Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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È alquanto significativo che, nella revisione dell'attuale opinione sul "Bas-Empire" e nel sostenere un'autonomia "strutturale" per questa ultima fase della staria del mondo antico, i medievalisti possano contribuire in maniera decisiva, in questo periodo ''entre-deux-guerres''. Come notato precedentemente, una critica all'idea di decadenza coinvolgeva a sua volta la convinzione di una continuità, seppur relativa. Una volta che lo spettro di un tardo impero puramente decadente e negativo era stata dissipata, ed il ruolo e significato delle invasioni germaniche ridimensionato, si verificava allora la necessità di una valutazione di quanto fossero durate le strutture antiche, in che misura fossero modificate, e quali strutture nuove fossero state formate — si doveva valutare in altri termini la società della ''Spätantike'', un concetto in questa prospettiva che prendeva corpo e sostanza. Storici illustri del XIX secolo sentirono particolarmente questa problematica, quando si chidevano se le istituzioni medievali potessero essere collegate all'antico edificio della civiltà classica e se i barbari avessero veramente portato agli esausti popoli latini qualcosa di originale e vitale. E se il figlio di Hegel aveva scelto l'originalità delle istituzioni medievali e attribuiva ai suoi avi tedeschi la creazione della nuova Europa Medievale,<ref>C.F. Hegel, ''Geschichte d. Städtterverfassung Italiens'', I, Leipzig, 1844-47.</ref> [[w:Fustel de Coulanges|Fustel de Coulanges]], il rivale di Mommsen, nello studiare le antiche istituzioni politiche della Francia, considerò giusto affermare che le invasioni barbariche non avevano avuto effetti rimarchevoli e che le antiche istituzioni della sua patria erano dovute alla continuazione della civiltà romana.<ref>N.D. Fustel de Coulanges, ''Historie des Institutions politiques de l'ancienne France'', I, 1875 (e prima, in ''Revue des Deux Mondes'', 1872). Per le premesse a questa visione cfr. A. Dopsch, ''Wirtschaftliche u. soziale Grundlangen der europäischen Kulturentwicklung'', 1923, I, pp. 1 segg. (rist, Aalen, 1961).</ref> Senza dubbio, in queste posizioni c'era uno sfondo di nazionalismo romantico; ma c'era anche uno prospettiva storiografica che abbandonava la facile tesi della "catastrofe" e permetteva l'articolazione della ricerca storica su una base di concretezza che sicuramente avrebbe dato risultati. Per lo studioso moderno, questa "questione di continuità" viene espressa specialmente nelle prospettive che emanano da due grandi studiosi dell'economia medievale, l'austriaco [[w:Alfons Dopsch|Alfons Dopsch]] ed il belga [[w:Henri Pirenne|Henri Pirenne]], e rispettivi discepoli nonché seguaci.<ref>A. Dopsch, Wirtschaftliche u. soziale Grundlagen d. europ. Kulturentwicklung'', I-II, Vienna, 1923-24<sup>2</sup>; ''Natural- und Geldwirtschaft in der Weltgeschichte'', Vienna, 1930 (partic. Capp. VI-VII). Cfr. anche H. Pirenne, ''Mahomet et Charlemagne'', Parigi-Bruxelles, 1937; "Un contraste économique Mérovingiens et Carolingiens", ''RBPH'', 1923, pp. 223-35; ''Histoire écon. et soc. du Moyen Age'', Parigi, 1963.</ref> Si concentrano più che sulle divergenze di natura teorica e fattiva,<ref>Cfr. le critiche di Dopsch, come da nota 38.</ref> sul punto di convergenza:<ref>In questo senso cfr. l'articolo di R.S. Lopez in ''The Pirenne Thesis, Analysis, Criticism and Revision'', Boston, 1958.</ref> secondo entrambi, le migrazioni barbariche avevano provocato discontinuità nell'economia e cultura del mondo occidentale; e come conseguenza, entrambi stavano "ritardando" la fine del mondo antico oltre i limiti cronologici tradizionali, fino all'età di [[w:Carlo Magno|Carlomagno]], o almeno fino alle invasioni arabe (Pirenne). Con la massima consequenzialità, Dopsch sosteneva che nel complesso uno non dovesse parlare di una qualche frattura reale nell'evoluzione culturale ed economica dell'Europa antica, dall'età di Cesare a quella di Carlomagno (''"Keine Kulturzäsur und keine Katastrophe"'').<ref>Dopsch, ''Wirtschaftl. u. soz. Grundl.'', I, pp. 330 segg.; 412-413.</ref> I germanici, loro stessi custodi di una cultura antica, confrontandosi con la tarda cultura romana furono non meno ricettivi e docili di quanto i romani non fossero stati una volta nei confronti di quella ellenistica. Avvenne una sostanziale ridistribuzione di terre, ma le relazioni giuridiche di proprietà non cambiarono di molto; la vita continuò nelle città, che rimasero comunque i centri delle attività commerciali ed artigiane nonché centri amministrativi; non ci fu un ritorno all'economia naturale,<ref>Dopsch, ''ibid.'', II, ''passim''.</ref> né ci fu un'interruzione delle grandi rotte commerciali; né cessò la diffusione delle idee (del patrimonio culturale). Continuità e non "catastrofe": "Pertanto, questo periodo che va dal V all'VIII secolo prende forma come l'elemento vero ed organico del collegamento tra Tarda Antichità ed età carolingia". Anche per Pirenne, che seguiva più da vicino i passi di Fustel de Coulanges, le invasioni germaniche non avevano dissolto l'antica struttura sociale greco-romana; non apparvero, nonostante gli sconvolgimenti politici, nuovi principi nel campo economico, o in quello sociale o culturale; al contrario, la frattura della tradizione antica avvenne a causa dell'improvviso ed inatteso assalto furioso degli arabi. La conseguenza fu la fine dell'unità mediterranea e la separazione tra Este e Ovest.
 
Il Mar Mediterraneo occidentale, essendo diventato un lago mussulmano, cessò d'essere una rotta commerciale ed una culla di idee; l'Occidente si ritirò su se stesso. Secondo questa prospettiva,<ref>Ma per prospettive più recenti, che suggeriscono che questo cambiamento avvenne molto prima, si veda il mio Capitolo II.</ref> l'asse della vita civile si spostò per la prima volta dal Mediterraneo al Mare del Nord. Avvenne una regressione economica, che provocò la fine del [[w:Merovingi|regno merovingio]] e la nascita della [[w:Carolingi|dinastia carolingia]], proveniente dal Nord. La Chiesa, unitasi al nuovo ordine, si separò dall'imperotore bizantino che, occupato ònella sua lotta contro l'Islam, non fu piùin grado di proteggerla. A Roma, la Chiesa rimase la sola autorità: e molto più forte, in quanto lo stato merovingio, come conseguenza del suo declino economico, non sarebbe riuscito a conservare la sua struttura burocratico-amministrativa e sarebbe stata assorbita dal [[w:feudalesimo|feudalesimo]]. Pertanto l'Europa, dominata dalla Chiesa e dal feudalesimo, iniziò ad assumere, nel secolo a cavallo tra il 650 e il 750, una nuova fisionomia, naturalmente con diverse sfumature nelle varie nazioni. Fu durante questo periodo transitorio che la tradizione antica venne a mancare e fu rimpiazzata dalla nuova: il processo fu concluso da Carlomagno, con la costituzione del nuovo impero, "che simbolicamente fu la risposta occidentale alla sfida dei seguaci di Maometto" (Momigliano): due mondi, due grandi personalità di storia mondiale, ''[https://books.google.co.uk/books/about/Mohammed_and_Charlemagne.html?id=-5ztAAAAMAAJ&source=kp_book_description&redir_esc=y Mahomet et Charlemagne]''.
 
Comprensibilmente, questa problematica di "continuità" proposta da Dopsch e Pirenne trovò notevole consenso tra alcuni storici dell'antichità. Gli storici della cultura e arte tardo-romana erano già abituati a considerare questo periodo come una realtà unitaria; ora ''Spätantike'' veniva "affrontata" anche da storici dell'economia e delle strutture sociali. Poteva finanche risolvere certe difficoltà degli studi medievali tedeschi (vien da pensare alle ricerche di Aubin); risolveva anche le necessità di un nuovo approccio bizantino, abbandonando le vecchie posizioni "orientalistiche", care a Diehl ed a un particolare settore degli studiosi bizantini francesi (si dovrebbe invece pensare alla prospettiva di Baynes e, prima di lui, a [[w:Heinrich Gelzer|H. Gelzer]])<ref>H. Gelzer, in Krumbacher, ''Gesch. d. byzantinischen Literatur'', Monaco, 1897, citato da M.A. Levi, ''L’Impero Romano'', Milano, 1963.</ref> Inoltre, ripropose parzialmente i temi di un brillante studio di [[w:Alfred von Gutschmid|Alfred von Gutschmid]],<ref>A. Von Gutschmid, "Die Grenze zwischen Altertum und Mittelalter", ''Die Grenzboten'', 1863, pp. 330 segg., citato da Levi, ''ibid.'', che usa anche la successiva raccolta ''Kleine Schriften'', Leipzig, 1894, V, pp. 393 segg.</ref> un orientalista che aveva fortemente influenzato gli storici dell'antichità tedeschi e aveva esaminato problemi spesso al di fuori dei limiti del suo ''Fach''. Già nel 1863, questo studioso aveva vigorosamente contestato la fatidica data 476 e.v. che effettivamente segnasse un qualcosa di definito nella storia del mondo antico e che dovesse essere collegata all'inizio di una nuova epoca. Nella società, solo la fondazione del dominio longobardo (568) avrebbe segnato per l'Italia una rottura con l'antico passato; e, per la parte rimanente dell'Occidente, la reale transizione dall'antichità al Medioevo sarebbe avvenuta solo alla fine del IV secolo, Per Bisanzio, allora, l'accessione al trono dell'imperatore "greco" [[w:Tiberio II Costantino|Tiberio]] (578) e per il Vicino Oriente la conquista dell'impero persiano e dell'Egitto da parte degli arabi (nel 641, anno che segna anche la morte del grande imperatore bizantino [[w:Eraclio I|Eraclio]]) avrebbe indicato la frattura con l'ordine antico. Dice Gutschmid: "... la linea tra Antichità e Medioevo, riguardo allo Stato, la Chiesa e la letteratura, non può esser posta prima degli ultimi trent'anni del VI secolo, e non dopo i primi trenta del VII secolo; non c'è dubbio che nell'Occidente questa trasformazione sarebbe avvenuta prima che in Oriente".<ref>Von Gutschmid, "Die Grenze", pp. 330 segg.</ref>