre più frequentemente negli scritti intertestamentali, nelle preghiere sinagogali, e nelle discussioni rabbiniche. E, ovviamente, questa è la tradizione che forma le convinzioni e le attività dei primi cristiani ebrei — Giacomo, Giovanni, Pietro, Barnaba, e specialmente Paolo (si veda {{passo biblico2|Galati|2}}).
 
{{Immagine grande|Sardis Synagogue, late 3rd century AD, Sardis, Lydia, Turkey (19331773400).jpg|800px|<small>''"Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe"'' ({{passo biblico2|Atti|15:21}}).Nel mondo antico, "sinagoga" poteva semplicemente significare un "raduno" o una congregazione, non necessariamente un edificio. Ma nelle città della Diaspora, gli ebrei a volte costruivano grandi e maestosi edifici pubblici da adibirsi a luogo di raduno per le rispettive comunità. Quei Gentili che erano interessati, potevano parteciparvi senza problemi. I reperti della [[:en:w:Sardis Synagogue|'''sinagoga di Sardi''']] ([[w:Sardi (città)|nella Turchia moderna]]) attestano una ricca comunità ebraica ben integrata il cui edificio pubblico era situato nel cuore della città, nella stessa struttura del mercato e dei bagni. Il pavimento della sinagoga corre lungo tutto il bordo inferiore della struttura.</small>}}
 
Se consideriamo il posto dei Gentili nelle comunità delle sinagoghe diasporiche, vediamo più chiaramente l'impatto di questa nozione apocalittica sulla vita gentile cristiana. ''Estranei interessati'' da tempo venivano accolti nelle sinagoghe e avrebbero continuato ad essere accolti per diversi secoli dopo questo periodo. Tali Gentili erano liberi di praticare dell'ebraismo anche solo quelpoco che preferivano, pur continuando nelle loro pratiche ancestrali. Questo atteggiamento aperto era coerente con l'ecumenismo religioso che segnava la cultura pagana in generale. Da parte ebraica, aveva buon senso incoraggiare l'interesse e persino l'ammirazione della maggioranza gentile che li ospitava. Inoltre, poiché la tradizione ebraica considerava l'osservanza della Torah quale privilegio ultimo di Israele, la sinagoga non aveva motivo di imporre i propri standard di monoteismo sui vicini. Se i Gentili nella Diaspora scelsero di unirsi agli ebrei nell'adorazione del Dio di Israele, erano assolutamente liberi di farlo, proprio come a Gerusalemme essi erano liberi di finanziare offerte al Tempio. Abbondanti testimonianze letterarie e epigrafiche rivelano una considerevole interazione tra Gentili ed ebrei. E, con grande irritazione di successivi vescovi cristiani, i cristiani gentili fin verso la fine del quarto secolo e anche dopo, continuarono ciò che avevano iniziato i loro antenati pagani, frequentando sinagoghe e osservando digiuni ebraici e relative festività.