Missione a Israele/Paolo e Gesù: differenze tra le versioni

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{{q|Il Signore disse ad Abramo: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, ''verso il paese che io ti indicherò''. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette
''tutte le famiglie della terra''.|{{passo biblico2|Genesi|12:1-3}}}}
La storia di Abramo inizia quindi con l'impegno di Dio che la Terra di Israele è riservata ad Abramo e famiglia, e che il loro rapporto speciale beneficerà tutta l'umanità. Dio poi fa altri pronunciamenti ad Abramo. I suoi discendenti saranno fatti schiavi in una terra straniera, ma Dio li redimerà dalla cattività e li porterà nella loro dimora promessa ({{passo biblico2|Genesi|15:12-20}}). Abramo e la sua famiglia devono camminare davanti a Dio ed essere integri ({{passo biblico2|Genesi|17:1}}), sigillando la loro alleanza nella carne con la circoncisione ({{passo biblico2|Genesi|17:10-13}}), osservando la via del Signore e agendo con giustizia e diritto ({{passo biblico2|Genesi|18:19}}). La promessa della Terra si ripete in tutto il resto di Genesi, ricorrendo nei rapporti di Dio con Isacco e Giacobbe; invocata da Giuseppe, morente in Egitto, nelle frasi finali del libro:
{{q|Poi Giuseppe disse ai fratelli: "Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questo paese verso il paese ch'egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe".|{{passo biblico2|Genesi|50:24}}}}
Da Genesi 12, con la chiamata di Abramo da parte di Dio, fino alla chiusura del Deuteronomio, con Mosè morente mentre le dodici tribù si preparano ad attraversare il Giordano, l'intera Torah narra la storia di come Dio mantenne la Sua promessa della Terra — "il paese per il quale Io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza" ({{passo biblico2|Deuteronomio|34:4}}). Il collasso finale del regno ebraico settentrionale provocato dall'Assiria nel 722 p.e.v., e la caduta del meridione sotto Nabuccodonosor nel 568 p.e.v., devono essere visti in questa prospettiva. L'Esilio dalla Terra fu una disconferma traumatica della promessa di Dio, della Sua alleanza, dell'elezione di Israele quale popolo di Dio.
 
Fu il genio dei profeti che la trasformò altrimenti. Tra tutte le famiglie della terra, esortarono, Dio aveva scelto esclusivamente Israele per conoscerLo e servirLo:
{q|Soltanto voi ho eletto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità.|{{passo biblico2|Amos|3:2}}}}
La sofferenza era la punizione, e la punizione non era un rigetto. Dio usava la calamità per richiamare Israele al pentimento. Con la ridedicazione ad adempiere i suoi obblighi – rituali, morali, economici, come li interpreta la mente moderna – ritornando alla Torah, Israele sarebbe ritornato anche alla Terra. "Sion sarà riscattata con la giustizia, i suoi convertiti con la rettitudine" ({{passo biblico2|Isaia|1:27}}). Dio è giusto e misericordioso; il Suo amore è costante; la Sua parola immutabile; le Sue promesse, quindi, sicure — o come asserisce Paolo in Romani: "I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!" ({{passo biblico|Romani|11:29}})
 
Secondo i profeti, la confrontazione tra Babilonia e Gerusalemme rappresentava nell'idioma storico i due poli della realtà spirituale e morale: esilio e ritorno, schiavitù e redenzione, peccato e pentimento, pentimento e perdono. Generazioni successive, traumatizzate a loro volta dalla confusione culturale e religiosa dei periodi greci e romani, puntarono verso questa tradizione profetica. Amplificarono la sua urgenza e universalizzarono le sue affermazioni: la profezia divenne un'escatologia apocalittica. La redenzione assicurata non sta più soltanto nel futuro. Tale futuro incide nel presente: è imminente, e uno può conoscere il suo arrivo interpretando i segni dei tempi.
 
Ed il segno più sicuro era che le cose andavano proprio male. Se sacerdoti ellenizzati controllavano il Tempio; se un idolo straniero era posto sull'altare di Dio; se gli ebrei apostatavano e gli idoli profanavano la Terra; se il sommo sacerdozio veniva tolto alla casa di Zadok; insomma, se ogni cosa era diventata il più terribile possibile, allora di certo Dio stava per intervenire. Quanto in realtà fossero terribili queste cose, o cosa fosse "terribile" dipendeva, naturalmente dal proprio particolare punto di vista: quello che poteva sembrare terribile ad un sacerdote zadokita alienato avrebbe potuto sembrare accettabile ad un partigiano maccabeo. In poche parole, la situazione particolare o l'evento che stimolava una reazione apocalittica variava da persona a persona e da comunità a comunità. Ma comune a tutti era la mentalità di urgenza, insieme ad un'intensa convinzione religiosa: peggio diventavano le cose, e meglio sarebbero presto diventate. Dio – giusto, buono, onnipotente – non avrebbe permesso alla storia di andare alla deriva indefinitivamente.
 
Pertanto quello che nei profeti doveva essere un evento storico nella vita del popolo di Israele – il ritorno alla Terra ed il ripristino del Regno – divenne nella sua modalità apocalittica ciò che Dio avrebbe compiuto alla Fine dei Giorni, cambiando la natura stessa della realtà storica.