Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Storie di Gesù: differenze tra le versioni
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In origine, le persone recitavano queste benedizioni a casa, come parte di un'estesa liturgia privata.<ref>Dalia Marx, "The Morning Ritual in the Talmud: The Reconstitution of One’s Body and Personal Identity through the Blessings", ''HUCA'' 77 (2006): 103-29.</ref> Quando si svegliavano al canto del gallo, recitavano la prima benedizione. Quindi, secondo una ''[[w:Baraita|baraita]]'' – insegnamento [[w:Tannaim|tannaitico]] non trovato nella [[w:Mishnah|Mishnah]] ma citato nella [[w:Ghemara|Gemara]] – nel trattato [[w:Berakhot (Talmud)|Berachot]] 60b, le benedizioni venivano recitate mentre aprivano gli occhi, si vestivano, si alzavano dal letto, si mettevano in piedi sul pavimento, si mettevano i sandali, facevano il primo passo, si allacciavano il loro indumento esterno con una cintura, indossavano un copricapo e via dicendo.<ref>L'ordine delle benedizioni in b. Ber 60b differisce dal succitato che è comune nei libri di preghiera contemporanei e manca dei vv. 2-4. Non se ne può fare questione troppo lunga, perché molto nell'ordine fisso della liturgia contemporanea deve la sua origine alla stampa.</ref> Mediante queste benedizioni, gli atti quotidiani diventavano preghiere coreografate. Proclamavano una teologia pratica di presenza attiva, di imminenza e coinvolgimento divino.
Composto originariamente in circoli [[w:Farisei|farisaici]] tra la fine del II e il I secolo p.e.v., la loro articolazione esistente è dovuta ai [[w:Tannaim|Tannaim]], insegnanti rabbinici del I e del II secolo e.v. La loro inclusione nella liturgia formale del servizio mattutino della sinagoga, tuttavia, non è databile prima del periodo medievale, c. 500 e.v.
Le invocazioni 2, 3 e 4 non riflettono preoccupazioni basate sulla Bibbia e quindi l'assenza di un passaggio rilevante non sorprende. Tramite loro, il singolo ebreo esprime orgoglio per la sua identità di individuo e per il suo ''status'' sociale. Sia la loro formulazione che la loro giustificazione sono discusse dai saggi che le hanno ereditate come tali e furono quindi costretti a giustificare la loro presenza nella liturgia (j. Ber 9:2; b. Menach 43b-44a).15 Esse riflettono preoccupazioni e atteggiamenti tipici dei valori ellenistici e romani levantini, ma sono spiegate in fonti apologetiche come espressioni di ringraziamento per essere stato reso Israelita maschio libero e obbligato a soddisfare il numero massimo di comandamenti divini (b. Menach 43b; tos Ber 6:18).<ref>Nel difendere la formulazione della benedizione riferita alle donne, Rabbi Judah sottolinea che le donne non sono obbligate a rispettare tanti comandamenti quanti ne devono rispettare gli uomini (tos Ber 6:18).<br/>B. Menach 43b menziona altre formulazioni di queste benedizioni usate durante il periodo tannaitico: Che mi ha reso Israelita (usata nel rituale sefardita); Che non mi ha fatto donna; Che non mi ha reso un cafone. (L'ultima formulazione si trova anche in j. Berach 9:2). Tos. Ber 6:18, cita Rabbi Judah che tenta di sostenere le dichiarazioni facendo riferimento a passaggi per due delle formulazioni alternative: 1) Isaia 40:17, "tutti i gentili non sono niente davanti a Lui", (e implicitamente, chi vorrebbe mai nascere gentile?); 2) M. Avot 2:5 presenta l'aforisma "un cafone non teme il peccato", sottintendendo che nessuno vorrebbe nascere cafone.</ref> Indirettamente, attestano una credenza nella determinazione divina dell'etnia, del sesso e dello stato sociale di un individuo prima della nascita.
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