Guida maimonidea/La forza di Maimonide: differenze tra le versioni

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Maimonide osservò che la sua propensione verso la polemica diminuì col tempo e che la maturità temperò la sua inclinazione verso forme espressive mordenti e aggressive, che potevano ridurre in lagrime i suoi opponenti. In una lettera al suo amato studente Joseph ben Judah, in cui Maimonide insisteva che questi non si facesse coinvolgere in baruffe, si descrisse come segue:
{{q|Quando avevo la tua età o anche di più, ero ancor più impetuoso di te negli argomenti e, come hai sentito, mi confrontavo con parola e penna contro quei grandi uomini che cercavano di essere in disaccordo con me. E senza dubbio avrai anche sentito ciò che successe tra me e R. Judah Hakohen di benedetta memoria, figlio di Mar Pirẖon, aal riguardo di due problemi relativi al considerare un animale non [[w:Kosher|kosher]], e tra me ed il giudice di Sijilmasa in merito ad un documento di divorzio, e tra me e Abu Joseph ben Mar Joseph, che riposi nell'Eden, circa una donna che era stata fatta prigioniera, e molti altri casi simili. Io lì deliziai i miei ammiratori e feci piangere i miei avversari con le mie parole e la mia penna — con le parole a coloro che erano in mia presenza, e con la mia penna a coloro che erano distanti.|''Iggerot'', pp. 421-422}}
 
La forza della reazione di Maimonide verso i suoi avversari evidentemente risultava dal divario tra i suoi propri talenti e lo splendore della sua comunità natia (al-Andalus) e la condizione inferiore delle persone che egli incontrò nel corso della vita come profugo nel Maghreb e come immigrato in Egitto, e come uno che sfidava le rimanenze della tradizione ''geonica'' in Terra d'Israele e a Baghdad. Come halakhista e filosofo, Maimonide visse in splendido isolamento, non avendo nelle vicinanze interlocutori alla sua pari, di statura simile al mondo perduto dell'Andalusia. Le cose sarebbero forse andate diversamente se la famiglia di Maimonide fosse emigrata al Nord, verso la Provenza, poiché quando scoprì con gioia, più avanti negli anni, i grandi dotti di Lunel, egli agì con loro come primo fra pari.<ref name="Halbertal2"/>
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Un tono duro, quasi violento, non era cosa insolita nella polemica halakhica del XII secolo. Halakhisti di rinomanza, come [[w:Rabbenu Tam|Rabbenu Tam]] e [[w:Abraham Ben David|Ra`abad]], che eccellevano nei loro ambienti, erano personaggi difficili da trattare. Maimonide stesso, per esempio, era a volte al centro di critiche taglienti da parte di Ra`abad, che era in disaccordo con i suoi giudizi esposti nella ''Mishnah Torahh''. Queste figure, e Maimonide tra loro, reagivano a ciò che reputavano come errori nel campo della ''Halakhah'', come un geniale direttore d'orchestra reagirebbe ad una brutta esecuzione di un'opera musicale. La più piccola nota sbagliata li col;piva come una dissonanza terribile che non poteva essere ignorata.<ref name="Halbertal2"/> Tuttavia, l'approccio polemico di Maimonide verso il suo ambiente halakhico e culturale andò oltre i sentimenti di un genio verso ciò che gli sembrava quasi un dilettantismo scervellato. Si ritrovò in un conflitto fondamentale con le circostanze di contesto perché si sentiva impegnato a stabilire una diversa coscienza religiosa. Rabbenu Tam e Ra`abad non vissero con tale senso di missione. Sebbene si fossero coinvolti in svariate confrontazioni locali su questioni halakhiche, rimasero comunque congiunti alle rispettive loro comunità. Al contrario, il ruolo enormemente trasformativo di Maimonide lo poneva a divario col mondo che abitava. La certezza e fiducia di sé che contrassegnavano le sue parole, insieme alla sua arroganza sprezzante del suo ambiente, lo rese uno dei pochi e speciali riformatori e fondatori religiosi di tutti i tempi.<ref name="Kraemer1">[http://books.google.co.uk/books/about/Maimonides.html?id=WbFi_C-GUUEC&redir_esc=y Kraemer, Joel L., ''Maimonides. The Life and World of One of Civilization's Greatest Minds'', Doubleday, 2010], Parte V & Epilogo, pp. 470 e segg.</ref>
 
Il senso di alienazione ed arroganza che gli scritti di Maimonide a volte esprimono, viene rinforzato, tra l'altro, dal comportamento che sviluppò verso le masse — un comportamento che assunse un posto centrale nella sua visione del mondo ed il suo atteggiamento spirituale verso l'ambiente. Come egli pensava, la maggioranza delle masse popolari erano spinte da vane illusioni di speranza e timore. Dato il fatto che l'uomo è considerato umano in base alla sua abilità di distinguere il vero dal falso, ne consegue che la maggior parte degli uomini non vivono una vita completamente umana. La piena realizzazione della vita umana è qualcosa di molto raro, limitata a virtuosi isolati. Tale senso permea tutti gli scritti di Maimonide, e la sua penna era in grado di produrre diverse formulazioni terrificanti aal riguardo di questa prospettiva del mondo. Tale sentimento di alienazione ed isolamento è espresso dalla descrizione di Maimonide circa la relazione tra il profeta che ha raggiunto la perfezione e il suo contesto umano:
{{q|Egli piuttosto deve considerare tutta le persone secondo i loro vari stati rispetto ai quali sono indubbiamente o come animali domestici o come bestie da preda. Se l'uomo perfetto, che vive in solitudine, pensa a loro anche lontanamente, lo fa solo con l'idea di salvaguardarsi dal pericolo che potrebbe essere causato da quelli tra loro che sono pericolosi se per caso si associasse a costoro, o col proposito di ottenere un vantaggio che possa derivare da costoro se fosse costretto a ciò da alcune sue necessità.|''Guida'', p. 2, 36}}
 
Questa prospettiva risultò in una continua tensione col suo ambiente sociale, e maimonide quindi fu combattuto tra il senso di responsabilità dell'halakhista verso la propria comunità ed un sentimento di disagio, a volte simile al disgusto, nei confronti dell'interazione obbligatoria con la stupidità e la volgarità della società umana. È possibile che questo senso fosse acutizzato dall'esilio dalla sua gloriosa e sofisticata comunità natia, costretto poi ad un ambiente che lo colpiva come povero e pretenzioso, un esilio che gli provocò una solitudine aspra ed inevitabile. Come si vedrà più oltre, nei capitoli specialisti dedicati alla ''Guida'', questa fondamentale tensione interiore aal riguardo del suo contesto sociale divenne alquanto importante nelle sue considerazioni sulla perfezione umana e lo stato del filosofo nel mondo.<ref name="Kraemer1"/>
 
La sua critica delle masse sottende un'altra importante complessità nella posizione basilare di Maimonide tra rivoluzione e conservatorismo. Aveva la sua propria convinzione e non esitò a sfidare le tradizioni esistenti e le varie visioni del mondo, che fossero halakhiche o filosofiche. La sua visione del mondo prese forma attraverso un contatto intenso con la scienza e la filosofia greche che avevano penetrato la cultura araba, e non le considerò come minacce che dovessero essere evitate o avvicinate con cautela. Secondo i nostri termini, egli fu "aperto". Servì pertanto come ispirazione al pensiero ebraico moderno, che similmente rifiutò l'isolazionismo come percorso spirituale e cercò di identificare uno spazio dove si potesse affrontare una discussione intellettuale con correnti filosofiche al di fuori della tradizione.<ref name="Halbertal2"/><ref name="Kraemer1"/>
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{{q|So che mentre acquisisco fama colà [a Baghdad], egli [Samuel Ben Eli] e tutti coloro che lo seguono e tutti quelli che lo esaltano agli occhi della gente, si sentiranno di sminuire il mio trattato [''Mishneh Torah''] e di apparire così perfetti da non aver bisogno di consultarlo. Al contrario, dicono che chiunque tra loro potrebbe scrivere un trattato migliore del mio e farlo più velocemente.|''Iggerot'', pp. 303-304}}
 
Più oltre nella lettera, Maimonide offre una delle accuse più dure dell'effetto corrosivo dell'egemonia istituzionale sull'autorità religiosa: "[ARiguardo riguardo dellaalla] maggioranza degli uomini di religione che possiedono autorità — quando qualcosa ha a che fare con la loro autorità, la loro devozione li abbandona" (''Iggerot'', p. 308).
 
Maimonide attribuisce il declino dell'istituzione del gaonato alla trasmissione ereditaria della direzione delle yeshivah. Considerava il decadimento personale ed intellettuale del suo rivale un risultato del effetto congiunto di un potere istituzionale distruttivo e un senso perverso di superiorità spirituale che mancava di basi reali. Descriveva Samuel Ben Ekli come uno "cresciuto sin dall'infanzia con tutti che gli dicevano che era speciale nella sua generazione ed è ora rafforzato da vecchiaia, prominenza, casato, e assenza di persone istruite in quella regione. Sente il bisogno di inculcare nella gente l'idea patetica che tutti debbano aspirare a sentire ciò che esce dalla yeshivah" (''Iggerot'', p. 303). C'è una profonda — sebbene non rara — ironia nel fatto che Maimonide, émigré indipendente e rinomato dotto che reputava la leadership ereditaria come qualcosa di distruttivo, sia egli stesso diventato il fondatore di una dinastia, i cui discendenti hanno officiato come capi della comunità ebraica in Egitto per oltre duecento anni dopo la sua morte.<ref name="Kraemer1"/>