Ebraicità del Cristo incarnato/Conclusione 4: differenze tra le versioni

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Questo Capitolo dimostra il modo in cui due scrittori ebrei alessandrini del I secolo, vale a dire l'autore del ''Libro della Sapienza'' e Filone di Alessandria, trasformarono la rappresentazione dei generi di ''Sofia'' in modo che potesse incarnare più efficacemente la presenza del Dio maschio di Israele nel mondo femminile di materialità che Dio aveva creato. Sebbene le loro strategie siano diverse, con il primo che posiziona ''Sofia'' nel mezzo del continuum dei genere e il secondo che la mascolinizza completamente, l'effetto netto è lo stesso: entrambi evitano le sfide che il suo precedente genere rappresentava, almeno nella tradizione dell'antica Israele, e la presentano così come un efficace emissario, anzi persino incarnazione, del Dio di Israele nel mondo creato. Tuttavia, come ho accennato nell'introduzione di questo Capitolo, poiché vediamo questo fenomeno accadere anche negli scrittori ebrei contemporanei, come l'autore del Vangelo di Giovanni, questi nuovi ritratti di genere non sembrano essere isolati ad Alessandria, in Egitto, ma operativi anche in altre aree della diaspora ebraica.<ref>È importante notare, tuttavia, come descriverò nel Capitolo successivo che, sebbene l'autore del Vangelo di Giovanni impieghi le immagini di ''Sofia'', in particolare nel prologo, egli non usa esplicitamente questa parola, ma preferisce usare invece ''logos''.</ref> Ciò che unisce questi autori, quindi, è che essi illuminano come alcuni ebrei che scrissero verso la fine del I secolo e.v. pensavano che una parte femminile del Dio increato potesse entrare nella corporeità creata in forma maschile (sia all'interno delle anime di specifici uomini virtuosi sia nella persona specifica di Gesù di Nazaret). Inoltre, tali esempi dimostrano come il genere e le norme di genere siano state prese in considerazione nelle prime interpretazioni ebraiche di come Dio potesse assumere una forma corporea. Queste idee e analisi dei generi in relazione alla corporeità divina sono cruciali, più in generale, per la nostra comprensione di come gli antichi ebrei vedevano il concetto stesso di incarnazione divina. Vale a dire, essi sottolineano il modo in cui gli antichi ebrei immaginavano un Dio maschile.
 
Nel capitolo seguente, mi dedico ad esplorare come altri scrittori ebrei dello stesso periodo pensavano che anche un'altra parte del Dio increato, vale a dire il ''Logos'', potesse entrare nella corporeità creata. Come ''Sofia'', anche il ''Logos'' fu talvolta concepito come una componente essenziale dell'identità stessa del Dio di Israele, e altre volte come incorporato nelle prime tradizioni ebraiche (e poi cristiane). Mentre questo capitolo si è incentrato sulla questione di come gli scrittori ebrei utilizzassero le norme di genere mentre pensavano a come un aspetto di Dio potesse prendere forma corporea, nel prossimo mi concentro più esplicitamente sugli studi relativi alla rappresentazione del ''Logos'' nel Vangelo di Giovanni. Concludo dimostrando come l'articolazione dell'incarnazione divina nel Vangelo di Giovanni sia in continuità con queste altre forme di corporeità divina e ne sia però anche distintiva, poiché rappresenta l'unica istanza di un'entità che fa contemporaneamente parte del Dio increato e del mondo creato.
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