Missione a Israele/Verità evangeliche: differenze tra le versioni

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Tale conoscenza non può non influenzare ciò che videro gli evangelisti, e ciò che vediamo noi, quando guardiamo indietro. Sia noi che loro siamo nella posizione di uno che legge un romanzo o guarda un film per la seconda volta. Gesti e azioni che la prima volta sembravano solo dare consistenza alla storia, ora pulsano di ora pulsano di un'intensità accresciuta, poiché sappiamo come finiranno le cose. L'appassionato sfogo di Giulietta quando Romeo si prepara a lasciare Verona in esilio – ''"O, think'st thou we shall ever meet again?"'' – sentito in tutta innocenza, sembra sia a Romeo sia ad un pubblico inconsapevole un'ansia esaggerata difronte alla separazione traumatica. Le sue assicurazioni che tutto andrà per il meglio – ''"All these woes shall serve / For sweet discourses in our times to come"'' – sono una reazione calmante e ragionevole. Ma la seconda volta, le parole di Giulietta assumono una terribile accuratezza, rendendo le parole di Romeo teneramente ingenue, persino patetiche.<ref>Da ''[[w:Romeo e Giulietta|The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet]]'', di William Shakespeare (1596).</ref> Sappiamo troppo per poterle udire allo stesso modo due volte...
 
Stessa cosa per gli evangelisti. Quale che sia la tradizione da loro ereditata su Gesù e Gerusalemme, le ricevettero in un periodo con una realtà religiosa molto alterata: il culto ordinato da Dio al popolo ebraico, i cui particolari si estendevano lungo quattro dei primi cinque libri della [[w:Tanakh|Scrittura]], la cui esecuzione era stata la responsabilità speciale del sacerdozio di Gerusalemme, e la cui modalità di esecuzione aveva alimentato aspre dispute di interpretazione e un vigoroso settarismo nel periodo del tardo Secondo Tempio, aveva cessato di esistere. Detti e storie di Gesù e del Tempio, o di Gesù e le leggi della purezza riguardo al Tempio, o di Gesù e quei gruppi la cui devozione si concentrava specialmente sul Tempio, di conseguenza acquisirono una dimensione aggiunta dalla prospettiva post-70 propria degli evangelisti: Gesù parlava ed interagiva con un'istituzione e rispettive autorità religiose che erano svanite. Come poteva ''non'' conoscere cosa sarebbe successo da lì a breve? Cosa poteva intendere Dio nel permettere una tale enorme distruzione? Gli sforzi degli evangelisti per rispondere a queste domande influenzò intimamente la loro ricostruzione della tradizione.
 
Stessa cosa per la ricerca storica: anch'essa è oberata (in questo senso) dal saper troppo. La nostra conoscenza retrospettiva forma discretamente ciò che vediamo. ''Noi'' sappiamo che il Tempio cessò d'essere il centro della devozione attiva cristiana subito dopo il tempo di Gesù; che la maggioranza delle leggi della purezza diventarono presto irrilevanti al movimento che si stava espandendo; che le chiese sarebbero diventate sempre più gentili e, infine, antiebraiche. E questa conoscenza a sua volta può dar peso a quelle interpretazioni moderne del materiale neotestamentario in cui Gesù sembra alienato o ostile o indifferente agli interessi e impegni dei suoi contemporanei ebrei. La retrospezione inevitabile per il progetto storico può, ironicamente, minacciare il collasso della distanza tra presente e passato. E tale collasso a sua volta minaccia il progetto storico sia moralmente che intellettualmente.
 
Moralmente, questa diminuzione di differenza tra presente e passato può portarci a proiettare ciò che è significativo per noi indietro verso il nostro soggetto di ricerca. Specialmente quando studiamo testi religiosi come i Vangeli o figure culturalmente centrali come Paolo e, ancor di più, Gesù, il desiderio di avere queste antiche voci rivolgersi al presente immediato, ad essere spiritualmente e moralmente in sintonia con attuali preoccupazioni, troppo spesso le stacca dal loro contesto storico mettendole su un territorio familiare a generazioni successive ma estranee a loro stesse. Ne vediamo i risultati nel Cristo della chiesa imperiale occidentale, raffigurato in un mosaico italiano del sesto secolo come un ufficiale dell'esercito romano. Li vediamo nel Gesù degli studiosi protestanti liberali nei secoli XVIII e XIX, che emerge dai loro pesanti tomi egli stesso come liberale religioso. Li vediamo ora, quando il Gesù accademico del XXI secolo combatte nazionalismo, sessismo e gerarchie sociali. Un tale Gesù è subito rilevante per gli interessi che formano questi contesti moderni. Ma tale rilevanza è acquisita al prezzo dell'anacronismo.