Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Storie di Gesù: differenze tra le versioni

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== Gesù Divino nei Vangeli (60-120 e.v.) ==
A giudicare dalle loro composizioni, gli scrittori evangelici ritenevano che il loro presupposto pubblico richiedesse un'educazione non solo sui tipi di storie "Cristo e lui crocifisso", ma anche sulle storie "Gesù-Dio".
 
Gli scrittori del Vangelo, tuttavia, nutrivano ulteriori preoccupazioni oltre alle possibili implicazioni binitarie delle storie di Gesù.<ref>Si veda, Jeffrey S. Siker, "Abraham, Paul and the Politics of Christian Identity", ''Jewish Studies Quarterly'' 16 (2009): 61-62.</ref> Nutrite da concettualizzazioni della divinità modellate in brodo ellenistico, le loro comprensioni individuali di Dio e della natura di Gesù erano più complicate di quelle ebraiche o pagane. Dovettero confrontarsi con le nozioni ellenistiche che stavano guadagnando popolarità nel primo e nel secondo secolo per cui, indipendentemente dai loro nomi, tutti gli dei erano reali e interessati in un modo o nell'altro a tutte le persone; e per di più, i nomi locali erano semplicemente etichette per le stesse divinità conosciute.<ref>Arthur D. Nock, ''Early Gentile Christianity and Its Hellenistic Background'' (New York: Harper & Row, 1964), 8-11.</ref> Gli scrittori evangelici erano preoccupati che la fatticità di eventi particolari venisse riconosciuta e che l'unicità di Gesù, che non doveva essere sciolta nel detto brodo, fosse riconosciuta dai lettori delle loro raccolte di storie redatte.
 
Da un lato, dovevano esprimere le loro nuove idee rimodellando concezioni dal loro passato precristiano e, dall'altro, dovevano rispondere ad obiezioni riguardanti le loro affermazioni che potevano provenire da pagani ed ebrei. Per fare ciò dovevano presentare le loro tesi, ignorare o confutare idee discutibili e rimodellare le altre aggiungendole al complesso di storie di Gesù. Gli scrittori evangelici non erano teologi filosofici, ma narratori retorici. I retori hanno obiettivi. Gli scrittori del Vangelo devono essere immaginati come insegnanti autoproclamatisi e motivati dall'insoddisfazione per alcuni stati di cose, che scrivevano con lo specifico intento che la loro edizione delle storie di Gesù risolvesse tali cose e impedisse agli altri di pensare in modo improprio.
 
I paragrafi seguenti spiegano come e perché ciascuno preprogrammò i suoi lettori ad interpretare le storie di Gesù-Dio in un modo particolare. Le loro diverse strategie interpretative spostarono le storie oltre le esplicite affermazioni di Paolo su di esse.
 
La prima frase di Marco informa i lettori che Gesù era diverso da tutte le persone: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio." ({{passo biblico|Marco|1:1}}). Marco, tuttavia, non espone il significato della sua dichiarazione perché intendeva che il suo Vangelo fosse un mistero sulla natura di Gesù.
 
Dopo la frase timpanica introduttiva, Marco narra che Gesù adulto venne dalla Galilea e fu battezzato da Giovanni, e che quando emerse dall'acqua "si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto»." Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni, venendo invano tentato da Satana. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea a predicare ({{passo biblico2|Marco|1:11-14}}).
 
{{passo biblico|Marco|1:10}} rivela che qualcosa di unico accadde a Gesù al suo battesimo, ma lascia poco chiari i dettagli della discesa dello Spirito simile a una colomba. L'espressione divina è riconoscibile come formula di adozione standard sulla base del suo uso nella Bibbia ebraica e in Mesopotamia. Il significato della formula è che in quel momento della loro pronuncia, le parole "tu sei ''mio'' figlio" hanno cambiato lo ''status'' di Gesù. Ma, poiché il Vangelo non è né un documento ebraico dell'Israele preesilio né un prodotto dell'Antico Vicino Oriente, ma dell'Israele nella tarda antichità e nel Vicino Oriente greco-romano, la frase non deve essere interpretata come una formula di adozione. L'espressione completa potrebbe non significare altro che Gesù era Suo "figlio" anche prima del battesimo, e che ciò che piaceva a Colui la cui voce fu udita era che Gesù aveva finalmente intrapreso il suo viaggio predestinato sottoponendosi al battesimo. Marco ha lasciato la questione irrisolta.
 
Come conseguenza della sua esperienza battesimale, Gesù, ora ispirato in modo permanente, fu improvvisamente dotato della consapevolezza di chi egli fosse veramente e di come era stata pianificata la sua vita. Il breve accenno allo spirito che imponeva le sue attività segnalò al pubblico di Marco che tutto ciò che seguì nella sua storia era significativo e meritava un'attenzione particolare: le parole di Gesù, il suo comportamento e le sue azioni. Ma, nel quadro di Marco, l'autocomprensione di Gesù era il suo proprio segreto privato. Solo l'evangelista, Gesù e i lettori conoscevano tale segreto – altrimenti questi non avrebbero letto la storia – ma nessun altro nel mondo della narrazione stessa ne era a conoscenza.
 
Marco informa i suoi lettori che durante tutta la sua carriera, anche se Gesù fece e disse cose che avrebbero dovuto consentire ai suoi discepoli di discernere chi fosse, essi ebbero difficoltà a farlo. Dopo aver rimproverato il vento impetuoso, Gesù chiese ai suoi discepoli: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?" Tutto quello che riuscirono a balbettare tra di loro fu "Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?" ({{passo biblico2|Marco|4:41}} e cfr. {{passo biblico|Marco|6:49}}). In {{passo biblico|Marco|8:29}}, Pietro finalmente lo capisce e dichiara alla presenza dei discepoli: "Tu sei il Messia"; Gesù riconosce la correttezza di questa deduzione ordinando ai discepoli di non dirlo agli altri. Da nessuna parte Gesù spiega loro cosa significasse la designazione "Messia" nel suo caso particolare.