Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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Parallela alla destrutturazione della società urbana ellenistico-romana e la sua egemonia ideologica, si verifica la distruzione della forma artistica "classica": e ovunque appaia la nuova arte, così affiorano anche dissoluzione e dispersione. La figura umana, questa creazione di una visione artistica di società "borghese" della Grecia del V secolo<ref>R. Bianchi Bandinelli, "Osservazioni storico-artistiche ad un passo del ‘Sofista’ platonico", nel suo ''Arch. e cult.'', pp. 153-171.</ref> – ed il suo patrimonio di immagini plastiche – si disintegra e sparisce, perde la sua funzione figurativa, mentre avanza l'espressività facciale, la spiritualità che l'artista ottiene nella sua trasposizione; ai suoi limiti, diventa l'espressione di un simbolo del carisma di cui l'individuo è solo portatore. La figura organica si disintegra: ed è "come se nello spazio liberato dalle energie corporee èe plastiche, si stabilisca il dominio dell'invisibile".<ref>B. Schweitzer, ''Spätantike Grundlagen'', pp. 417, 418 segg.</ref> L'unità di corpo e anima, come era realizzato dal sistematismo dell'"individuo classico", viene annullato:<ref>B. Schweitzer, ''Spätantike Grundl.'', p. 420; cfr. anche Bianchi Bandinelli, ''Organicità ed astrazione'', Milano, 1956.</ref> il linguaggio dell'anima si stacca dai gesti plastici del corpo. La contrapposizione del corpo all'anima, questo aspetto dualistico dell'arte e della spiritualità tardo-antiche, annulla l'individuo e lo proietta nella trascendenza; si afferma la dichotomia tra il mondo corporeo di questa vita e il mondo spirituale al suo al di là. E, mentre l'uomo classico si disintegra – questo meraviglioso ''synolus'' di anima e corpo creato dalla filosofia greca – si dissolve anche la spazialità unitaria di quello splendido naturalismo con cui i dipinti ellenistico-romani avevano trasfigurato la realtà per tanto tempo: l'arte ''Spätantike'' tenta l'incorporeo, la spiritualità; vive per il simbolo, per il trascendentale. Frontalità, stilizzazione, allegoria, trasfigurazione, visione "carismatica"; tutte espressioni della rivoluzione artistica della Tarda Antichità, della scomparsa della visione classica e della spiritualizzazione della nuova visione artistica.
 
In un libro interessante, H. P. L'Orange ha tentato di dimostrare come la disintegrazione della società durante il terzo secolo e l'istituzione del nuovo ordine, come la Tetrarchia di Diocleziano, furono accompagnate da una concomitante disintegrazione e riorganizzazione del mondo artistico; nel percorso che portò alla ''Spätantike'', le forme artistiche e la vita civile, secondo lo studioso norvegese, si sarebbero sviluppate in parallelo: ''massiccia semplificazione'' e ''cristallizzazione meccanica'' sarebbero stati i due aspetti fondamentali delle modificazioni strutturali occorse nella transizione da Principato a Dominato.<ref>H.P. L'Orange, ''Art Forms and Civic Life in the Late Roman Empire'', Princeton, 1965 (cfr. partic. pp. 126, 127 segg.)</ref> tale tesi presenta senza dubbio alcuni aspetti evocativi; ma alla fine propone una corrispondenza troppo diretta e meccanica (appunto) entro aspetti di un processo che sicuramente si dovette sviluppare in una maniera complessa e contraddittoria. Come risultato del suo approccio unidimensionale, esclude l'intervento di qualsiasi fattore esterno, "orientale", nella genesi della visione artistica tardo-antica, considerandolo quale risultato di una profonda evoluzione logica dello stesso mondo artistico. Il famoso dilemma di [[w:Josef Strzygowski|Stryzgowski]], ''Orient oder Rom'',<ref>J. Stryzgowski, ''Orient oder Rom. Beiträge z. Gesch. der späteren u. früchristl. Kunst'', Leipzig, 1902.</ref> non poteva aver avuto una risposta più chiara e decisa di questo breve libro di uno studioso della generazione post-rodenwaldtiana.
 
Il problema puramente teorico della trasformazione della visione artistica classica non deve indurre a sottovalutare i fattori sociali che vi agirono. Spesso, che sia per una trasformazione attribuita principalmente all'azione di fattori allogeni (influenze orientali), o per un processo interno di causazione, uno viene indotto quasi inavvertitamente a tralasciare questo aspetto sociale di un processo che ovviamente presenta un carattere globale. In effetti, sebbene non sempre definibile con esattezza – e soprattutto non in un rapporto causa/effetto – le trasformazioni sovrastrutturali implicano sempre un cambiamento nelle strutture socio-economiche. Tramite una ''souplesse'' spesso non incontrata in molti archeologi, l'italiano Bianchi Bandinelli, studioso particolarmente attento e sensibile dell'arte antica e delle sue dialettiche di struttura e sovrastruttura, ha sottolineato l'azione di due fattori in tale cambiamento di visione artistica classica: il primo in relazione alla prevalenza della corrente "plebea" dell'arte romana; il secondo, in relazione alle influenze ideologiche della derivazione orientale, principalmente attive nel concetto di sovranità e, di conseguenza dell'immagine dell'imperatore.<ref>Bianchi Bandinelli, "Forma artistica tardo antica...", pp. 325segg., 329.</ref> Di certo, nella costituzione dell'ideologia "carismatica" della sovranità tardo-antica, dell'imperatore del Dominato, certe influenze e concetti orientali ebbero un ruolo; ma ciò consistette principalmente nella sussunzione di elementi ideologici secondo il maturare di un problema formale nell'ambito dell'arte romana, e parallelo al consolidamento di un concetto ideologico. Vale a dire, l'accettazione di un'ideologia non porta necessariamente – afferma Bianchi Bandinelli – all'assorbimento di forme plastiche, in questo caso l'arte parthiana o sassanide. Esiste una distinzione precisa tra iconografia e stile, che in problemi di questo genere deve sempre essere tenuta in mente:<ref>Bianchi Bandinelli, ''ibid.'', p. 327.</ref> La prima si riferisce ad un elemento esterno all'arte, collegato ad un'ideologia o ad una clssifica o, semplicemente, ad una tradizione di laboratorio; il secondo, tuttavia, è effettivamente una manifestazione di creazione artistica. Tuttavia, un'iconografia, una volta accettata – per motivi ideologici – può trovare la sua espressione in "stili" differenti. Pertanto, nell'ambito della sfera artistica di scultura e pittura, fino all'epoca costantiniana, l'arte romana non prende da nessuna forma plastica specificamente orientale, mentre alcuni motivi iconografici (la posizione frontale del monarca, cfr. monete illustrate nei miei Capp. II-III) sono affermati secondo l'acquisizione di certe ideologie generate da questo ambiente.<ref>Bianchi Bandinelli, ''ibid.'', pp. 326, 327segg.</ref>
 
Infatti, in questa dissolvenza di forme classiche e nella costituzione della forma tardo-antica, è specialmente il primo elemento, la corrente "plebea", che gioca un ruolo estremamente significativo. Quest'ultimo ha coabitato, per così dire, con l'arte ufficiale dei circoli senatoriali e poi della corte imperiale, durante tutto il corso delle età repubblicana ed imperiale. Coloro che ne godettero e l'appropriarono furono i magitrati provinciali, la nobiltà provinciale, i militari, i liberti: in sostanza, la "borghesia" o gli strati plebei della società romana. Differisce dall'arte "ufficiale" di Roma, dall'"arte romana nel centro del potere"<ref>Bianchi Bandinelli, ''LArte romana nel centro del potere'', Milano, 1969.</ref> (per usare una formula che dà titolo ad una delle ultime opere fondamentali di Bandinelli). Fiorisce con questa tendenza la cosiddetta "arte provinciale"; l'arte dell'Occidente romanizzato. Vive le sue esperienze artistiche autonome, ha i suoi schemi formali che differiscono da quelli creati dalla società greca del V secolo p.e.v. e accettati dalle classi superiori del mondo ellenistico, e dalla società romana — che ne aveva vinto la guida. In tale arte vivono, totalmente funzionali, formule e schemi formali che verranno di nuovo incontrati nell'arte tardo-antica: ricorre alla frontalità in modo da enfatizzare il personaggio celebrato; alterando le proporzioni naturali in modo da ottenere proporzioni pressappoco simboliche, pertinenti a concetti vincolati dalla corrente chiarezza della narrativa, abolendo l'illusionismo della prospettiva. Questa forma d'arte tende verso la chiarezza: è didattica, quindi simbolica; è irrazionalista, nella misura in cui esprime i sentimenti e le emozioni delle masse popolari che non hanno ottenuto la ''[[w:Paideia|paideia]]'' classica, fondata su valori "razionali", e su quella prospettiva "razionale" (Schweitzer)<ref>B. Schweitzer, ''Vom Sinne der Perspektive'', Tübingen, 1953.</ref> che ne traduce la sua visione spaziale. È polimorfica, nella misura in cui esprime le vedute artistiche di quelle culture che stanno iniziando ad acquisire – o a recuperare – il loro particolare linguaggio artistico, in concorrenza con l'arte "ufficiale" delle classi dirigenti. È anche "democratica", proprio perché, mediante essa, l’''ethne'' (le ''demokratiai'' citate da [[w:Ippolito di Roma|Ippolito di Roma]])<ref>Ippolito, ''In Dan., IV, 5, 6; IV, 24, 7; Lact., ''Div Inst.'', VII, 16, 1. Cfr. S. Mazzarino, ''La democratizzazione della cultura'', pp. 38 segg. Su ''Demokratiai'' cfr. anche Oliver, ''The Ruling Power'', p. 92.</ref> riescono a liberarsi dalla egemonia culturale della ''paideia'' — divennero per così dire "decolonizzati": uniti per forza dall’''imperium romanum'', ora riuscivano a recuperare e rielaborare il tessuto delle loro culture nazionali.<ref>M.A. Levi, ''L'impero romano'', Milano, 1963, pp. 574-650; 839-994.</ref>
 
 
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