Missione a Israele/Verità evangeliche: differenze tra le versioni

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Tutti i cristiani antichi si rivolsero alla Bibbia per poter interpretare e difendere la loro comprensione della redenzione che Dio aveva compiuto tramite Cristo. Citazioni e riferimenti alla Bibbia pervadono i primi strati della tradizione — infatti, la sua dipendenza religiosa sulla Bibbia è l'indice dell'ebraicità intrinseca al primo movimento. Pertanto, quando Paolo riferisce la sua congregazione corinzia alla morte e resurrezione di Cristo, dice semplicemente (e, purtroppo, senza citare quale passaggio avesse in mente) "Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture ({{passo biblico2|1Corinzi|15:3}}). Cristo, nella [[w:Lettera agli Ebrei|Lettera agli Ebrei]] – sommo sacerdote, ministro del tabernacolo celeste, sacrificio perfetto di sangue ({{passo biblico2|Ebrei|5:5,9:11-14}}) – è un assemblaggio di varie immagini levitiche prese dalla Torah.è E senza le parole di Isaia, Daniele ed Ezechiele, il [[w:Apocalisse di Giovanni|Libro della Rivelazione]] sarebbe inimmaginabilmente differente. Simultaneamente roccia fodamentale ed elemento costitutivo, la versione greca delle Scritture ebraiche in modi essenziali formò la prima proclamazione cristiana.
 
Ma l'uso della Bibbia da parte degli evangelisti andò ben oltre tali applicazion i teologiche. Nella ''Septuaginta'', gli scrittori evangelici ritennero di avere una terza fonte storica d'informazione sulla vita e specialmente sulla morte di Gesù. Lo vediamo chiaramente in Matteo, che spesso antepone o conclude una qualche azione o storia con le parole "Ciò fu fatto affinché si adempisse ciò che fu detto dal profeta" (che tale profezia esistesse o meno nelle Scritture ebraiche). Tale uso creativo della ''Septuaginta'' chiaramente modella entrambe le narrazioni sinottiche della natività. La tradizione che la madre di Gesù fosse una [[w:verginità di Maria|vergine]] al tempo della nascita, per esempio, si rifa ad un a profezia disponibile solo nella versione greca di {{passo biblico2|Isaia|7:14}}: nell'ebraico originale, la parola che è alla base del ''parthenos'' di LXX, "vergine", è ''‘aalmah'', "giovinetta".<ref>È stato anche ipotizzato che i racconti evangelici abbiano avuto origine per influenza di storie similari presenti nelle mitologie di altri popoli, in modo particolare nell'ambiente ellenistico, con esempi di partenogenesi, cefalogenesi, geogenesi, i [[w:Venere (divinità)#Nascita|miti della nascita di Venere]], ecc. Cfr. Helmut Koster, ''Ancient Christian Gospels: their history and development'', Trinity Press, 2004</ref> E questo uso biografico della Scritture antiche parimenti forma la presentazione da parte dei quattro evangelisti della scena della Crocifissione, dove l'azione continua della narrazioni evangeliche in effetti si frammenta in una moltitudine di riferimenti a vari versetti presi da Profeti, Proverbi e Salmi. Alla luce di tale quantità di citazioni, gli studiosi si devono chiedere se l'esistenza dell'immagine scritturale non creò i particolari o persino l'azione della storia.
 
Per dirla diversamente: la fonte di una storia evangelica su Gesù potrebbe trovarsi non in una qualche tradizione trasmessa e risalente ad un testimone contemporaneo degli inizi del I secolo, quando viveva Gesù, bensì nell'autorità religiosa di un distante passato biblico. La storia evangelica pertanto può fornire informazioni sulla lettura della tradizione biblica da parte dell'evangelista, e quindi anche sulla sua interpretazione teologica della figura di Gesù. Impariamo poco, tuttavia, su Gesù di Nazareth stesso. Ma è vero anche il contrario: proprio perché un evangelista si riferisce alla Bibbia quando presenta un episodio della vita di Gesù o un elemento del suo insegnamento, non significa che egli necessariamente costruisca da sé l'episodio e l'elemento. Nonostante la sua relativa glossa biblica, la tradizione stessa potrebbe essere autentica. Alla luce di queste complessità, tutto il materiale evangelico deve essere soppesato e giudicato prima che serva da testimonianza per il Gesù storico.