Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Possibili immagini: differenze tra le versioni

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Pertanto, le immagini di Gesù di cui tratterò qui non hanno alcuna funzione polemica esplicita o finanche implicita. Non si concentrano nemmeno sulle icone standard di pietà e affermazione di appartenenza al corpo della chiesa e allo stato. Piuttosto, danno quelle immagini per scontate e poi, per ragioni che spiegherò, le fanno apparire in modi che sembrerebbero altrimenti impossibili da concepire senza una lente di angosciata esperienza ebraica o una precedente mentalità ebraica di dolore e solitudine. Sono immagini distorte in superficie dalle maschere dei narratori o dei personaggi immaginari che sono costretti a parlarle o rappresentarle in circostanze che contrassegnano queste persone come limitate nella loro comprensione, comiche nel loro fallimento ad interagire adeguatamente con le figure nobili e fedeli intorno a loro, e satiriche nel loro vociferare eresie condannate e peccaminose. Tuttavia, al di là di queste superficialità per accontentare il pubblico e gli ufficiali censori del governo, c'è un'altra dimensione della formazione ebraica all'opera in tali immaginazioni di Gesù come bambino maltrattato e ferito, come cadavere in decomposizione e puzzolente, e come pretendente inaffidabile all'azione miracolosa e al conforto morale. Niente di tutto ciò può essere provato con certezza.<ref>In altri miei studi ho aggiunto molte altre dimensioni a questi testi. Ho suggerito che, a causa della loro posizione illegale e anomala nella società cristiana, gli ebrei segreti e i quasi-ebrei erano più sensibili e talvolta capaci di discernere secondo la logica talmudica le origini mitiche e le reliquie folcloristiche dell'Europa precristiana. Il loro profondo malcontento e il loro senso di deracinazione inoltre fornì loro intuizioni – non sempre consapevolmente, ovviamente – sui misteri psicologici e onirici delle loro paure, ansie e desideri.</ref> Non ci sono documenti a cui rivolgersi. Non ci sono esempi di conferma al di fuori dei testi stessi. Tutto qui funziona per indirezione, implicazione ed effetto.
 
Naturalmente, se stessimo vivendo in un mondo rigorosamente razionale e ben fondato, 3 non c'è verso in cui Gesù sarebbe dovuto o avrebbe potuto apparire negli scritti rabbinici del periodo medievale in Europa — a parte come un personaggio obliquo nelle polemiche intese a preparare la comunità ebraica per i confronti nei grandi dibattiti talmudici in Francia e in Iberia o come figura bizzarra, ridicola e minacciosa nella letteratura più secolare o di intrattenimento. La verità è che — come ho scoperto nel corso di tre decenni, mentre scrivevo di [[w:Geoffrey Chaucer|Geoffrey Chaucer]] e del [[:en:w:Gawain Poet|Gawain Poet]], entrambi i quali potevano avere origini ebraiche una o due generazioni prima del loro tempo, e che a volte nei loro testi letterari si confrontarono direttamente con il questione del loro rapporto con il Dio dei Gentili — c'erano temi e immagini sviluppati nella tradizione ebraica per affrontare la presenza dominante e pervasiva di narrazioni e iconografie cristiane.
 
In effetti, nonostante i nostri moderni timori liberali, troviamo una gamma limitata di riferimenti specifici negli scritti rabbinici – ''[[w:piyyut|piyyutim]]'', narrazioni martirologiche e discussioni esegetiche – all'adorazione cristiana di Cristo in termini repulsivi come "il figlio bastardo crocifisso", "il morto", "la melma verde" e "il cadavere putrido",<ref>Goldin, ''The Ways of Jewish Martyrdom'', 122.</ref> o talvolta il "figlio bastardo del sanguinolento".<ref>Goldin, ''The Ways of Jewish Martyrdom'', 114.</ref> Una chiesa, per tali persone così afflitte e irate, era "la tomba del loro idolo" o "un edificio di idolatria",<ref>Goldin, ''The Ways of Jewish Martyrdom'', 143.</ref> e l'acqua del battesimo era "la loro acqua malvagia", ma soprattutto era il crocifisso che era "l'abominio",<ref>Goldin, ''The Ways of Jewish Martyrdom'', 190.</ref> "l'immagine di gelosia", o anche solo ''semel ha-qin’ah'', "la lordura",<ref>In un poema del XIV secolo di Peretz Yehiel citato da Susan L. Einbinder, ''No Place of Rest: Jewish Literature, Expulsion, and the Memory of France'' (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2009), 149.</ref> che gridavano con disgusto e odio.<ref>Goldin, ''The Ways of Jewish Martyrdom'', 114-15.</ref> Un linguaggio così sorprendentemente grottesco indica che l'intero mito del salvatore morente e risorto era, per il pensiero e il gusto ebraico, spesso più di un'assurdità teologica: era un orribile, macabra minaccia al loro stesso essere.
 
Tuttavia, a parte i rifiuti teologici, insieme al disprezzo polemico, sarebbe stato pressoché impossibile per le comunità ebraiche vivere in stretta vicinanza, per quanto venata di minacce e pericoli, senza essere influenzate in altri modi. Perché proprio come il mito cristiano e il culto cattolico romano permearono la cultura europea del gruppo maggioritario per quasi millecinquecento anni, abbracciando virtualmente ogni aspetto della vita culturale, sociale, pubblica, domestica e intima, al punto che era inconcepibile pensare o sentire al di fuori di tale influenza, per non parlare poi di articolare altri pensieri e sentimenti – ci sono poche possibilità che gli ebrei, almeno al di là delle loro dichiarazioni autocoscienti di fede e pratica – possano essere sfuggiti del tutto a questo fenomeno.
 
Per la maggior parte, fino alla formazione di ghetti chiusi e di [[w:Zona di residenza|insediamenti restrittivi]], gli ebrei non erano ermeticamente isolati dalla società cristiana. In molti modi – grazie a rapporti commerciali e negoziati politici, insieme a gusti estetici e culturali condivisi – gli ebrei interagivano con i loro vicini [[w:Goy (ebraismo)|''goy'' (ebr. גוי; plur. גוים ''goyim'' – "gentili")]]. Quando possibile (e talvolta quando chiaramente impossibile), gli uomini e le donne ebrei cercavano di vestirsi come i loro vicini, di giocare e impegnarsi socialmente con questi ''altri'', a volte fino al punto di alleanze sessuali e matrimoni se non concubinati, di imitare la loro architettura e mobili e di adorare in stili simili e con gesti, musica e intenzioni analoghi. Nella misura in cui la figura di Gesù, così come sua madre, i discepoli, i santi seguaci e gli imitatori sacerdotali, permearono tutti questi aspetti della vita europea, l'iconografia di Cristo penetrò nell'incoscio ebraico e venne talvolta in parte riconosciuta e accolta, sebbene con parole e segnali cautelativi occasionali.
 
 
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