Storia della letteratura italiana/Dante Alighieri: differenze tra le versioni

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Dante Alighieri è stato il più grande letterato italiano deltra Duecento e Trecento. Uomo orgoglioso e consapevole del suo valore poetico, fu un'importante guida politica per i suoi contemporanei, nonché il primo teorizzatorea formulare, nel ''De vulgari eloquentia'', dellauna linguadefinizione italianaper il volgare italiano, il che gli valse postumo l'appellativo di padre della nostra lingua italiana.
 
Nella natia Firenze Dante matura, accanto ai più importanti letterati del suo tempo (come Guido Cavalcanti), la sua formazione poetica. QuesteIn esperienzeseguito loa portanoqueste aesperienze aderireaderisce dapprima ai moduli cortesi, perquindi poi arrivarearriva a superare la concezione amorosa dello [[../Lo stilnovo|stilnovo]]. Invano cercherà il riconoscimento del suo valore poetico da parte dei suoi concittadini del suo valore poetico. Importante è anche la sua attività politica, conclusasi con la triste esperienza dell'esilio, durante il quale si reca in molte città d'Italia, e in particolare a Ravenna e Verona.
 
== La vita ==
[[File:Bargello - Kapelle Fresko 2a.jpg|thumb|left|Dante Alighieri in un affresco di Giotto conservato al Museo del Bargello di Firenze]]
Dante nasce tra il maggio e il giugno del 1265 a Firenze, figlio di Alighiero di Bellincione e di donna Bella. La sua è una famiglia di parte guelfa appartenente alla piccola nobiltà cittadina (anche se le origini aristocratiche vantate da Dante sono oggi messe in dubbio). Poco si conosce sulle prime fasi della sua vita. Riceve con ogni probabilità un'educazione accurata: nel canto XV dell<nowiki>'</nowiki>''Inferno'' dice di essere stato allievo di [[../Brunetto Latini|Brunetto Latini]]. Inizia presto a comporre poesie e subisce sicuramente l'influsso dei provenzali, dei siciliani, di GiuttoneGuittone, Guinizzelli e dell'amico Guido Cavalcanti. Nel 1277 il padre lo costringe a sposare Gemma Donati, figlia di una potente e ricca famiglia fiorentina. Ignota è la data del matrimonio, che comunque deve essere avvenuto quando la coppia era poco più che adolescente; dall'unione nasceranno vari figli. Negli stessi anni si colloca, presumibilmente, la storia d'amore con Beatrice, la cui morte nel 1290 getta il poeta nello smarrimento e segna il passaggio dalla produzione stilnovisticastilnovista a una nuova fase in cui la sua poesia si apre all'orizzonte civile e politico. Intanto, nel 1289 Dante partecipa alla battaglia di Campaldino e assiste alla resa del castello di Caprona.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | pp=89-90}}</ref><ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=1 }}</ref>
 
A partire dal 1295 Dante partecipa alla vita politica della città. Nel 1293 gliGli ordinamenti di giustizia varati da Giano della Bella impediscononel 1293 impedivano l'accesso alle cariche pubbliche di membri della nobiltà cittadina. Nel 1295 il provvedimento viene modificato, e chiunque ambisca a cariche pubbliche deve essere iscritto a un'arte. Dante entra così nell'Arte dei Medici e degli Speziali: la cosa può sembrare strana, ma diventa comprensibile se si pensa allo stretto nesso che esisteva all'epoca tra filosofia e scienze naturali. Negli anni successivi siede più volte nel Consiglio del Comune. Al 1300 risale la rottura del fronte guelfo in due fazioni. Da un lato i Nerineri, capeggiati da Corso Donati e dalla sua famiglia, sono favorevoli alle politiche di papa Bonifacio VIII e alla trasformazione di Firenze in una signoria. Dall'altra i Bianchibianchi, riuniti attorno alla famiglia dei Cerchi, vogliono conservare la libertà della città. Dante parteggia per questi ultimi, svolgendo un ruolo di primo piano nelle vicende accadute a Firenze nel biennio 1300-1301.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=90}}</ref>
 
Tra il giugno e l'agosto del 1300 è eletto tra i priori, la massima magistratura prevista dall'ordinamento cittadino. In questo ruolo appoggia l'esilio per i capi dei due partiti, tra cui c'è anche Cavalcanti. Nell'ottobre del 1301 partecipa a una un'ambasceria a Roma presso Bonifacio VIII. Durante la sua assenza, però, c'è un sovvertimento politico a Firenze: i Nerineri prendono il potere appoggiati dal legato pontificio Carlo di Valois. Sulla via del ritorno, nel gennaio 1302, Dante apprende di essere stato condannato a due anni di confino con l'accusa di baratteria, cioè di corruzione nell'esercizio delle cariche pubbliche. Due mesi dopo, non essendosi presentato per difendersi, la condanna si trasforma in pena capitale. Inizia così il suo lungo esilio, destinato a terminare solo con la morte. Inizialmente si unisce ad altri fuoriusciti, che tentano di rientrare a Firenze con la forza. Dopo la sconfitta nella battaglia di Lastra del 1305, abbandona però il gruppo e gira varie corti italiane. Viene dapprima ospitato da Bartolomeo della Scala a Verona, quindi nel 1306 si sposta in Lunigiana, protetto dai Malaspina. Il poeta considera umiliante la sua nuova condizione: formatosi come intellettuale cittadino, abituato a godere delle libertà garantite da un Comunecomune, è ora costretto a vivere come uomo di corte, facendo affidamento sulla generosità di un signore.
 
Un momento importante nella vita di Dante coincide con l'elezione di Arrigo VII di Lussemburgo a imperatore nel 1308. Il sovrano intende ripristinare l'autorità imperiale sull'Italia, accendendo nell'animo di molti le speranze di una nuova era di pace e giustizia. Dante probabilmente assiste all'incoronazione dell'imperatore a Milano nel 1310 e scrive varie epistole allo scopo di favorire la sua impresa. Tuttavia queste speranze si spengono con l'improvvisa morte di Arrigo VII nel 1313. Nel frattempo, nel 1315 Dante rifiuta l'amnistia giunta da Firenze, giudicando poco dignitose le condizioni imposte: al poeta viene infatti chiesto di dichiararsi colpevole e sottoporsi a pubblica umiliazione.
 
Il suo esilio prosegue in altre città italiane: è di nuovo a Verona, presso Can GrandeCangrande della Scala, e poi a Ravenna (forse dal 1318), ospite di Guido Da Polenta. Sono questi gli anni in cui Dante lavora alla ''Commedia'', mentre cresce la sua fama di letterato. Sempre a Ravenna, è invitato dal grammatico Giovanni del Virgilio a raggiungere Bologna, dove avrebbe ricevuto l'incoronazione a poeta. Dante tuttavia rifiuta: continua infatti a sperare di poter tornare a Firenze e di ricevere lì l'ambito riconoscimento. Nel 1320 è ancora una volta a Verona, dove legge la sua ''Quaestio de aqua et terra'', una conferenza in latino su temi cosmologici. Nel 1321 fa parte di un'ambasceria a Venezia, dove si ammala di malaria. Tornato a Ravenna, muore nella notte tra il 14 e il 15 settembre.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | pp=90-92}}</ref><ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=2 }}</ref>
 
== La ''Vita nuova'' ==
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La ''Vita nuova'' è una raccolta di rime giovanili accompagnate da un commento e un'interpretazione in prosa, entrambi scritti dall'autore stesso. Spesso chiamata ''libello'', si pensa che le poesie della ''Vita nuova'' siano state selezionate e messe insieme dopo la morte di Beatrice, quindi tra il 1291 e il 1296. Alcune liriche sarebbero tuttavia precedenti: Dante ha iniziato a scriverle nel 1286, dapprima per varie donne e poi, in un secondo momento, per '''Beatrice'''. Lo schema dell'opera riprende un modello molto diffuso nella letteratura latina medievale, quello del ''De consolatione philosophiae'' di Boezio. Il risultato è un romanzo in cui brani di prosa sono intervallati da sonetti e canzoni, secondo il modello delle ''rezos'' provenzali.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=92}}</ref>
 
Vi si trova l'ideale storia d'amore tra la donna e il poeta, narrata secondo unala rielaborazione dantesca dello stilnovo, in cui di primaria importanza sono i temi del saluto, col quale l'amata infonde sentimenti di beatitudine celestiale, della lode e della nobiltà. Dante si distacca invece dallo stilnovo per quanto riguarda il ruolo della ragione nell'esperienza amorosa, asserendo che l'amore regna nell'animo da essa guidato.
 
{{trama libro|testo=Dante incontra per la prima volta Beatrice a nove anni, provando da subito un sentimento d'amore. La rivede quando è diciottenne e ne riceve il saluto, dal quale gli sembra di ottenere la beatitudine. IniziaComincia a dedicarle poesie, ma, per timore che qualcuno possa riconoscere l'identità dell'amata, il poeta inizialmente finge di corteggiare altre donne (dette «dello schermo», perché difendono il suo amore dalle malelingue). Da qui l'indignazione di Beatrice, che giudica questo comportamento «villano» e nega a Dante il saluto. Dalla sofferenza provata dal poeta, i cui tormenti sono analizzati nel libro, nasce la decisione di dedicarsi alla lauda, secondo i canoni dello stilnovo. La beatitudine non viene più dal saluto, ma da una materia nuova e più alta, cioè dalle lodi della sua «donna gentile». Dante si rivolge ora a un pubblico ristretto di spiriti affini. Tuttavia un sogno, avuto durante una malattia, gli preannuncia la morte dell'amata. Alla scomparsa di Beatrice segue un periodo di dolore, quindi si fa strada un sentimento di gratitudine per una «donna gentile» che, avendo indovinato le sue sofferenze, mostra pietà nei suoi confronti. Dante infine torna al culto di Beatrice: l'amata gli appare in una visione, posta nella gloria dei cieli. Decide quindi di non dedicarle più poesie, finché non sarà in grado di «dicer di lei quello che mai fosse detto d'alcuna».}}
 
Il libro è suddivisibile in tre parti: nella prima si descrivono gli effetti dell'amore sull'innamorato, la seconda è dedicata alla lode di Beatrice e il terzo alla sua morte.<ref name="Baldi4">{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=4 }}</ref> Lo stesso poeta avvisa che il nome della donna è reale ma ha anche una valenza simbolica: l'amata è infatti in grado di donare beatitudine. Secondo i commentatori antichi è forse da identificare con una certa Bice de' Portinari, figlia di Folco Portinari e moglie di Simone dei Bardi. L'amore per lei viene posto da Dante come fulcro di tutta la sua vita sentimentale e intellettuale. Da un lato viene presentato come l'evento centrale della sua giovinezza, dall'altro segna l'evoluzione della sua poetica da una fase toscana all'accettazione dello stilnovismo, in modi però del tutto originali.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=93}}</ref> Lo stesso titolo, ''Vita nuova'', sottolinea il rinnovamento spirituale avvenuto nell'esistenza del poeta grazie a questo amore eccezionale.
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=== Le rime giovanili: dai modi toscani allo stilnovo ===
[[File:Dante Gabriel Rossetti Beata Beatrix Pastel 1872.jpg|thumb|Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, dipinto a olio, 1872, Chicago Art Institute]]
Come si è visto, oltre a quelle confluite nella ''Vita nuova'', Dante compone in gioventù altre poesie. Alcune seguono i modi toscani, altre invece risentono dello stilnovismostilnovo. In una prima fase Dante si orienta infatti alla lirica d'amore di tipo cortese: riprende il linguaggio astruso, la psicologia e gli artifici già usati da Guittone. Una svolta avviene grazie all'incontro con Guido Cavalcanti e all'adozione di uno stile più leggiadro, in cui la sintassi è più scorrevole, il ritmo è più dolce e sono evitati gli artifici troppo intellettualistici. Nasce così quel gruppo elitario di anime elevate e affini per cui lo stesso Dante conia l'espressione di «dolce stilnovo». Il componimento più rappresentativo di questa fase è il sonetto ''Guido i' vorrei che tu e Lapo ed io'', in cui Dante immagina di fuggire in un mondo fuori dal tempo in compagnia di Cavalcanti, Lapo Gianni de' Ricevuti e alle loro tre amate.<ref name="Baldi3" />
 
A queste si aggiunge la cosiddetta "tenzone" con l'amico Forese Donati. Sono sei sonetti, tre dei quali scritti da Dante e tre da Donati, contenenti scambi reciproci di accuse e ingiurie. Sono molto probabilmente il risultato di un esercizio letterario, che segue lo schema della tenzone e i modelli della letteratura comico-realistica. In ogni caso, Dante dimostra una forte carica virulenta e una grande capacità di rappresentazione, ben superiore rispetto a quella di Donati.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=94 }}</ref> In particolare viene qui usato un linguaggio basso e plebeo, che ritornerà nella ''Divina Commedia'' per descrivere gli aspetti più degradati della realtà.
 
=== Le "rime petrose" ===
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== Il ''De vulgari eloquentia'' ==
[[File:De vulgari eloquentia.tif|thumb|Una copia del 1577 del ''De vulgari eloquentia'']]
Nel ''De vulgari eloquentia'' Dante approfondisce le tematiche linguistiche e letterarie già presenti nel ''Convivio'', di cui è contemporaneo. Originariamente prevedeva quattro libri, ma ci sono giunti solo il primo, completo, e tredici capitoli del secondo, più parte del quattordicesimo. La lingua scelta è il latino, la più diffusa nell'ambiente dotto, a cui l'opera è rivolta. Il primo libro è una trattazione sulle origini del linguaggio, a partire dalla frammentazione delle lingue in seguito alla costruzione della torre di Babele (narrata nel libro della Genesi). Dante distingue tre lingue romanze: la lingua d'oc, la lingua d'oiloïl e la lingua del sì. A queste contrappone la ''gramatica'' latina, ormai rigidamente codificata.
 
Fin dal primo libro, Dante sofferma la propria attenzione sul volgare italiano, la lingua del sì. Vengono individuati quattordici dialetti, sette dei quali sono a est dell'Appennino e sette a ovest. Nessuno di questi, però, può assurgere al rango di lingua letteraria, adatta all'ideale di poesia alta che aveva attraversato tutta la cultura italiana del Duecento. D'altra parte, la stessa frammentazione politica della penisola impedisce il sorgere di una simile lingua. Sarebbe infatti necessario che tutti gli intellettuali italiani si riunissero in un'unica corte.<ref>{{cita libro | Giuseppe | Petronio | L'attività letteraria in Italia | 1969 | Palumbo | Palermo | p=98 }}</ref>
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=== Il genere e i modelli ===
Nell'epistola a Can GrandeCangrande della Scala, signore di Verona, Dante si riferisce al suo poema con il titolo di ''Comedìa''. È lo stesso poeta a spiegarne i motivi: l'opera inizia da una situazione spaventosa (l'inferno) e termina in un luogo desiderabile e favorevole (il paradiso). Inoltre è scritto in volgare con uno stile piano e dimesso, più adatto a una commedia che a una tragedia. L'aggettivo ''Divina'' sarà aggiunto solo più tardi da [[../Giovanni Boccaccio|Boccaccio]], e comparirà nel frontespizio dell'edizione curata da Ludovico Dolce nel 1555.
 
Nella ''Divina Commedia'' è possibile riconoscere la coesistenza di vari generi. Con il suo poema Dante vuole infatti rappresentate la realtà in tutta la sua complessità, e per questo ricorre a generi letterari tra loro diversi. La ''Divina Commedia'' è quindi un poema didascalico e allegorico, ma è anche un'opera enciclopedica e presenta i caratteri della profezia apocalittica. In alcuni canti è possibile ritrovare elementi tratti dalla commedia, dalla tragedia e dall'epica. Non mancano poi satire, invettive e momenti lirici. Il carattere fondamentale dell'opera è però di tipo narrativo: è la struttura del racconto a unificare tutti questi diversi generi.
 
Per ideare la struttura della sua grande opera Dante riprende i modelli diffusi nella cultura medievale. Certamente i primi riferimenti sono la Bibbia e il libro VI dell<nowiki>'</nowiki>''Eneide'' di Virgilio, in cui Enea discende agli inferi e riceve delle rivelazioni profetiche dalle ombre dei defunti. Per la ricostruzione dell'aldilà ha probabilmente usato come fonti alcuni scritti mistici, come la ''Visione di San Paolo'', la ''Navigazione di San Brandano'', il ''Purgatorio di San Patrizio'', il ''Libro delle Tre Scritture'' di Bovesin De La Riva, il ''De Jerusalem coelesti'' e il ''De Babilonia civitate infernali'' (entrambi di Giacomino Veronese). A questi si possono aggiungere il ''Roman de la Rose'' e i due poemi didascalici di Brunetto Latini, il ''TresorTrésor'' e il ''Tesoretto''.<ref>{{cita libro | autore=Dante Alighieri | titolo=La Divina Commedia | editore=Bulgarini | città=Firenze | anno=2001 | curatore1=Mario Zoli | curatore2=Gilda Sbrilli | pp=14-15 }}</ref>
 
=== Le basi filosofiche e culturali ===
La rappresentazione dantesca dei regni celesti trae spunto dalla concezione aristotelico-tolemaica del cosmo. La Terra si trova al centro dell'universo, avvolta dalle sfere dell'aria e del fuoco e dai nove cieli, mossi dall'amore per Dio, che si trova nell'empireo. Il pianeta è suddiviso in due emisferi: al centro di quello boreale (compreso tra il Gange e le colonne d'Ercole) si trova Gerusalemme, ai cui antipodi, nell'emisfero australe, è situata invece la montagna del purgatorio, col paradiso terrestre in cima; l'inferno è una cavità conica situata sotto Gerusalemme, all'opposto del purgatorio.
 
I fondamenti filosofici della ''Commedia'' derivano invece dalla scolastica, e in particolare dal pensiero di Tommaso d'Aquino, che nella sua ''Summa theologiae'' aveva compiuto una sintesi tra cristianesimo e aristotelismo. Oltre a questo filone che tenta di fondare la fede su basi razionali, sulla scorta di Aristotele, è però riconoscibile anche un afflato mistico ispirato ad Agostino d'Ippona. Il viaggio nell'aldilà non è quindi solo un percorso intellettuale ma uno slancio mistico che porta ad annullarsi in Dio.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | p=11 }}</ref> Questo percorso è rimarcato dalla successione delle tre guide che Dante ha durante il viaggio. Nell'inferno e nel purgatorio è accompagnato da Virgilio, allegoria della ragione. Questa da sola non può però raggiungere le vette della conoscenza divina e a partire dal paradiso terrestre deve quindi lasciare il posto alla teologia, personificata da Beatrice. Per giungere alla fineinfine a Dio è però necessario un afflato mistico: ecco quindi san Bernardo, che sostituisce Beatrice negli ultimi due canti del ''Paradiso''.
 
Sullo sfondo c'è l'incrollabile fede che Dante ha di possedere la verità. Secondo la visione tipicamente medievale del mondo, la conoscenza non è ricerca di sapere, poiché la Rivelazione ha già spiegato tutto. L'uomo non deve cercare nuove conoscenze, ma semplicemente adeguarsi a un bagaglio di nozioni che sono già date. È invece folle chi cerca di investigare, con la sola ragione, i misteri di Dio che sono di per sé inconoscibili. L'universo inoltre è retto da un ordine mirabile, in cui tutto trova la sua giustificazione e il suo fine nella volontà di Dio. Elementi tra di loro contrastanti esistono e hanno un senso proprio perché sono inseriti in questo ordine divino. Allo stesso modo il poema di Dante si pone come un'imitazione del «libro di Dio», e può registrare ogni aspetto della realtà, dai più bassi e umili ai più elevati e sublimi.<ref>{{cita libro | autore1=Guido Baldi | autore2=Silvia Giusso | autore3=Mario Razetti | autore4=Giuseppe Zaccaria | titolo=Dante | opera=Moduli di letteratura | anno=2002 | editore=Paravia | città=Torino | pp=11-12 }}</ref>
 
=== Trama e struttura dell<nowiki>'</nowiki>''Inferno'' ===
[[File:Gustave Doré - Dante Alighieri - Inferno - Plate 1 (I found myself within a forest dark...).jpg|thumb|Dante nella selva oscura (''Inferno'', Cantocanto I), in un'illustrazione di Gustave Dorè (1857)]]
Passiamo ora ad analizzare trama e struttura di ciascuna cantica, a cominciare dall<nowiki>'</nowiki>''Inferno''.
 
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=== Trama e struttura del ''Purgatorio'' ===
[[File:Pur 24.jpg|thumb|Dante e Virgilio si congedano dalle anime dei golosi (''Purgatorio'', Cantocanto XXIV), illustrazione di Gustave Dorè]]
Il purgatorio è un monte altissimo che si trova agli antipodi di Gerusalemme, nel mezzo dell'oceano. Ha un forma tronco-conica e si è formato dalla terra che si è spostata nel momento in cui è nato l'inferno. Usciti all'aperto, Dante e Virgilio si ritrovano quindi sulla spiaggia ai piedi del monte. Nel purgatorio sono accolte le anime di chi necessita di una '''purificazione''' prima di poter raggiungere il paradiso. Queste vengono raccolte sulle rive del Tevere e portate al purgatorio da una navicella condotta da un angelo.
 
Alle pendici del monte è posto un antipurgatorio, in cui sostano le anime in attesa che inizi il cammino di purificazione. Vi si trovano gli scomunicati, i pigri a pentirsi, i morti di morte violenta, i principi negligenti. La purificazione avviene nel purgatorio, a cui si accede dopo aver superato una porta custodita da angeli. Il monte è diviso in sette cornici, che ne percorrono i fianchi e corrispondono ai sette vizi capitali. Anche in purgatorio, come all'inferno, vale la legge del contrappasso. Le colpe in questo caso sono classificate secondo la dottrina dantesca dell'Amore, che distingue in:
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=== Trama e struttura del ''Paradiso'' ===
[[File:Paradiso Canto 31.jpg|thumb|Dante e Beatrice davanti alla Candida Rosa (''Paradiso'', Cantocanto XIII), in un'illustrazione di Gustave Dorè]]
Nel paradiso si conclude il viaggio di Dante. Nel mondo della ''Commedia'', la terra ha forma sferica e occupa il centro del sistema. Sopra la sfera terrestre si trova la sfera del fuoco, che a sua volta è sovrastata da un sistema di nove sfere celesti. Ciascuna di esse è in movimento, è occupata da un pianeta o da una stella ed è abitata da una diversa schiera di angeli. Tutte queste sfere sono circondate dall'Empireo, che è la sede di Dio e che imprime il movimento a tutti gli altri cieli.
 
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Nei primi tre si trovano le anime di quanti hanno praticato la virtù teologale della temperanza e che quindi hanno moderato le passioni. I cieli dal IV al VI ospitano le virtù della prudenza, della fortezza e della giustizia. Nel VII cielo ci sono infine gli spiriti che si sono dedicati alla vita contemplativa. È importante sottolineare che questa distinzione non comporta gradi diversi di beatitudine. Ogni anima occupa la posizione voluta per lei da Dio, e quindi ognuna di esse è appagata in quanto partecipa della volontà divina.
 
Nel cielo delle Stelle fisse Dante assiste al trionfo di Cristo e di Maria, celebrato da tutti i santi. Deve anche sostenere un esame teologico su fede, speranza e carità condotto dagli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Nel cielo del Primo Mobile, il più veloce, Dante vede Dio rappresentato come un punto luminoso, circondato da nove cerchi di luce, che corrispondono alle nove schiere angeliche. Da qui il poeta passa all'Empireo, dove vede le anime come saranno dopo il giudizio universale. Vestite di bianco, siedono in un enorme anfiteatro, la «candidaCandida rosaRosa», al cui centro c'è un raggio della luce divina riflessa dal Primo Mobile. Un coro di angeli fa la spola da Dio ai gradini della candidaCandida rosaRosa, distribuendo la grazia divina.
 
Beatrice torna quindi a occupare il suo posto ed è sostituita da san Bernardo, che prega la Vergine di intercedere per Dante presso Dio. Seguendo la luce divina, il poeta si fonde con Dio e arriva a comprendere i suoi misteri.
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=== Tecniche narrative ===
[[File:Gustave Dore Inferno2.jpg|thumb|Virgilio affronta i diavoli nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio (''Inferno'', Cantocanto XXI), illustrazione di Gustave Dorè]]
La ''Commedia'' è un'opera narrativa, raccontata in prima persona da Dante (è quindi un '''racconto autodiegetico'''). Del poema Dante è allo stesso tempo autore (''auctor'') e protagonista dell'azione (''agens''), ed è investito della missione di ammonire i suoi contemporanei riferendo ciò che solo lui, consapevole di questo suo compito, ha avuto il privilegio di vedere.