Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo I: differenze tra le versioni

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Attraverso importanti ricerche sul significato del blocco sociale, [[w:Santo Mazzarino|S. Mazzarino]] ha approfondito e modificato l'interpretazione mickwitziana.<ref>S. Mazzarino, ''Aspetti sociali'', cit., 1951 (partic. pp. 137-217); ''L’impero romano'', cit., pp. 434-444, 495segg., 588segg., 673-694, 812segg.; ''La fine del mondo antico'', pp. 162segg.; "La democratizzazione della cultura nel Basso Impero", ''XI Congr. Int. Sc. Hist.'', II, Stockholm 21-28 agosto 1960, II, pp. 35-54.</ref> La prospettiva di studi più aggiornati ora si muove lungo linee che si allontanano dalla visione "neoliberale" di Mickwitz. Il quadro della società tardo imperiale, sebbene sicuramente brillante riguardo alla vita intellettuale e artistica, mostra toni più oscuri e zone d'ombra più depressive nell'area della vita economica e sociale. Tramite Mazzarino si riesce a capir meglio il significato del blocco sociale che, contrariamente all'opinione di Mickwitz, unì la burocrazia statale superiore con la grande aristocrazia dei possidenti contro le classi inferiori – le sole produttive – sotto l'egida di una ''civilitas'' che non era altro che la cultura e l'ideologia di una classe che desiderava mantenersi i propri privilegi, contro qualsiasi alleanza con gli oppressi e gli "incivili".<ref>Fondamentale per questo sono gli scritti di Staerman, ''Die Krise der Sklavenhalterordnung'' e "Programmes politiques à l'epoque de la crise du III<sup>e</sup> siècle", ''Cah. hist.mond.'', IV, 2, 1958, pp. 310-329. Il dibattito su questa materia ovviamente è stato molto intenso e prolifico nella storiografia di estrazione o ispirazione marxista: un'analisi degli storici sovietici dopo Stalin è stata presentata anni fa da A. Denman, ''Latomus'', 1966, pp.991segg. Si veda anche P. Oliva, ''Pannonia and the Onset of Crisis in the Roman Empire'', Praha, 1962, pp. 62segg.; 126segg.; 362 segg. Interessanti sono anche le osservazioni di P. Brown, ''Ec. HR'', pp. 362segg., circa l'interpretazione di Jones dell'Impero Romano Tardo-Antico.</ref> Ciononostante, la necessità mickwitziana di una "continuità" tra la storia sociale ed economica del III secolo e la storia del Tardo Impero rimane ferma in tutta la sua validità. Giustamente, tramite lo studio dell'inflazione monetaria del terzo secolo, e le conseguenze economiche e sociali che provocò, Mickwitz cercava le premesse dell'economia e società dell'epoca costantiniana e tardoimperiale. In questo senso, alla visione "catastrofica" della storia del III secolo venne sostituita una più cauta considerazione dei modi e delle forme con cui le strutture economiche e sociali dell'ordine stabilito da Augusto furono trasformate in quelle dell'ordine economico e sociale del Tardo Impero. Questa fu una trasformazione che escluse qualsiasi giudizio di valore e che sostenne, per le strutture politiche, sociali ed economiche della ''Spätantike'' la stessa validità, la stessa originalità già riconosciuta per le espressioni coeve dell'arte e cultura; e il III secolo in effetti apparve come il "metro di misura" per questa trasformazione ed una delle chiavi necessarie a facilitarne la comprensione.<ref>S. Mazzarino, ''L’impero romano'', cit., pp. 495segg.; 601segg.</ref>
 
È alquanto significativo che, nella revisione dell'attuale opinione sul "Bas-Empire" e nel sostenere un'autonomia "strutturale" per questa ultima fase della staria del mondo antico, i medievalisti possano contribuire in maniera decisiva, in questo periodo ''entre-deux-guerres''. Come notato precedentemente, una critica all'idea di decadenza coinvolgeva a sua volta la convinzione di una continuità, seppur relativa. Una volta che lo spettro di un tardo impero puramente decadente e negativo era stata dissipata, ed il ruolo e significato delle invasioni germaniche ridimensionato, si verificava allora la necessità di una valutazione di quanto fossero durate le strutture antiche, in che misura fossero modificate, e quali strutture nuove fossero state formate — si doveva valutare in altri termini la società della ''Spätantike'', un concetto in questa prospettiva che prendeva corpo e sostanza. Storici illustri del XIX secolo sentirono particolarmente questa problematica, quando si chidevano se le istituzioni medievali potessero essere collegate all'antico edificio della civiltà classica e se i barbari avessero veramente portato agli esausti popoli latini qualcosa di originale e vitale. E se il figlio di Hegel aveva scelto l'originalità delle istituzioni medievali e attribuiva ai suoi avi tedeschi la creazione della nuova Europa Medievale,<ref>C.F. Hegel, ''Geschichte d. Städtterverfassung Italiens'', I, Leipzig, 1844-47.</ref> [[w:Fustel de Coulanges|Fustel de Coulanges]], il rivale di Mommsen, nello studiare le antiche istituzioni politiche della Francia, considerò giusto affermare che le invasioni barbariche non avevano avuto effetti rimarchevoli e che le antiche istituzioni della sua patria erano dovute alla continuazione della civiltà romana.<ref>N.D. Fustel de Coulanges, ''Historie des Institutions politiques de l'ancienne France'', I, 1875 (e prima, in ''Revue des Deux Mondes'', 1872). Per le premesse a questa visione cfr. A. Dopsch, ''Wirtschaftliche u. soziale Grundlangen der europäischen Kulturentwicklung'', 1923, I, pp. 1 segg. (rist, Aalen, 1961).</ref> Senza dubbio, in queste posizioni c'era uno sfondo di nazionalismo romantico; ma c'era anche uno prospettiva storiografica che abbandonava la facile tesi della "catastrofe" e permetteva l'articolazione della ricerca storica su una base di concretezza che sicuramente avrebbe dato risultati. Per lo studioso moderno, questa "questione di continuità" viene espressa specialmente nelle prospettive che emanano da due grandi studiosi dell'economia medievale, l'austriaco [[w:Alfons Dopsch|Alfons Dopsch]] ed il belga [[w:Henri Pirenne|Henri Pirenne]], e rispettivi discepoli nonché seguaci.<ref>A. Dopsch, Wirtschaftliche u. soziale Grundlagen d. europ. Kulturentwicklung'', I-II, Vienna, 1923-24<sup>2</sup>; ''Natural- und Geldwirtschaft in der Weltgeschichte'', Vienna, 1930 (partic. Capp. VI-VII). Cfr. anche H. Pirenne, ''Mahomet et Charlemagne'', Parigi-Bruxelles, 1937; "Un contraste économique Mérovingiens et Carolingiens", ''RBPH'', 1923, pp. 223-35; ''Histoire écon. et soc. du Moyen Age'', Parigi, 1963.</ref> Si concentrano più che sulle divergenze di natura teorica e fattiva,<ref>Cfr. le critiche di Dopsch, come da nota 38.</ref> sul punto di convergenza:<ref>In questo senso cfr. l'articolo di R.S. Lopez in ''The Pirenne Thesis, Analysis, Criticism and Revision'', Boston, 1958.</ref> secondo entrambi, le migrazioni barbariche avevano provocato discontinuità nell'economia e cultura del mondo occidentale; e come conseguenza, entrambi stavano "ritardando" la fine del mondo antico oltre i limiti cronologici tradizionali, fino all'età di [[w:Carlo Magno|Carlomagno]], o almeno fino alle invasioni arabe (Pirenne). Con la massima consequenzialità, Dopsch sosteneva che nel complesso uno non dovesse parlare di una qualche frattura reale nell'evoluzione culturale ed economica dell'Europa antica, dall'età di Cesare a quella di Carlomagno (''"Keine Kulturzäsur und keine Katastrophe"'').<ref>Dopsch, ''Wirtschaftl. u. soz. Grundl.'', I, pp. 330 segg.; 412-413.</ref> I germanici, loro stessi custodi di una cultura antica, confrontandosi con la tarda cultura romana furono non meno ricettivi e docili di quanto i romani non fossero stati una volta nei confronti di quella ellenistica. Avvenne una sostanziale ridistribuzione di terre, ma le relazioni giuridiche di proprietà non cambiarono di molto; la vita continuò nelle città, che rimasero comunque i centri delle attività commerciali ed artigiane nonché centri amministrativi; non ci fu un ritorno all'economia naturale,<ref>Dopsch, ''ibid.'', II, ''passim''.</ref> né ci fu un'interruzione delle grandi rotte commerciali; né cessò la diffusione delle idee (del patrimonio culturale). Continuità e non "catastrofe": "Pertanto, questo periodo che va dal V all'VIII secolo prende forma come l'elemento vero ed organico del collegamento tra Tarda Antichità ed età carolingia". Anche per Pirenne, che seguiva più da vicino i passi di Fustel de Coulanges, le invasioni germaniche non avevano dissolto l'antica struttura sociale greco-romana; non apparvero, nonostante gli sconvolgimenti politici, nuovi principi nel campo economico, o in quello sociale o culturale; al contrario, la frattura della tradizione antica avvenne a causa dell'improvviso ed inatteso assalto furioso degli arabi. La conseguenza fu la fine dell'unità mediterranea e la separazione tra Este e Ovest.
 
 
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