Le religioni e il sacro/Il sacro/Ittiti: differenze tra le versioni

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In ittita il termine ''šaklai''<ref> Questo termine deriva dalla radice indoeuropea ''*sak''</ref> indica sia una abitudine "profana", sia un rito "sacro".
Nella stessa lingua il termine "sacro" è reso anche con ''šuppi'', che indica ciò che appartiene al "divino" (reso in ittita con il termine ''Šiu'' che richiama la radice indoeuropea ''*dyu'' e che significa "luce bianca ed accecante"). Le pratiche rituali di purificazione per rendere ''šuppi'' un oggetto o una persona sono indicate con il termine ''parkui''. René Lebrun<ref>René Lebrun.''Les Hittites et le sacré'' in ''L'expression du sacré dans les grandes Religions''. 1978, 155-202.</ref> evidenzia come per gli Ittiti la nozione di sacro e di "sacralizzato" sia connesso al concetto di purità inteso come pulizia ovvero di ''parkui''. Solo se un oggetto o una persona sono in quello stato, il "sacro" (''šuppi'') e il "divino" (''šiu'') possono manifestarsi nel mondo degli uomini. Oltre alla estrema pulizia, la presenza degli uomini nei luoghi resi sacri deve essere impeccabile in termini di condotta e linguaggio. Unitamente ai templi principali (eretti sulle rocche) si situano negli spazi aperti, i ''betili'' consistenti in pietre o in abitacoli per questi riti eseguiti anche negli accampamenti degli eserciti. Le statue delle divinità erano "sacralizzate" in quanto luogo dell'anima (''zi'') degli Dèi<ref>René Lebrun. ''Op.cit.'' pagg. 174-9</ref>.
 
==Note==