Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Gesù ebreo e greco: differenze tra le versioni

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Lenowitz ha classificato Gesù come un leader anti-romano e un profeta all'interno di un contesto ebraico, e non come il Messia cristiano, ma uno dei tanti messia ebrei nel corso della storia. Lenowitz nota:
{{q|I programmi sociali dei profeti settentrionali dall'VIII secolo p.e.v. in poi avevano stabilito che la condotta dei ricchi e dei potenti recava loro disastri e che la condotta dei poveri e degli impotenti assicurava la loro rettitudine. Gesù andò oltre. Insistette sul fatto che non si poteva essere potenti o ricchi ed essere giusti, né si poteva essere impotenti e poveri ed essere ingiusti. Una persona giudicata colpevole di un crimine da un tribunale esso stesso criminale, era innocente; i poveri erano impoveriti da una struttura sociale che li espropriava. Gesù fu inoltre diverso dagli altri messia nel suo apparente disinteresse per lo sviluppo di un programma che potesse ottenere potere contro le autorità politiche malvagie (cioè Roma) o governare sul suo regno quando tale regno fosse giunto. In effetti, il suo desiderio di essere messo a morte a Gerusalemme, di per sé unico tra i messia ebrei, mette insieme proprio queste due sue peculiarità. Sembrerebbe che Gesù si aspettasse tradimento e disastro e cercasse di sfruttare l'aspettativa, se non addirittura di realizzarla.<ref>Lenowitz, ''The Jewish Messiahs'', 35.</ref>}}
Lenowitz descrive inoltre Gesù non come un re, ma come un profeta, a cui si oppongono i circoli rabbinici dei Farisei. Aggiunge: "Per alcuni ebrei, egli (Gesù) è diventato il vero messia proprio perché non guida una forza militare contro Roma nei suoi tentativi di stabilire il Regno di Dio. Dopo la sua morte per mano dei romani, continua a compiere atti – miracoli, in particolare guarigioni miracolose – che erano l'elemento centrale della sua vita come messia".<ref>''Ibid.'', 33.</ref> Lenowitz include polemicamente Gesù come taumaturgo anche prima della sua risurrezione in un contesto ebraico — mentre invece la maggior parte degli ebrei non vede il Gesù ebreo come un operatore di miracoli, né la sua risurrezione come parte del Gesù ebreo, ma un'immagine cristiana ricreata. Lenowitz afferma che dopo l'esecuzione di Gesù da parte dei romani, i miracoli che egli compì testimoniarono il fatto che non era morto, ancor prima della risurrezione o della seconda venuta — anche questo un allontanamento dalla prospettiva ebraica convenzionale.
 
Mentre gli ebrei contemporanei considerano Gesù come un uomo ebreo con un programma poco chiaro, parte della sua immagine ebraica fu come un rivoluzionario contro i romani e come una figura messianica autoeletta con un seguito piccolo ma fervente. Yehuda Adler nota che mentre Gesù era mezzo nudo, miserabile e sofferente in croce, fornì compassione alle donne sterili che nei giorni successivi sarebbero state lodate durante la grande ribellione contro Roma. Adler nota anche che in precedenza Gesù aveva detto ai suoi seguaci: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa" ({{passo biblico2|Matteo|10:34-36}}). Dice Adler: "In quei momenti drammatici, nella sua ultima camminata, Gesù già non nascose la sua chiara intenzione di organizzare una miracolosa ribellione contro l'Impero Romano, nella sua profonda convinzione in tutti i giorni della sua vita, di essere il tanto agognato messia, che redimeva il popolo ebraico dalla cattività romana".<ref>Adler, ''Jesus—Jew and Rebel'', 12.</ref>