Missione a Israele/Verità evangeliche: differenze tra le versioni

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== Anacronismo e innocenza intenzionale ==
Mettere insieme un quadro del contesto storico di Gesù richiede lo stesso sforzo interpretativo del leggere i Vangeli, se non di più. Ma per tale progetto ci sono molte più fonti da utilizzare, sia letterarie che archeologiche. Le fonti letterarie stesse sono più ricche: anche soltanto prendere due opere pincipali di Flavio Giuseppe, la ''[[w:Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra giudaica (BJ)]]'' e ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità giudaiche (AJ)]]'', aumenta di un ordine di grandezza significativo la riserva di informazioni sulla Galilea e la Giudea rispetto a quella che abbiamo dai soli evangelisti. E lo stesso Flavio Giuseppe non si discosta dal tempo di Gesù più di quanto non lo siano gli evangelisti. Inoltre, egli fu un partecipante ed un testimone dei principali accadimenti del suo popolo e secolo. Giovane uomo all'inizio della ribellione contro Roma nel 66, proveniva da una famiglia sacerdotale influente a Gerusalemme, dove serviva al Tempio. Tentò la difesa della Galilea; catturato, in seguito, fu testimone dell'assedio alla città. Possiamo incrementare i suoi resoconti affidandoci agli scritti di [[w:Filone di Alessandria|Filone d'Alessandria]], un anziano contemporaneo di Gesù e di Paolo, che egli stesso fece pellegrinaggio a Gerusalemme. E possiamo formarci un dossier di dati pertinenti esaminando gli scritti di autori pagani — [[w:Plinio il Vecchio|Plinio il Vecchio]], naturalista romano del primo secolo che visitò la Palestina; o anche lo storico romano del tardo I secolo, [[w:Publio Cornelio Tacito|Tacito]], i cui scritti parlano anche della guerra giudaica. Sebbene queste fonti ci dicano poco o niente direttamente di Gesù stesso, ci aiutano comunque a comprendere il suo mondo.
 
Se questi documenti formano una traiettoria di testimonianze lungo il corso del primo secolo, allora gli scritti religiosi assortiti e i documenti specifici di varie forme di ebraismo del tardo Secondo Tempio ce ne forniscono un'altra. Questo contesto religioso specificamente ebraico, messo insieme da una ricca collezione di testi e commentari – i cosiddetti [[w:Apocrifi dell'Antico Testamento|Apocrifi]] e [[w:Pseudoepigrafia|Pseudoepigrafi]], documenti scritti nel tardo Secondo Tempio o primo periodo romano che assumono il nome ed il prestigio di antiche figure religiose come Enoch o Mosè o Salomone; la vasta biblioteca conservata nei [[w:Manoscritti del Mar Morto|Manoscritti del Mar Morto]]; alcune lettere e sermoni raccolti nel Nuovo Testamento – ci dicono come altri ebrei del periodo di Gesù interpretarono la Bibbia, quindi la loro stessa storia ed il loro posto in essa. L'idea del regno di Dio, la risurrezione dei morti, la fine del male, l'istituzione di un nuovo o rinnovato Tempio, il riconoscimento universale della sovranità di Dio – basandoci sui Vangeli, temi proclamati da Gesù stesso – formò le speranze e convinzioni di molti ebrei del periodo. Familiarizzandoci coi loro insegnamenti, otteniamo una panormaica dei significati contemporanei di questi termini e quindi dei significati che possono essere stati dello stesso Gesù.
 
Infine, c'è la traiettoria fornita dalla testimonianza specificamente cristiana. I Vangeli ovviamente rappresentano la fonte primaria. Ma altrettanto importanti, per ragioni differenti, sono le lettere di Paolo.
 
Paolo sta in una sorta di puntoi intermediario tra Gesù di Nazareth e i successivi evangelisti sui cui ritratti dipendiamo per formarci un quadro complessivo di Gesù. Come gli evengelisti, e a differenza di Gesù, la lingua madre di paolo era il [[w:greco antico|greco]], la sua tradizione b iblica la ''Septuaginta'', il sua ambiente le città della Diaspora mediterranea. Come loro, inoltre, egli è molto più consapevole della cultura gentile di quanto non lo fosse mai stato il Gesù storico, consapevole anche delle conseguenze del messaggio evangelico ai Gentili: Paolo indirizzò le sue lettere specificamente, addirittura esclusivamente, ai credenti gentili. E, di nuovo, come loro – e presumibilmente non come il Gesù storico – il suo vangelo viene informato dalla fede post-Risurrezione. Paolo aveva visto il Cristo Risorto ({{passo biblico2|1Corinzi|15:8}}; {{passo biblico2|Galati|1:16}}), e molto della sua buona novella, il suo ''euangelion'', riguarda cosa aspettarsi dall'imminente ritorno glorioso di Cristo.
 
Ma come Gesù, e a differenza degli evangelisti, Paolo verso la fine degli anni 60. Tale fatto, insieme alla sua convinzione che Dio, mediante Cristo, stesse per per portare la storia umana ad un finale glorioso ({{passo biblico2|1Corinzi|15}}, {{passo biblico2|Romani|11}}), ci deve cautelare quando designamo Paolo un "cristiano". Naturalmente, Paolo fu un cristiano, ed è difficile sapere cosa significherebbe tale termine se non lo usassimo per lui: egli credette che Cristo era il Figlio di Dio, il Suo agente nella Creazione, e l'attore chiave nel attuare la redenzione dell'universo (per es. {{passo biblico2|Filippesi|2:5-11}}).
 
Tuttavia Paolo si reputava un ebreo. Operava nell'ambito di un lasso di tempo molto condensato: "Il tempo ormai si è fatto breve... la forma attuale di questo mondo passa" ({{passo biblico2|1Corinzi|7:29,31}}). Per lui e la sua comunità "è arrivata la fine dei tempi" ({{passo biblico2|1Corinzi|10:11}}).
{{q|La nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino.|{{passo biblico2|Romani|13:11-12}}}}