Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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Il problema puramente teorico della trasformazione della visione artistica classica non deve indurre a sottovalutare i fattori sociali che vi agirono. Spesso, che sia per una trasformazione attribuita principalmente all'azione di fattori allogeni (influenze orientali), o per un processo interno di causazione, uno viene indotto quasi inavvertitamente a tralasciare questo aspetto sociale di un processo che ovviamente presenta un carattere globale. In effetti, sebbene non sempre definibile con esattezza – e soprattutto non in un rapporto causa/effetto – le trasformazioni sovrastrutturali implicano sempre un cambiamento nelle strutture socio-economiche. Tramite una ''souplesse'' spesso non incontrata in molti archeologi, l'italiano Bianchi Bandinelli, studioso particolarmente attento e sensibile dell'arte antica e delle sue dialettiche di struttura e sovrastruttura, ha sottolineato l'azione di due fattori in tale cambiamento di visione artistica classica: il primo in relazione alla prevalenza della corrente "plebea" dell'arte romana; il secondo, in relazione alle influenze ideologiche della derivazione orientale, principalmente attive nel concetto di sovranità e, di conseguenza dell'immagine dell'imperatore.<ref>Bianchi Bandinelli, "Forma artistica tardo antica...", pp. 325segg., 329.</ref> Di certo, nella costituzione dell'ideologia "carismatica" della sovranità tardo-antica, dell'imperatore del Dominato, certe influenze e concetti orientali ebbero un ruolo; ma ciò consistette principalmente nella sussunzione di elementi ideologici secondo il maturare di un problema formale nell'ambito dell'arte romana, e parallelo al consolidamento di un concetto ideologico. Vale a dire, l'accettazione di un'ideologia non porta necessariamente – afferma Bianchi Bandinelli – all'assorbimento di forme plastiche, in questo caso l'arte parthiana o sassanide. Esiste una distinzione precisa tra iconografia e stile, che in problemi di questo genere deve sempre essere tenuta in mente:<ref>Bianchi Bandinelli, ''ibid.'', p. 327.</ref> La prima si riferisce ad un elemento esterno all'arte, collegato ad un'ideologia o ad una clssifica o, semplicemente, ad una tradizione di laboratorio; il secondo, tuttavia, è effettivamente una manifestazione di creazione artistica. Tuttavia, un'iconografia, una volta accettata – per motivi ideologici – può trovare la sua espressione in "stili" differenti. Pertanto, nell'ambito della sfera artistica di scultura e pittura, fino all'epoca costantiniana, l'arte romana non prende da nessuna forma plastica specificamente orientale, mentre alcuni motivi iconografici (la posizione frontale del monarca, cfr. monete illustrate nei miei Capp. II-III) sono affermati secondo l'acquisizione di certe ideologie generate da questo ambiente.<ref>Bianchi Bandinelli, ''ibid.'', pp. 326, 327segg.</ref>
 
Infatti, in questa dissolvenza di forme classiche e nella costituzione della forma tardo-antica, è specialmente il primo elemento, la corrente "plebea", che gioca un ruolo estremamente significativo. Quest'ultimo ha coabitato, per così dire, con l'arte ufficiale dei circoli senatoriali e poi della corte imperiale, durante tutto il corso delle età repubblicana ed imperiale. Coloro che ne godettero e l'appropriarono furono i magitrati provinciali, la nobiltà provinciale, i militari, i liberti: in sostanza, la "borghesia" o gli strati plebei della società romana. Differisce dall'arte "ufficiale" di Roma, dall'"arte romana nel centro del potere"<ref>Bianchi Bandinelli, ''LArte romana nel centro del potere'', Milano, 1969.</ref> (per usare una formula che dà titolo ad una delle ultime opere fondamentali di Bandinelli). Fiorisce con questa tendenza la cosiddetta "arte provinciale"; l'arte dell'Occidente romanizzato. Vive le sue esperienze artistiche autonome, ha i suoi schemi formali che differiscono da quelli creati dalla società greca del V secolo p.e.v. e accettati dalle classi superiori del mondo ellenistico, e dalla società romana — che ne aveva vinto la guida. In tale arte vivono, totalmente funzionali, formule e schemi formali che verranno di nuovo incontrati nell'arte tardo-antica: ricorre alla frontalità in modo da enfatizzare il personaggio celebrato; alterando le proporzioni naturali in modo da ottenere proporzioni pressappoco simboliche, pertinenti a concetti vincolati dalla corrente chiarezza della narrativa, abolendo l'illusionismo della prospettiva. Questa forma d'arte tende verso la chiarezza: è didattica, quindi simbolica; è irrazionalista, nella misura in cui esprime i sentimenti e le emozioni delle masse popolari che non hanno ottenuto la ''[[w:Paideia|paideia]]'' classica, fondata su valori "razionali", e su quella prospettiva "razionale" (Schweitzer)<ref>B. Schweitzer, ''Vom Sinne der Perspektive'', Tübingen, 1953.</ref> che ne traduce la sua visione spaziale. È polimorfica, nella misura in cui esprime le vedute artistiche di quelle culture che stanno iniziando ad acquisire – o a recuperare – il loro particolare linguaggio artistico, in concorrenza con l'arte "ufficiale" delle classi dirigenti. È anche "democratica", proprio perché, mediante essa, l’''ethne'' (le ''demokratiai'' citate da [[w:Ippolito di Roma|Ippolito di Roma]])<ref>Ippolito, ''In Dan.'', IV, 5, 6; IV, 24, 7; Lact., ''Div Inst.'', VII, 16, 1. Cfr. S. Mazzarino, ''La democratizzazione della cultura'', pp. 38 segg. Su ''Demokratiai'' cfr. anche Oliver, ''The Ruling Power'', p. 92.</ref> riescono a liberarsi dalla egemonia culturale della ''paideia'' — divennero per così dire "decolonizzati": uniti per forza dall’''imperium romanum'', ora riuscivano a recuperare e rielaborare il tessuto delle loro culture nazionali.<ref>M.A. Levi, ''L'impero romano'', Milano, 1963, pp. 574-650; 839-994.</ref>
 
== Note ==