Utente:Giuli2797/Cromatografia/Gascromatografia: differenze tra le versioni

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La gascromatografia è una tecnica analitica complementare alla cromatografia liquida e in cui la fase mobile è costituita da un gas che ha solo funzione di trasporto. <br>
Questa tecnica viene utilizzata su sostanze che abbiano una tensione di vapore sufficientemente alta, in modo da garantiregarantirne il passaggio in fase gas, e che siano termicamente stabili, per evitare che possano decomporsi per riscaldamento. La temperatura massima di esercizio è limitata non solo dalla stabilità termica degli analiti, ma anche da quella della fase stazionaria che, oltre ad una certa temperatura, può decomporsi o volatilizzarsi. Questa serie di fattori porta a scegliere temperature di esercizio che possono arrivare fino aad un massimo di circa 300-350°C. <br>
A seconda della fase stazionaria che si va ad utilizzare si possono distinguere due tipi di gascromatografia:
* cromatografia gas-liquido (GLC) - è la più utilizzata e il suo funzionamento si basa sulla ripartizione degli analiti tra una fase mobile costituita dal gas e una fase liquida supportata su un solido inerte;
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=Gas carrier=
La fase mobile è costituita da un gas chimicamente inerte: in gas cromatografia infatti, la fase mobile non ha azione chimica competitiva con la fase stazionaria ma ha solasolo funzione di trasporto, per questo motivo si parla di gas carrier. Le molecole interagiscono con la fase stazionaria e vengono trattenute più o meno a lungo a seconda dell'affinità e quindi della forza delle interazioni che questi stabiliranno con essa: più forti le interazioni e più lunghi i tempi di ritenzione. laL'energia cinetica delle particelle fa si che si abbia un continuo scambio di molecole di analita tra fase mobile e fase stazionaria: se un analita si distribuisce prevalentemente nella fase mobile le molecole passeranno più tempo nel gas carrier e quindi saranno trasportate più a lungo attraverso la colonna rispetto a quelliquelle che verranno più stabilmente trattenutitrattenute dalla fase stazionaria. <br>
A seconda del tipo di detector si utilizzano come fasi mobili: elio, idrogeno e talvolta anche azoto e argon. È estremamente importante che il gas presenti un'elevata purezza perché eventuali impurezze possono andare ad intaccare la fase stazionaria presente nella colonna e distruggerla, compromettendo quindi l'analisi. Tra questi possibili contaminanti troviamo l'acqua che, se presente in tracce può andare a desorbire altri contaminanti della colonna causando un alto background e talvolta dando picchi fantasma. Un'altra possibile impurezza che va eliminata sono gli idrocarburi che costituiscono un problema importante nel caso si utilizzi un detector a ionizzazione in quanto, dando un alto background, limitano la rivelabilità degli analiti. Dal momento che i gas carrier ad altissima purezza hanno prezzi estremamente elevati, spesso si sceglie di lavorare con gas ad alta purezza e li si purifica prima dell'utilizzo. Le impurezze di acqua e idrocarburi vengono eliminate attraverso l'ausilio di un filtro a setaccio che viene posizionato tra la bombola di gas e il resto della strumentazione, per eliminare l'ossigeno si ricorre invece ad un apposito filtro in quanto è più complicato da rimuovere.
 
=Controllo del flusso=
Dal momento che i gas carrier sono disponibili pressurizzati all'interno di bombole, sono necessari regolatori di pressione, manometri e flussimetri per regolare la velocità e la pressione di ingresso del carrier in colonna. Il controllo della velocità del flusso del gas carrier è infatti necessario per garantire un'adeguata efficienza, riproducibilità e al contempo rendere l'analisi adatta a determinazioni quantitative. Affinché l'analisi sia riproducibile è necessario che la velocità del flusso sia costante in modo tale che anche i tempi di ritenzione siano confrontabili e costanti, questo perché il metodo più semplice per identificare le sostanze è proprio attraverso l'osservazione dei tempi di ritenzione: due sostanze differenti possono avere lo stesso tempo di ritenzione, ma non esiste un composto che abbia due diversi tempi di ritenzione. <br>
La velocità di flusso viene solitamente controllata regolando la pressione del gas carrier in ingresso attraverso l'utilizzo di un riduttore di pressione all'uscita della bombola dotato poi di un valvola di sicurezza e un filtro di ingresso per impedire ad eventuali particelle contenute nella bombola di entrare in colonna. La pressione del gas all'interno della bombola è circa 2500 psi e questa viene abbassata fino a valori compresi tra 20 e 60 psi <ref> Basic Gas Chromatography, H.M.McNair & J.M.Miller, John Wiley & Sons, 2009, pag. 17 </ref> ementre la velocità del flusso viene mantenuta di circa 25-150 mL/min in colonne impaccate e 1-25 mL in colonne capillari. <ref> Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015, pag. 888 </ref><br>
Dal momento che all'aumentare della temperatura aumenta la viscosità del gas, la velocità del flusso tenderà a diminuire all'aumentare della temperatura, questo aspetto va tenuto bene a mente nel caso di eluizioni a gradiente di temperatura: in questi casi si utilizza un sistema di controllo del flusso di tipo differenziale che consente di mantenere costante il valore di velocità. <br>
In ogni caso si preferisce misurare il flusso attraverso la colonna. Lo strumento più utilizzato è il misuratore a bolla di sapone: questo è costituito da una buretta o da una pipetta graduata attraverso la quale viene fatto passare il gas eed collegata all'estremità inferiore con un bulbo di gomma contenente una soluzione acquosa di sapone. Quando questo bulbo viene leggermente schiacciato, una bolla di soluzione passa all'interno della buretta: il tempo da questa impiegato perché si muova tra due tacche consente di valutare il valore del flusso volumetrico che a sua volta può essere messo in relazione con la velocità lineare di flusso attraverso la seguente equazione <ref> Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015, pag. 866 </ref>:<br>
: <math> F=u_0 A = u_0 \pi r^2 </math>
: con A &rarr;sezione del tubo
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=Iniettore=
Per avere una buona efficienza cromatografica è necessario che il campione sia di dimensioni adatte e venga introdotto come tappo di vapore, ovvero è necessario che l'iniezione avvenga ad una temperatura sufficientemente elevata da permettere l'istantanea vaporizzazione del campione in modo tale da non avere perdita di efficienza, ma al contempo è necessario che la temperatura sia sufficientemente bassa da evitare la decomposizione termica delle sostanze (per questo motivo infatti solitamente la camera di iniezione è termostatata ad una temperatura di circa 50°C superiore alla temperatura di ebollizione dell'analita meno volatile <ref>Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015, pag 889 </ref> <ref> Basic Gas Chromatography, H.M.McNair & J.M.Miller, John Wiley & Sons, 2009, pag. 25 </ref>). Dal momento che il volume cresce velocemente al momento della vaporizzazione, è necessario introdurre un volume molto piccolo di campione. Si pensi infatti che un campione di 1 μL di benzene, una volta vaporizzato da luogo a 600 μL di vapore <ref> Basic Gas Chromatography, H.M.McNair & J.M.Miller, John Wiley & Sons, 2009, pag. 32 </ref>. Se si inserisce un volume eccessivo di campione in colonna si rischia di avere bande molto larghe in quanto si inserisce più campione di quello che è realmente in grado di interagire con la fase stazionaria della colonna. Le dimensioni dei campioni variano a seconda del tipo di colonna che viene utilizzata: da pochi decimi di μL a 20 μL per colonne impaccate e volumi anche 100 volte più piccoli per colonne capillari<ref>Fondamenti di Chimica Analitica di Skoog e West - III edizione, EdiSES S.r.l., 2015, pag 889 </ref>. <br>
A seconda dello stato fisico in cui si presenta il campione e del tipo di analisi che va eseguita, si può ricorrere a diversi tipi di iniettori. Il più semplice metodo di introduzione del campione prevede l'utilizzo di una microsiringa la quale fora un setto di gomma che serve per evitare che, al momento dell'iniezione, i vapori si disperdano. Il campione così introdotto entra all'interno di un liner, un inserto di vetro inerte e stabile aperto alle due estremità e all'esterno del quale è posto un sistema di riscaldamento. Qui il campione introdotto viene vaporizzato. Le eventuali sostanze non volatili vengono trattenute nel liner e quindi non raggiungono la colonna che altrimenti verrebbe danneggiata: a causa dell'accumulo di queste sostanze al suo interno è infatti necessario sostituire periodicamente il liner. Questo tipo di iniettore è di comune utilizzo per le colonne impaccate e può prevedere un sistema di introduzione con una valvola a loop come quello precedentemente illustrato per l'HPLC.
 
Un altro tipo di iniettore più complesso, ma molto usato, è l'iniettore '''split-spitless''' il quale ha due diverse modalità di funzionamento a seconda di come viene suddiviso il volume di vapore ottenuto a seguito dell'iniezione:
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* splitless - tutto il volume viene iniettato in colonna. <br>
Sono presenti diverse valvole che regolano lo splittaggio e il sectum flow. La valvola che si trova nella parte in alto controlla il sectum flow, ovvero un flusso di gas che viene utilizzato per lavare il setto ed è solitamente mantenuta sempre aperta; questo flusso non raggiunge la colonna ma viene scaricato ed allontanato dal sistema prima. È poi presente una valvola di splittaggio che regola il rapporto dei flussi diretti alla colonna e allo scarico. Quando questa valvola è chiusa tutto il gas va in colonna e l'iniezione avviene nella modalità splitless. <br>
Dal momento che nella modalità split solo una parte del campione viene introdotto in colonna, può essere vantaggioso operare in questo modo se il campione è particolarmente sporco eo se proviene da matrici complesse: in questo modo si protegge la colonna e se ne evita il deterioramento. Il problema associato a questa pratica è legato al fatto che rende impossibile fare un'analisi quantitativa: innanzitutto il rapporto di split è noto con scarsa precisione e ciò porta a degli errori di grande entità nella determinazione quantitativa degli analiti, inoltre il campione viene molto diluito, il che rende impossibile l'analisi di analiticomponenti in tracce. Un'altra problematica che si ha in questo caso è data dal fatto che la volatilizzazione in questo tipo di inettore non è istantanea e quindi l'iniezione risulta disomogenea: gli analiti più volatili si vaporizzano per primi e la corsa cromatografica inizia in momenti diversi introducendo un errore importante. <br>
Qualora esigenze particolari portino alla necessità di utilizzare la modalità di iniezione con split, è necessario prima valutare l'entità di questi fattori appena elencati attraverso l'ausilio di standard interni più o meno volatili, il che complica e allunga molto l'analisi.
 
Un altro tipo di iniezioneiniettore è l''''on column injector'''. Con questo tipo di iniettore il campione viene depositato direttamente in testa alla colonna cromatografica. Questo sistema viene utilizzato quando si ha a che fare con composti che risentono dello stress termico della vaporizzazione split-splitless oppure per sostanze con volatilità troppo diversa e che raggiungerebbero quindi la colonna già parzialmente disperse. L'ago di iniezione deposita il campione in testa alla colonna in condizioni di bassa temperatura, solitamente impostata a valori inferiori alla temperatura di ebollizione del solvente e solitamente, prima di iniziare con l'analisi, il sistema viene raffreddato con circolazione ad aria. È inoltre un metodo adatto all'analisi quantitativa in quanto è nota con accuratezza la quantità di campione introdotta, in più consente di eliminare la degradazione termica e la discriminazione tra sostanze più e meno volatili all'interno del campione. <br>
Dal momento che ilIl campione viene depositato direttamente in colonna, questo ècostituisce un problema soprattutto nel caso in cuiqualora il campione sia sporco: il primo tratto della colonna si sporca facilmente e si degrada per effetto della matrice, per questo motivo è quindi necessario tagliarne periodicamente qualche centimetro in corrispondenza dell'inettore o il rischio è che la performance della colonna diminuisca nel tempo. Una soluzione alternativa prevede l'utilizzo di un retention gap, ovvero di un capillare privo di fase stazionaria che raccorda l'iniettore e la colonna e che blocca le sostanze poco volatili facendole condensare sulle sue pareti. Il grande vantaggio di questo iniettore è dato dal fatto che quando la temperatura viene innalzata tutti gli analiti si volatilizzano insieme e la corsa cromatografica parte al tempo zero per tutti: ne consegue quindi che nel cromatogramma si avranno picchi molto stretti. <br>
È inoltre possibile avere un altro tipo di iniezione che sfrutta iniettori particolari che consentono in inserire nello strumento dei supporti nei quali sono stati precedentemente intrappolati gli analiti che vengono rilasciati per desorbimento termico. Questo metodo di iniezione è molto utile nel caso in cui gli analiti siano stati raccolti all'interno di fibre SPME.
 
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Le '''colonne capillari''' sono le più diffuse e le più usate ai giorni nostri. Solo costituite da un tubo capillare di silice fusa ricoperta di polimmide che le rende più robuste. Le prime colonne capillari erano costituite di materiali plastici come tygon e nylon, il che comportava diverse limitazioni dal punto di vista della temperatura di esercizio. Per ovviare a questo problema si è quindi passati a realizzare le colonne di metallo, in questo modo si è risolto il problema delle temperature, ma si è introdotto lo svantaggio dell'attività catalitica dei metalli. Si è quindi passati alla realizzazione di colonne realizzate in silice fusa <ref> Modern Prectice of Gas Chromatography, R.L.Grob & E.F.Barry, WILEY INTERSCIENCE, 2004, pag 110-111 </ref>. <br>
La lunghezza è solitamente compresa tra i 10 e i 100 metri e il diametro varia da 0,25 a 0,75 mm. La fase stazionaria è liquida e costituisce il rivestimento interno della colonna, è solitamente spesso pochi decimi di micron. Queste caratteristiche conferiscono alle colonne capillari molteplici punti di forza quali ad esempio: migliore separazione con risoluzione maggiore, tempi di analisi ridotti, sensibilità maggiore e richiedono una minore quantità di campione. Le dimensioni del campione da analizzare costituiscono un aspetto molto importante: è un grande vantaggio nel caso in cui il campione di cui si dispone è molto piccolo, ma costituisce un limite importante e che richiede particolare attenzione. Le colonne capillari infatti rischiano di essere sovraccaricate molto più facilmente proprio perché la quantità di campione che è in grado di interagire con la fase stazionaria è molto piccolo: qualora si iniettasse un volume maggiore a quello sopportato dalla colonna si avrebbe la vanificazione dell'analisi. Il piccolo volume che queste sono in grado di gestire unitamente al grande numero di piatti teorici, le rende particolarmente adatte ad impieghi analitici. <br>
Dal momento che le colonne capillari forniscono un'efficienza ed una risoluzione migliore rispetto alle colonne impaccate per i motivi sopra elencati, ne consegue che i picchi sono più stretti e con uno scodamento minore, il che facilita l'analisi rendendo più semplice l'integrazione dei picchi, soprattutto nel caso di analiti in tracce: in questo modo si esegue un errore minore e di conseguenza l'analisi quantitativa, come anche quella qualitativa, risulta essere più affidabile. Il fatto di avere delle bande molto strette infatti, consente di avere un picco con altezza maggiore rispetto a quello ottenibile con un'analisi condotta con una colonna impaccata in cui invece il picco può risultare irrisolto o addirittura confondersi con il rumore di fondo.<ref> Modern Prectice of Gas Chromatography, R.L.Grob & E.F.Barry, Wiley Interscience, 2004, pag 112 </ref>.<br>
Le colonne capillari hanno inoltre un film di fase stazionaria molto più sottile rispetto a quello delle colonne impaccate, il che rende identici i cammini possibili all'interno della colonna e al contempo garantisce il fatto che ogni molecola di soluto possa interagire allo stesso modo e per lo stesso tempo con la fase stazionaria. Nelle colonne impaccate invece, la quantità di fase stazionaria costituente il rivestimento interno della colonna è maggiore così come anche lo spessore: all'interno della colonna lo spessore della fase stazionaria non sarà omogeneo ma si avranno delle zone in cui lo spessore è maggiore e altre in cui questo è minore e questo aspetto influirà sui tempi di ritenzione delle componenti degli analiti. Ne consegue quindi una differenza nella forma dei picchi ottenibili che saranno quindi più larghi nel caso delle colonne impaccate a causa dei fattori che influenzano l'allargamento di banda (vedi teoria dell'allargamento di banda ed equazione di Van Deemter). <br>
A seconda del diverso tipo di rivestimento interno si possono distinguere tre diversi tipi di colonne capillari:
* FCOT (Fused Coated Open Tubular) - colonna sulle cui pareti interne è presente silice fusa;
* PLOT (Porous Layer Open Tube) - colonna cava all'interno sulle cui pareti è adesa una fase stazionaria solida porosa;
* SCOT (Support Coated Open Tubular) - sono le colonne capillari maggiormente usate e consistono in una colonna cava all'interno, alle cui pareti è adesa una fase stazionaria liquida supportata su un supporto solido. <br>
Dal momento che in gas cromatografia la fase stazionariamobile agisce solo come carrier, gli unici fattori che influenzano la separazione sono la temperatura di ebollizione degli analiti e le caratteristiche della fase stazionaria. Aspetto di rilevanza fondamentale quando si tratta di scegliere una fase stazionaria adeguata agli analiti, è la polarità: in genere si segue la regola secondo cui il simile scioglie il simile per cui si userà una fase stazionaria polare contenente gruppi funzionali come -CO, -CN, -OH per analiti polari, mentre colonne con fase stazionaria apolare costituita da idrocarburi e dialchilsilossani per analiti apolari. <br>
Il fattore discriminante per la separazione delle varie sostanze rimane la temperatura di ebollizione: sostanze aventi punti di ebollizione molto differenti tra loro verranno separati da qualsiasi colonna cromatografica indipendentemente dalla fase stazionaria impiegata. Il tipo di fase stazionaria diventa invece un fattore essenziale nel caso in cui le sostanze da separare abbiano punti di ebollizione simili. Aspetto fondamentale da ricordare è che le sostanze utilizzate come fase stazionaria devono avere una bassissima tensione di vapore per evitare il loro movimento in colonna. <br>
Sono possibili due diverse modalità di eluizione:
* eluizione isoterma - la temperatura alla quale si trova la colonna non viene modificata durante l'analisi ma rimane costante per tutto il tempo. È un metodo adatto a sostanze con punti di ebollizione molto simili e in cui la separazione si basa principalmente sulla diversa affinità degli analiti per la fase stazionaria;
* eluizione a gradiente di temperatura - la temperatura alla quale si trova la colonna viene aumentata gradualmente attraverso un programma termico. In questo modo si riescono a separare anche sostanze aventi punti di ebollizione molto diversi, inoltre i tempi di analisi risultano essere più brevi rispetto a quelli di un'eluizione isoterma: con questa modalità infatti si risolve il problema associato a tempi di eluizioneritenzione troppo elevati in quanto possono essere abbassati con l'aumento di temperatura. Bisogna infatti ricordare che la tensione di vapore di una qualsiasi sostanza aumenta all'aumentare della temperatura, per cui i soluti tendono a passare nella fase mobile e il loro tempo di ritenzione diminuisce. Per contro all'aumentare della temperatura aumenta anche la viscosità del gas a cui consegue una diminuzione del flusso a parità di pressione in colonna. Questo comporta una variazione della linea di base o la variazione rispetto alla velocità ideale secondo l'equazione di Van Deemter, e quindi il rallentamento dell'analisi con allargamento dei picchi. Per questo motivo si lavora solitamente a flusso costante e non a pressione costante in modo da compensare questi fattori al variare della temperatura. Un altro grande vantaggio è rappresentato dal fatto che un'eluizione a programmata di temperatura consente anche di pulire la colonna da eventuali residui di specie alto bollenti rimaste dalle iniezioni precedenti, è però necessario evitare di portare la temperatura a valori troppo elevati per non danneggiare la colonna. <br>
: Questo tipo di eluizione ha però alcuni limiti di applicazione legati al fatto che gli analiti devono essere stabili termicamente così come la fase stazionaria. In generale altri aspetti da tenere in considerazione sono il fatto che all'aumentare del peso molecolare e della polarità, la volatilità degli analiti diminuisce. Solitamente l'aumento della temperatura è lineare con il tempo. <br>
 
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Il rivelatore è lo strumento che reagisce alla presenza di un composto e che in risposta produce un segnale elettrico che viene amplificato e poi registrato. A differenza dei rivelatori usati nella cromatografia liquida questi sono di tipo differenziale e sfruttano quindi la variazione di una proprietà del gas di trasporto e non di una grandezza assoluta. <br>
Dalla colonna cromatografica esce un flusso di sostanze sotto forma di bande discrete le quali hanno un tempo di residenza all'interno del detector relativamente breve, per questo motivo lo strumento deve essere in grado di fornire una risposta in tempi piuttosto brevi. <br>
Qualsiasi fluttuazione del segnale non attribuibile ad un analita viene definito rumore. Questo può essere causato da diversi fattori quali ad esempio una variazione nella temperatura, impurezze presenti nel gas carrier, fluttuazioni nel flusso di gas, il bleeding della colonna oppure la presenza di contamninanticontaminanti all'interno del detector. Il rumore è la misura della distanza tra la parte più in alto e quella più in basso della linea di base tra due picchi. Si possono distinguere tre possibili tipologie di rumore: il rumore a breve termine, quello a lungo termine e da deriva. Il rumore a breve termine consiste in perturbazioni ad alta frequenza della linea di base e viene facilmente eliminato con l'utilizzo di appositi filtri. Il rumore a breve termine si manifesta come delle oscillazioni di frequenza minore o simile a quella del picco di interesse. Questo tipo di rumore è molto difficile da eliminare in quanto è difficile da distinguere da un vero picco cromatico. È solitamente causato dall'instabilità di alcune componenti del rivelatore o da fluttuazioni ambientali., la deriva invece riguarda delle variazioni nella linea di base che sono molto lente ma costanti nel tempo. Questa tipologia di rumore non oscura il picco cromatografico e si verifica a causa del bleeding della colonna, del cambiamento del flusso del make up gas, oppure del bakeout di contaminanti interni al rivelatore. Un parametro che viene impiegato spesso per valutare l'impatto del rumore è attraverso la determinazione del rapporto segnale/rumore, che è indicativo della probabilità che un particolare picco, in una linea di base affetta da rumore, rappresenti il segnale di un analita. <br>
Dal momento che quasi tutti i detector impiegati nella GC sono distruttivi, non è possibile recuperare il campione dopo averlo analizzato. <br>
Un buon rivelatore deve avere diverse caratteristiche, in particolare deve:
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* avere bassi LOD - ovvero avere bassi limiti di rivelabilità, il che si riferisce alla quantità minima di soluto che viene rivelata e fornisce un picco sul cromatogramma. Il LOD è definito come:
: <math> LOD= \frac{3N}{Su_h} </math>
: e dipende dal rumore (N) e l'altezza del picco (S) e l'aampiezzaampiezza del picco a mezza altezza <math> u_h </math> <ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 288 </ref> <br>
: È infatti fondamentale che il detector lavori all'interno del suo range di linearità affinché fornisca del valori affidabili: per questo motivo quantità doppie di campione devono restituire un segnale doppio. Ogni rivelatore presenta un suo intervallo di linearità;
* essere stabile e operativo per lungo tempo;
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Il '''rivelatore a termoconducibilità''' è un detector universale e non distruttivo il cui funzionamento si basa sulla differenza di conducibilità termica del gas carrier causata dalla presenza di sostanze nel flusso in uscita dalla colonna. Viene molto spesso utilizzato nella determinazione di sostanze gassose che sono altrimenti difficili da determinare con altri metodi. <br>
Questa tipologia di detector utilizza elio o idrogeno come gas carrier in quanto hanno conducibilità maggiore di tutte le sostanze organiche. <br>
All'interno del rivelatore è presente un filo metallico che viene scaldato elettricamente: se il flusso di gas in arrivo è a composizione costante la temperatura del filo metallico sarà costante, quando però all'interno del flusso si trova un analita organico la conducibilità termica diminuisce (le sostanze organiche hanno conducibilità termica minore di quella deidel gas usato), e quindi la temperatura del filo aumenta. Questa variazione di temperatura provoca uno squilibrio nel circuito con conseguente variazione della resistenza che viene misurata attraverso un ponte Wheatstone. <br>
Può capitare che al posto di un filamento metallico si utilizzi un termistore ovvero un resistore la cui resistenza varia significativamente al variare della temperatura. Il vantaggio principale legato al loro uso è dato dal fatto che sono inerti in condizioni di ossidazione ma per contro sono molto fragili e sensibili ain condizioniambiente di riduzioneriducente. Un'altra problematica relativa al loro utilizzo è data dal fatto che la rivelabilità di un analita diminuisce velocemente quando la temperatura del rivelatore aumenta sopra i 50°C, inoltre le condizioni operative sono piuttosto complesse da settare. Per questa serie di motivi vengono usati principalmente quando si lavora con volumi ridotti e si richiede una risposta rapida, come nel caso di analisi su campioni gassosi eseguite a bassa temperatura con colonne capillari <ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 295 </ref>. <br>
Il segnale ottenuto è proporzionale alla concentrazione degli analiti. Si tratta di un rivelatore non specifico in quanto risponde ad ogni tipo di composto ed è inoltre universale, questo perché ogni composto modifica la conducibilità termica del flusso di gas in modo differente: per questo motivo è necessaria una standardizzazione. Anche la sensibilità è molto ridotta, una delle peggiori se confrontata con quella degli altri rivelatori. Tollera un rumore fino a 2 μV e ha una rivelabilità compresa tra 10^6 e 10^8 g/mL nel gas carrier. Si possono impiegare entrambi i gas anche se l'idrogeno si addice meglio a misure quantitative. Viene spesso aggiunto uno standard interno che arreca importanti vantaggi all'analisi: innanzitutto in questo modo le temperature della cella e del filamento sono indipendenti le une dalle altre, il risultato fornito è inoltre indipendente dal tipo di detector (se a filamento o a termistore), dalla corrente misurata, dalla concentrazione del campione e dal flusso del gas carrier. <br>
Per minimizzare le fluttuazioni termiche il rivelatore viene posizionato all'interno di un blocco metallico dotato di grande inerzia termica che viene mantenuto ad una temperatura di circa 50°C maggiore di quella della colonna: è infatti molto importante controllare la temperatura in quanto si possono registrare variazioni di resistenza significative al variare della temperatura. laLa variazione della resistenza del filamento varia con la temperatura con la seguente relazione:
<math> R_1 = R_0[1+0,004(T_1-T_0)] </math>. <br>
Si possono trovare strumenti a singolo o a doppio canale. Nel primo caso è necessario avere un sistema di correzione per le variazioni di temperatura, nel secondo invece si confrontano i due filamenti di cui uno esposto ad un flusso di una colonna di un bianco e l'altro al flusso uscente dalla colonna di analisi. Il secondo caso è ovviamente il preferibile in quanto consente di compensare non solo le variazioni di temperatura del forno ma anche il fenomeno di bleeding. <br>
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È un rivelatore molto specifico e dotato di una stabilità moderata. Il range di linearità si estende fino a 10<sup>7</sup>, è dotato di bassi LOD, 10<sup>-13</sup> gC/s e basso rumore<ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 303 </ref>. <br>
Il '''rivelatore a cattura di elettroni''' è un detector specifico e non distruttivo, particolarmente adatto a piccole quantità di analita e quindi molto sensibile.
Il rivelatore ECD sfrutta una sorgente di particelle β che vengono solitamente emesse da una sorgente radioattiva di Ni 63 le quali, colpendo il gas di trasporto lo ionizzano e producono un flusso di elettroni che viene misurato: si genera infatti una corrente costante sotto l'effetto di una differenza di potenziale che viene applicata a due elettrodi. <br>
Al posto del Ni 63 si può anche impiegare del trizio che presenta però diverse problematiche a livello operativo: innanzitutto può essere adottato solo a temperature inferiori a 225°C mentre il Ni può arrivare fino a 400°C, in più può essere facilmente contaminato da composti che possono adsorbirsi sulla superficie della lamina affievolendo la sorgente di raggi x, inoltre ad elevate temperature il trizio emette radiazioni ad un livello tale da costituire un pericolo per la salute umana. Questi importanti svantaggi vengono però compensati da un importante vantaggio: la forza di ionizzazione del trizio è molto più elevata di quella del nichel, il che comporta un flusso di radiazioni maggiori a cui consegue una ionizzazione del gas d trasporto più efficiente. Per cercare di compensare gli aspetti positivi di entrambe le sorgenti si è quindi passati ad utilizzare una sottile lamina di Ni 63 <br>
Il principio di funzionamento si basa sul fatto che specie elettronegative eventualmente presenti come ad esempio alogeni, azoto, fosforo, specie contenenti doppi legami coniugati o organometalli, catturano elettroni e diminuiscono la corrente di fondo in modo proporzionale alla concentrazione degli analiti. Solitamente viene usato azoto come gas carrier e talvolta argon invece che elio o idrogeno in quanto è più facilmente ionizzabile avendo una sezione trasversale di ionizzazione maggiore, inoltre viene spesso aggiunto un make up gas per migliorare le prestazioni<ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 307 </ref>. <br>
La differenza di potenziale può essere applicata in modi differenti: come tensione costante, corrente costante a frequenza pulsata variabile oppure corrente costante a frequenza pulsata costante.<br>
La tensione ad impulsi riduce significativamente l'accumulo di zone cariche nel rivelatore risultante da differenze nella velocità degli ioni carichi positivamente rispetto alla mobilità degli elettroni liberi. Gli elettroni dotati di una certa energia termica, quando non è presente alcun tipo di impulso, si attaccano a qualsiasi specie elettronegativa e vengono prodotti ioni carichi negativamente. Gli ioni negativi così ottenuti si combinano con quelli positivi presenti causando una diminuzione della corrente: per questo motivo è necessario regolare in modo oltomolto accurato il periodo di impulso o si rischia di andare a perdere l'informazione relativa alle specie cariche positivamente annullate dalla combinazione con quelle negative. Solitamente l'impulso è nell'ordine dei 30-50 V e viene ripetuto ogni 10 μs<ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 308 </ref>. <br>
Esigenza fondamentale è l'elevatissima purezza del gas di trasporto in quanto qualsiasi specie elettron attrattrice eventualmente presente causa un abbassamento della corrente. In ogni caso è comunque consigliabile l'utilizzo di standard interni ed esterni.
Vista la sua elevata sensibilità e dati i limiti di rivelabilità molto bassi (arriva a rivelare quantità nell'ordine di picogrammi e talvolta femtogrammi), viene spesso utilizzato in ambito biomedico e ambientale. <br>
Il '''rivelatore fotometrico a fiamma''' è un tipo di detector che viene utilizzato per la rivelazione di composti e metalli contenenti zolfo o fosforo quali ad esempio stagno, boro, arsenico e cromo. <br>
Il suo funzionamento si basa sul monitoraggio dell'intensità dell'emissione luminosa di specie dopo che queste sono state eccitate attraverso l'ausilio di una fiamma idrogeno/aria. Gli analiti presenti nel campione vengono indirizzati alla fiamma dove vengono decomposti e portati allo stato eccitato. Le specie così ottenute emettono luce con una lunghezza d'onda caratteristica. La radiazione viene prima fatta passare attraverso un filtro che seleziona una lunghezza d'onda, dopodiché l'intensità viene amplificata e poi rivelata con un tubo fotomoltiplicatore. <br>
Il rumore aumenta all'aumentare della temperatura di esercizio per cui la temperatura del detector deve essere impostata ad un valore tale da impedire giusto la ricondensazione delle sostanze nel detector. Per questo motivo la temperatura di esercizio di questo rivelatore è di circa 150-275°C <ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 328 </ref>. <br>
La sensibilità dipende dall'intensità della luce emessa dalle specie analizzate ed aumenta al diminuire della temperatura della fiamma. Altri aspetti che possono andare ad aumentare la sensibilità del rivelatore sono l'utilizzo di gas carrier come elio o idrogeno, in quanto dotati di alta conducibilità termica, e l'utilizzo di una fiamma ricca di idrogeno che però rappresenta un problema perché rende la fiamma instabile. L'intervallo di linearità è nel caso del fosforo di circa 10<sup>4</sup> e per lo zolfo 10<sup>3</sup> <ref> Modern Practice Of Gas Chromatography, R. L. Grob & E. F. Barry, Wiley Interscience, 2004, pag. 328 </ref>. <br>
Un'altro rivelatore che viene spesso usato in GC è lo spettrometro di massa che risulta essere un accoppiamento vincente in quanto consente di restituire informazioni sulla natura degli analiti separati e permetterne anche l'identificazione. È per questo che si parla di accoppiamento GC-MS. Alla trattazione di questo argomento verrà però riservato un capitolo nella sezione successiva.