Missione a Israele/Verità evangeliche: differenze tra le versioni

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Il Gesù marciano è uomo d'azione: impetuoso, indaffarato, spinto vivacemente da sinagoga a infermo, da spiaggia a camoagna a mare, comandando a demoni con autorità, perfino ordinando alla natura di obbedire alla sua volontà. Ad un suo ordine, una tempesta in mare si quieta e il [[Un fico secco|fico si avvizzisce]] ({{passo biblico2|Marco|4:39,11:14,20}}). Queste dimostrazioni di potenza a loro volta evidenziano il duplice messaggio di Gesù: il Regno è vicino, e il Figlio dell'Uomo ha l'autorità di annunciare tale avvento. La storia stessa rende chiaro al lettore che questo £Figlio dell'Uomo" è veramente il Gesù di Marco; ma Marco non permette al suo protagonista di essere più specifico di così sulla propria identità. In effetti, il Gesù di Marco sembra nascondere la propria identità in discorsi oscuri, finanche quando l'annuncia in azioni decisive. Sebbene con "Figlio dell'Uomo" il Gesù marciano chiaramente intenda se stesso (per es. {{passo biblico|Marco|8:31}}), tuttavia parla di tale figura solo in terza persona; e sempre richiede il silenzio da coloro che comprendonio chi egli sia veramente: il Figlio dell'Uomo, il Messia ({{passo biblico|Marco|8:29,14:61-62}}), il Figlio di Dio. "E gli spiriti immondi, quando lo vedevano, si prostravano davanti a lui e gridavano, dicendo: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li sgridava severamente, perché non dicessero chi egli fosse" ({{passo biblico|Marco|3:11-12}}). Ai discepoli, dopo che Pietro lo aveva identificato come Messia: "E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno" ({{passo biblico|Marco|8:30}}); dopodiché la voce dalla nube chiama Gesù "‘Il Figlio mio prediletto’... [Gesù] ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto" ({{passo biblico|Marco|9:9}}).
 
Queste tre designazioni per Gesù – Figlio dell'Uomo, Figlio di Dio, Messia – si raggruppano tutte insieme solo al culmine della storia marciana, il processo davanti al sommo sacerdote. Subito dopo averlo accusato di aver minacciato la distruzione del Tempio, il sommo sacerdote fa la domanda a Gesù ({{passo biblico|Marco|14:61}}). Solo qui Gesù apertamente conferma la sua identità, ed è proprio tale sua conferma che porta direttamente alla sua condanna a morte ({{passo biblico|Marco|9:57-64}}).
 
I due punti da notare qui sono che l'identità di Gesù è nascosta perché così vuole, fino a che arriva a Gerusalemme; e che la sua identità è vincolata, mediante la sua morte, con la distruzione del Tempio. Marco strutturò il suo Vangelo intorno a questo paradosso di occultamento e riconoscimento, che risolve drammaticamente conducendo il suo personaggio principale, Gesù, lungo un percorso intenzionale a senso unico dal nord (occultamento) a Gerusalemme (rivelazione). Inoltre, il suo Gesù profetizza nel capitolo 13 che, una volta che il Tempio sarà distrutto, il Figlio dell'Uomo ritornerà, glorioso, a radunare i suoi eletti. Gerusalemme ed il Tempio giocano quindi un ruolo-chiave nella rivelazione del Figlio. Man mano che Marco espone la sua storia, è proprio l'itinerario di Gesù – il singolo approccio drammatico a Gerusalemme – che sottolinea questo processo di rivelazione. In altre parole, la sequenza di eventi nella storia stessa di Marco sostiene il messaggio teologico del suo Vangelo. La piena identità di Gesù come Messia, Figlio di Dio, e Figlio dell'Uomo sofferente e trionfante viene rivelata o (secondo la profezia al cap. 13) sarà rivelata solo a Gerusalemme.
 
L'eloquente e discorsivo Gesù di Giovanni non è costretto da tali vincoli. A partire dal suo dialogo di apertura con [[w:Nicodemo (discepolo di Gesù)|Nicodemo]] ai soliloqui ''[[w:belcanto|belcanto]]'' di chiusura la notte del suo arresto, questo Gesù proclama la sua propria identità teologica. È il Figlio di Dio, il Figlio dell'Uomo e il Cristo. Ed anche i suoi discorsi brulicano di molteplici metafore sacramentali: "Io sono il pane della vita... dal cielo" ({{passo biblico2|Giovanni|6:35-38}}), la luce del mondo ({{passo biblico|Giovanni|8:12,9:5}}), la fonte d'acqua viva ({{passo biblico|Giovanni|4:7-15}}), la porta delle pecore ({{passo biblico|Giovanni|10:7-10}}), la Risurrezione e la Vita ({{passo biblico|Giovanni|11:25}}), la Via e la Verità ({{passo biblico|Giovanni|14:16}}), la Vera Vite ({{passo biblico|Giovanni|15:1}}). Gesù è l'unico che sia venuto giù dall'alto, dal Padre, al mondo sottostante; e pertanto solo coloro che lo riconoscono possono Ūvedere oltre questo mondo inferiore verso il reame superiore; solo loro possono conoscere il Padre ({{passo biblico|Giovanni|6:45-46,8:21-58}}). E parla apertamente e francamente del suo status extraumano: "Prima che Abramo fosse, Io Sono" ({{passo biblico|Giovanni|8:58}}) e ancor più audacemente: "Io e il Padre siamo uno" ({{passo biblico|Giovanni|10:30}}).
 
Il Gesù di Giovanni, in altre parole, pronuncia schiettamente le sofisticate credenze teologiche che l'evangelista ha su di lui. Gli interessi religiosi e letterari di Giovanni si concentrano e sono compresi nei lunghi monologhi ed estesi discorsi cristologici del suo personaggio principale. La sua struttura narrativa frastagliata, in contrasto, serve più che altro da cornice su cui appendere i discorsi di Gesù: sono semplicemente incidentali agli interessi centrali di Giovanni. E poiché il suo Gesù apertamente e dall'inizio insegna il suo proprio status teologico elevato, tale autoidentificazione non può servire, come servì in Marco davanti al sommo sacerdote, quale ragione per l'esecuzione di Gesù. Allora perché viene giustiziato? Giovanni presenta i sacerdoti insieme ai Farisei che determinano di uccidere Gesù perché temono che le sua attività metteranno a rischio in qualche modo il Tempio e il popolo:
{{q|"Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo [il Tempio] e la nostra nazione". Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: "Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera".|{{passo biblico2|Giovanni|48-50}}}}
Forse non c'è bisogno di scegliere tra queste due cronologie; forse possiamo adattare larco di tempo più breve descritto da Marco, con quello più lungo di Giovanni. Ma allora, cosa succede all'incidente del Tempio? Gesù potrebbe aver fatto la stessa prostesta drammatica ''due volte'', una volta agli inizi della sua missione e un'altra alla fine? Allora dovremmo rendere conto della motivazione dei sacerdoti nell'arrestarlo: perché offendersi ed allarmarsi – o persino stupirsi – se tale protesta accadeva quasi ogni anno che Gesù veniva a Gerusalemme? Forse dobbiamo preferire la descrizione di Giovanni. I molteplici pellegrinaggi di Gesù in città hanno un loro senso storico. I galilei abitualmente andavano avanti e indietro per le festività di pellegrinaggio; due anni e più (come viene implicato) danno più tempo a Gesù di stabilire la sua missione e proclamare il suo messaggio. Alla luce del suo successivo impatto nella storia, un periodo più lungo durante il quale il suo messaggio poteva metter radici, è forse più plausibile intrinsecamente. O forse la rappresentazione di Marco è migliore: un periodo breve di attività pubblica si conforma meglio all'itineranza e povertà che Gesù evidentemente imponeva ai suoi discepoli. Ma la cronologia di Marco ricapitola così immediatamente la sua cristologia: è veramnete cosa casuale? Se deliberata, allora la sequenza narrativa marciana non è forse di per sé una testimonianza della sua libertà e creatività come redattore?
 
Di nuovo, forse la questione potrebbe essere risolta da una sorta di voto di maggioranza: è una divisione tre-a-uno a favore di un'unica ascesa passionale a Gerusalemme. Ma Matteo e Luca non rappresentano tradizioni indipendenti in questo senso. Le loro cronologie supportano quella di Marco perché Marco è la fonte di entrambi. La decisione si riduce a una divisione di pari valore: Marco o Giovanni.