Chimica per il liceo/I legami: differenze tra le versioni

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L’enorme varietà di sostanze chimiche che formano non solo il mondo in cui viviamo, ma l’intero Universo, deriva dalla combinazione degli atomi che costituiscono gli elementi classificati nella Tavola periodica.
 
Mentre i gas nobili esistono come atomi isolati, gli atomi di tutti gli altri elementi tendono a combinarsi, sia con atomi dello stesso tipo (sostanze elementari), sia con atomi di elementi differenti (composti), mediante la formazione di '''legami chimici''', ossia interazioni di natura elettrica in cui sono coinvolti gli elettroni più esterni che possono essere scambiati o messi in condivisione. La formazione dei legami chimici è un processo complesso, che per essere studiato a pieno, richiederebbe conoscenze più approfondite della struttura atomica e della meccanica quantistica, ma che è in ogni caso fondamentale comprendere almeno nelle sue linee essenziali, in quanto le trasformazioni chimiche comportano normalmente la rottura e la formazione di legami chimici.
 
Per quanto il numero di possibili combinazioni fra gli atomi sia virtualmente infinito, non sempre è possibile che si instaurino legami fra essi: condizione essenziale è che l’energia potenziale dell’associazione atomica che si viene a formare sia minore di quella dei singoli atomi separati. Il composto che si ottiene, in seguito all’instaurarsiall'instaurarsi di legami chimici, ha pertanto una maggior stabilità rispetto ai singoli atomi che lo costituiscono, proprio perché il suo contenuto energetico è minore rispetto a quello degli atomi separati. Con il termine '''energia di legame''' si indica la quantità di energia che deve essere fornita per rompere un legame chimico. La distanza tra i nuclei dei due atomi coinvolti in un legame chimico è invece definita '''lunghezza di legame'''.
 
=== Gli elettroni di legame ===
Come precedentemente osservato, alle interazioni tra atomi, ossia alla formazione dei legami chimici, prendono normalmente parte solo gli elettroni più esterni che pertanto vengono chiamati '''elettroni di legame''' o '''elettroni di valenza''', in quanto il livello energetico più esterno di un atomo, dove sono localizzati tali elettroni, è definito strato di valenza. Il numero di elettroni di valenza può essere agevolmente determinato facendo riferimento alla Tavola periodica rappresentata in figura 8.1 [figura 8.1 - tavola periodica con l’indicazione sia IUPAC sia tradizionale dei gruppi preferibilmente che metta in evidenza i gruppi 1-2 e 13-18], in particolare:
 
* i metalli alcalini (gruppo 1) e alcalino-terrosi (gruppo 2) hanno rispettivamente uno o due elettroni di legame;
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=== I simboli di Lewis e la regola dell’ottetto ===
Gli elettroni di valenza possono essere facilmente rappresentati mediante pratiche notazioni introdotte dal chimico statunitense Gilber N. Lewis e per questo note come '''simboli di Lewis''', in cui tali elettroni sono indicati come puntini o come coppie di puntini disegnati ai quattro lati del simbolo chimico dell'elemento. Come regola generale, si colloca un puntino su ciascun lato del simbolo chimico (è indifferente il lato da cui partire e l’ordine da seguire) per i primi quattro elettroni di legame, dopodichè si accoppiano i puntini su ciascun lato: l'importante è collocare i primi quattro puntini su ciascun lato, dopodichè accoppiarli. Nella figura 8.2 [figura 8.2 - struttura di Lewis dei primi 18 elementi] sono rappresentate le strutture di Lewis per gli elementi appartenenti ai primi tre periodi. Come è possibile notare, gli elementi appartenenti al medesimo gruppo presentano la stessa stessa struttura di Lewis, in quanto dotati della stessa '''configurazione elettronica''' più esterna, ossia la stessa distribuzione degli elettroni di valenza.
 
Nel 1916, Lewis ha inoltre formulato la cosiddetta '''regola dell'ottetto''', una regola empirica che tenta di spiegare, anche se in modo approssimato, la formazione dei legami chimici tra gli atomi. Secondo tale regola '''quando un atomo possiede il livello elettronico esterno completo''' (ossia lo strato di valenza), che in genere è costituito da '''otto elettroni, esso è in una condizione di particolare stabilità energetica e tende a non formare ulteriori legami'''. In altre parole, '''un atomo è particolarmente stabile quando ha otto elettroni nello strato di valenza'''.
 
I gas nobili, in natura, risultano sostanzialmente inerti (salvo alcune reazioni particolari che danno origine però origine a composti rari e poco stabili) ed esistono come atomi singoli, proprio in virtù del fatto che presentano un ottetto completo nello strato di valenza: si ricorda sempre la peculiarità dell’elio che risulta stabile con soli due elettroni. Al contrario, tutti gli altri elementi, che non possiedono l’ottetto completo, tendono, a seconda dei casi, a cedere, ad acquistare o a mettere in comune i propri elettroni di legame, al fine di completare il proprio strato di valenza. Ogni elemento pertanto ha la tendenza a raggiungere l’ottetto e ad assumere lo stesso assetto di elettroni del gas nobile ad esso più vicino.
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In base al numero di coppie di elettroni che vengono condivise tra due atomi per raggiungere l’ottetto si possono distinguere tre tipologie di legami covalenti:
 
# Nel '''legame covalente semplice''' (o '''singolo''') viene condivisa una sola coppia di elettroni tra due atomi, come nei casi precedentemente analizzati del cloro molecolare e del metano (in cui sono presenti quattro distinti legami semplici), o nel caso della molecola di idrogeno (H2), in cui ciascun atomo mette in condivisione il suo unico elettrone, al fine di raggiungere la stabilità (rappresentata in questo caso dalla configurazione elettronica dell’elio), come mostrato in figura 8.5 [figura 8.5 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis]; anche in questo caso è possibile rappresentare la struttura della molecola, in forma semplificata, mediante un trattino che unisce i simboli dei due atomi legati: H-H.
# Nel '''legame covalente doppio''' vengono condivise due coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas ossigeno (O2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 6 elettroni di valenza (gruppo 16): per raggiungere l’ottetto (raggiungendo la stessa configurazione elettronica del gas nobile neon) sono necessari a ciascun atomo due elettroni; si formano pertanto due coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi, ossia un legame covalente doppio. La figura 8.6 [figura 8.6 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di ossigeno. In questo caso, il legame doppio può essere rappresentato da due trattini tra i simboli degli atomi: O=O.
# Nel '''legame covalente triplo''' vengono invece condivise tre coppie di elettroni tra gli stessi due atomi. Un esempio è dato dal gas azoto (N2) in cui ciascuno dei due atomi che formano la molecola possiede 5 elettroni di valenza (gruppo 15): la formazione di tre coppie di elettroni condivise tra gli stessi atomi permette a entrambi di raggiungere l’ottetto e quindi la stabilità. La figura 8.7 [figura 8.7 - formazione della molecola di idrogeno utilizzando le strutture di Lewis] rappresenta la formazione della molecola di azoto. In questo caso, il legame triplo può essere rappresentato da tre trattini tra i simboli degli atomi: N≡N.
 
I legami doppi e tripli possono essere complessivamente indicati anche come legami covalenti multipli.
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=== Il legame covalente dativo ===
Un particolare tipo di legame covalente, presente in numerosi composti chimici, prevede che la coppia di elettroni di legame sia fornita da uno solo dei due atomi: è il legame '''covalente dativo'''. L’atomo che dona i due elettroni che ha già completato l’ottetto, mediante la formazione di legami con altri atomi, e che dispone di '''uno o più doppietti elettronici''' (coppie di elettroni) non condivisi (per indicarli si può utilizzare anche il termine “coppie solitarie”) prende il nome di '''datore''', mentre quello che li riceve viene definito '''accettore'''. Il legame dativo una volta che si instaura è indistinguibile da un normale legame covalente e, per convenzione, viene indicato con una freccia (🠂) che va dall’atomo datore verso quello accettore.
 
Prendendo, ad esempio, in considerazione il cloro, che appartiene al gruppo 17, si può osservare che sono presenti tre coppie solitarie, utilizzabili per la formazione di altrettanti legami covalenti dativi: nell’acido cloroso (HClO2), nell’acido clorico (HClO3) e nell’acido perclorico (HClO4), sono infatti presenti rispettivamente uno, due e tre legami dativi tra il cloro e l’ossigeno, come illustrato in figura 8.9 [figura 8.9 - gli ossoacidi del Cl con messa in evidenza dei legami dativi].
 
=== L’elettronegatività e i legami covalenti puri e polarizzati ===
Un parametro di fondamentale importanza per determinare le caratteristiche di un legame chimico è '''l’elettronegatività''', che, come già studiato nel modulo 7, è una proprietà che dà un’indicazione della tendenza con cui un atomo attrae gli elettroni di legame, misurata mediante una scala arbitraria proposta dal fisico e chimico americano Linus Pauling. In linea generale e tralasciando i gas nobili, l’elettronegatività aumenta spostandosi da sinistra verso destra lungo un periodo, mentre diminuisce scendendo lungo un gruppo: l’elemento più elettronegativo è infatti il fluoro.
 
Nel determinare le caratteristiche di un legame chimico è necessario fare riferimento alla '''differenza di elettronegatività''' fra gli atomi coinvolti: se tale differenza è minima, gli elettroni coinvolti nel legame risultano distribuiti in modo perfettamente uniforme attorno ai due nuclei atomici; al contrario, se tale differenza è significativa, la distribuzione degli elettroni coinvolti nel legame non è omogenea e gli elettroni sono attratti con maggior forza dal nucleo dell’atomo più elettronegativo. Più nel dettaglio, si possono distinguere i tre seguenti casi:
 
# Se la differenza di elettronegatività è inferiore a 0,4, si ha un '''legame covalente puro''' (anche detto omopolare o apolare), in cui gli elettroni di legame sono condivisi in modo perfettamente equilibrato. Ciò si verifica quando il legame si instaura tra due atomi delle stesso elemento, come nelle molecole di idrogeno (H2), cloro (Cl2), ossigeno (O2) e azoto (N2), precedentemente analizzate, o nelle molecole organiche in cui è normalmente presente il legame tra atomi di carbonio, C-C (ad esempio nell’etano: H3C-CH3), oppure quando il legame si instaura tra due elementi diversi che hanno però valori di elettronegatività simili, come ad esempio, tra l’idrogeno (elettronegatività = 2,20) e il fosforo (elettronegatività = 2,19), nel gas fosfina (PH3).
# Se la differenza di elettronegatività è compresa tra 0,4 e 1,9 (alcuni autori pongono il limite a 1,7), si ha un '''legame covalente polarizzato''' (anche detto '''eteropolare''' o '''polare'''), in cui gli elettroni di legame sono distribuiti in maniera non simmetrica, essendo attratti maggiormente dall’atomo con il più elevato valore di elettronegatività. Poiché gli elettroni sono particelle cariche negativamente, questa loro distribuzione asimmetrica fa sì che l’atomo più elettronegativo manifesti una parziale carica negativa (indicata con il simbolo δ−, “delta meno”), comunque inferiore al valore della carica dell’elettrone stesso (carica elettrica elementare), mentre l’atomo meno elettronegativo manifesti una parziale carica positiva (indicata con il simbolo δ+, “delta più”), anche in questo caso comunque inferiore al valore assoluto della carica dell’elettrone: si genera in questo modo un '''dipolo elettrico'''. Un esempio di legame covalente polarizzato è quello tra idrogeno (elettronegatività = 2,20) e cloro (elettronegatività = 2,16), nella molecola dell’acido cloridrico (HCl), rappresentata nella figura 8.9 [figura 8.9 - molecola di HCl in cui si mette in evidenza la polarità del legame]. Un’altra importante molecola in cui sono presenti legami covalenti polarizzati è l’acqua (H2O): l’atomo di ossigeno (elettronegatività = 3,44) presenta una parziale carica negativa (δ−), mentre gli atomi di idrogeno (elettronegatività = 2,20) presentano entrambi una parziale carica positiva (δ+), come mostrato in figura 8.10 [figura 8.10 - molecola H2O in cui si mette in evidenza la polarità del legame].
# Se la differenza di elettronegatività è maggiore di 1,9, si ha un legame ionico, di cui tratteremo nel paragrafo 8.3.
 
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=== Le sostanze covalenti ===
Sono definite '''sostanze covalenti''' quelle in cui sono presenti esclusivamente legami covalenti. In alcuni casi queste sostanze sono formate da molecole semplici, derivanti dall’unione di un limitato numero di atomi tutti legati covalentemente tra loro, come nel caso di tutte le molecole precedentemente citate, in altri casi sono formate da molecole complesse costituite da decine, centinaia o migliaia di atomi uniti covalentemente tra loro, come si osserva spesso nelle molecole organiche e biologiche.
 
Esistono inoltre solidi covalenti che, anziché essere formati da molecole semplici o complesse, sono formati da un numero molto elevato e variabile di atomi legati covalentemente tra loro che danno origine, nello spazio, a strutture geometriche regolari: ne è un classico esempio il diamante, una particolare forma del carbonio in cui ogni atomo è legato covalentemente ad altri quattro, dando origine ad un reticolo tridimensionale virtualmente infinito, come mostrato in figura 8.11 [figura 8.11 - struttura del diamante].
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== Il legame ionico ==
Come introdotto nel paragrafo precedente, quando la differenza di elettronegatività fra due atomi è superiore a 1,9 si instaura una differente tipologia di legame: il '''legame ionico'''. Questo si basa sul trasferimento di elettroni tra atomi, che porta quindi alla formazione di ioni di carica opposta, tra i quali si instaura un’interazione elettrostatica di tipo attrattivo. Il legame ionico può dunque essere definito come l’insieme delle interazioni elettrostatiche che tengono assieme ioni di carica opposta, generatisi in seguito al trasferimento di elettroni fra atomi di elementi differenti.
 
=== Gli ioni e l’instaurarsi del legame ionico ===
Nel modulo 6, gli '''ioni''' sono stati definiti come atomi (o molecole) elettricamente carichi. Poiché soltanto gli elettroni (particelle subatomiche aventi carica elettrica elementare negativa, −1) possono essere scambiati (acquisiti o ceduti), uno è ione negativo quando possiede almeno un elettrone in eccesso, al contrario uno ione è positivo quando è deficitario di almeno un elettrone. Gli ioni sono rappresentati mediante il simbolo dell’elemento chimico (o la formula della molecola), con l’indicazione, in alto (apice) a destra del tipo e del quantitativo di cariche elettriche possedute, mediante i simboli matematici − o +, ad esempio lo ione alluminio, che è dotato di tre cariche elettriche positive, si rappresenta come Al3+, mentre lo ione solfuro, che è dotato di due cariche elettriche negative, si rappresenta come S2−. Gli ioni negativi, come ad esempio lo ione solfuro ( S2−) o lo ione cloruro (Cl−), sono anche detti '''anioni'''; gli ioni positivi, come ad esempio lo ione alluminio (Al3+) o lo ione sodio (Na+), sono invece detti '''cationi'''.  
 
Quando si forma il legame ionico, l’elettrone (o gli elettroni) passano dall’atomo dell’elemento meno elettronegativo, che diventa pertanto un catione, a quello più elettronegativo, che diventa pertanto un anione.
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=== I composti ionici ===
L’interazione elettrostatica tra gli ioni non è localizzata e direzionale, come nel caso del legame covalente, ma si esercita in tutte le direzioni dello spazio, questo fa sì che ogni ione si circondi di più ioni di carica elettrica opposta: ogni anione si circonda di più cationi e contemporaneamente ogni catione si circonda di più anioni, dando in questo modo origine a una struttura tridimensionale altamente ordinata detta '''reticolo cristallino''', che caratterizza i '''composti ionici'''.
 
Riprendendo l’esempio del cloruro di sodio, ogni ione sodio, Na+, è circondato da sei ioni cloruro, Cl−, e, a sua volta, ogni ione Cl− è circondato da sei ioni Na+. In pratica, ogni ione di una determinata carica si trova idealmente al centro di un cubo circondato dagli ioni di carica opposta, con cui interagisce direttamente, che si trovano al centro di ciascuna delle sei facce del cubo, come mostrato in figura 8.13 [figura 8.13 - reticolo cristallino del cloruro di sodio].
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Le caratteristiche dei metalli dipendono dal peculiare legame chimico che li caratterizza e che è differente sia da quello covalente, infatti non comporta la condivisione degli elettroni, che devono invece essere liberi di muoversi, per giustificarne la buona conducibilità termica, sia da quello ionico, infatti non coinvolge atomi di elementi differenti che si scambiano elettroni, ma atomi tutti dello stesso tipo.
 
In prima approssimazione, il '''legame metallico''' può essere descritto mediante il  "modello a nube elettronica" proposto dal fisico tedesco Paul Drude, nel 1900, integrato con le scoperte successive sulla struttura degli atomi e della materia. Quando interagiscono fra loro per dare origine a un corpo metallico, gli atomi di un metallo perdono i propri elettroni di valenza, diventando pertanto ioni positivi (cationi metallici) e si “impacchettano” nel miglior modo possibile, in modo da dare origine a strutture geometriche ben definite e ordinate (un reticolo di cationi); a loro volta gli elettroni di valenza che non appartengono più ai singoli atomi, ma sono liberi di muoversi tra i vari cationi (si parla di elettroni delocalizzati), costituiscono una sorta di “mare” di cariche negative che funge da collante e tiene saldamente uniti i cationi. In sintesi, un solido metallico è costituito da un reticolo di cationi immersi in un mare di elettroni, che li mantiene aggregati. La struttura precedentemente descritta è rappresentata nella figura 8.17 [figura 8.17 - legame metallico].
 
Il legame metallico può giustificare le proprietà che caratterizzano i metalli:
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= I legami intermolecolari =
Con il termine generico di '''legami intermolecolari''' (o '''secondari''') si indicano differenti tipologie di interazioni di natura elettrostatica che si stabiliscono fra le molecole (siano esse neutre o ioniche) e non fra i singoli atomi, come nel caso dei legami precedentemente descritti, che per contrapposizione sono talvolta definiti '''intramolecolari''' (o '''primari''' o '''interatomici'''). Queste interazioni, che sono fondamentali per comprendere gli stati di aggregazione della materia, sono generalmente più deboli (hanno cioè una minor energia di legame) di quelle intramolecolari, hanno un breve raggio d’azione e diminuiscono rapidamente di intensità all’aumentare della distanza tra le molecole.
 
Si possono individuare diverse tipologie di legami intermolecolari, che sono strettamente legati alla maggiore o minore polarità dello molecole coinvolte, fra cui:
 
# Il '''legame ione-dipolo''' si instaura fra molecole polari e ioni e che giustifica la solubilità solitamente elevata delle sostanze saline nei liquidi polari. Un classico esempio è dato dalla dissoluzione del sale da cucina (il cloruro di sodio) in acqua: le numerose molecole dipolari di acqua esercitano un’intensa attrazione sugli ioni sodio Na+ e cloro Cl−, di conseguenza il reticolo cristallino si disgrega e gli ioni si ritrovano in soluzione circondati da molecole di acqua (si parla propriamente di ioni idratati), come mostrato figura 8.19 [figura 8.19 - dissoluzione dell’NaCl in acqua].