Riflessioni su Yeshua l'Ebreo/Cabala: differenze tra le versioni

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Own Interpretation of Isaiah'' (Londra: SPCK, 1984).</ref> orali – da indicare che era analfabeta?
 
Sebbene la Kabbalah possa davvero essere usata con un significato restrittivo, il suo orientamento di fondo non è altro che l'approccio deldella ''[[w:merkavah|merkavah]]'' di Dio, il trono del carro celeste da cui emanava la potenza e la sapienza divine per l'ordinamento di tutta la creazione. La concezione di tale ''merkabah'' è molto più antica, profondamente radicata nella teologia di Israele, rispetto allo sviluppo delle tecniche cabalistiche durante il Medioevo. In effetti, l'ascesa al trono divino è più antica di Israele stesso.
 
Dalla Mesopotamia, dal ventitreesimo secolo [[w:e.v.|p.e.v.]] e al XV secolo e.v., si raccontano storie di re e cortigiani che entrano nel palazzo dei cieli e vi ricevono visioni e potenze.<ref>Si vedano Bernhard Lang, "Die grosse Jenseitsfahrt", ''Paragana'' 7.2 (1998): 24-42, 32.; Stephanie Dally, ''Myths from Mesopotamia'' (Oxford: 1989), 182-87; James D. Tabor, "Heaven, Ascent to", ''Anchor Bible Dictionary'', curr. David Noel Freedman, Gary A. Herion, David F. Graf, John David Pleins e Astrid B. Beck (New York: Doubleday, 1992), 391-94.</ref> Israele imparò queste tradizioni regali da Babilonia e le convertì in autorizzazione profetica, specialmente durante il periodo di [[w:Ezechiele|Ezechiele]] (nel VI secolo p.e.v.). Lo stesso Ezechiele riferì la sua visione classica del trono di Dio come un carro, ununa ''merkavah'' (ebr. מרכבה), e ciò che di solito viene chiamato "misticismo merkavah" deriva dalla sua visione (in {{passo biblico2|Ezechiele|1}}). Dopo Ezechiele, il [[w:Libro di Daniele|Libro di Daniele]] (capitolo 7) descrisse ulteriormente questa visione (durante il II secolo p.e.v.). E al tempo di Gesù, il [[w:Libro di Enoch|Libro di Enoch]], trovato in [[w:Manoscritti del Mar Morto|frammenti]] in aramaico a [[w:Qumran|Qumran]], aveva portato avanti questa tradizione.<ref>La tradizione su cui si basa il libro chiaramente emerse prima del Libro di Daniele, ma Enoch continuò ad espandersi per secoli; cfr. Matthew Black, ''The Book of Enoch or I Enoch'', vol. 7 di ''Studia in Veteris Testamenti Pseudepigraphia'' (Leiden: Brill, 1985); Michael Langlois, ''Le premier manuscit du livre d’Hénoch. Étude épigraphique et philologique des fragments araméens de 4Q201 à Qumrân'' (Parigi: Cerf, 2008).</ref>
 
Il [[w:Genesi|Libro della Genesi]] dice di Enoch solo che "egli camminò con Dio, e più non fu" (Genesi 5:22). Questa scomparsa è considerata come un segno del fatto che Enoch godette di una visione avendo asceso ai molteplici cieli sopra la terra, e fu autorizzato a raccontare la sua sapienza ad Israele, anzi ad agire da intermediario con gli angeli che avevano disobbedito a Dio. Da Ezechiele, attraverso Daniele ed Enoch, fino a Giovanni e Gesù, c'è una tradizione crescente, una kabbalah (קַבָּלָה‎, qualcosa di "ricevuto"),<ref>In una fase molto più tarda, questa tradizione mistica fu formalizzata nella complessità accademica della Cabala medievale, che era un movimento erudito e intellettuale.</ref> che riflette un profondo impegno nella pratica disciplinata della visione del trono di Dio. I frammenti di Enoch a Qumran si trovano in aramaico, il che suggerisce che il libro fu usato non solo dagli [[w:Esseni|Esseni]] (che tendevano a proteggere i loro documenti settari in ebraico), ma da un pubblico più ampio, che includeva gli Esseni.<ref>Per un'introduzione e traduzione, si veda E. Isaac, "1 Enoch", ''The Old Testament Pseudepigrapha'', cur. J. H. Charlesworth (Garden City: Doubleday, 1983), 1.5-89.</ref> In effetti, il Libro di Enoch è anche citato in una fase successiva nel Nuovo Testamento, cosicché non vi siono dubbi sul suo uso largamente diffuso. Anche un'altra opera trovata in ebraico a Qumran e ampiamente attestata altrove, il [[w:Libro dei Giubilei|Libro dei Giubilei]], presenta Enoch come una figura di rivelazione: egli stesso conosce la Torah in seguito rivelata a Mosè mediante comunicazione angelica.
 
Lo sviluppo di queste tradizioni non è ovviamente indipendente: esiste un costruire e prendere in prestito l'una dall'altra. L'ascesa al trono divino fu un'aspirazione che fu "ricevuta" o "presa", una fonte dalle altre. "Ricevere" o "prendere" sia in aramaico che in ebraico è espresso dal verbo ''qabal'', da cui deriva il sostantivo ''qabbalah'', e il nome è usato sia nella [[w:Mishnah|Mishnah]] che nel [[w:Talmud|Talmud]] per riferirsi alla tradizione antica, inclusi i Profeti e il Scritti all'interno della Bibbia di Israele (distinti dalla Torah).<ref>Si veda l'articolo allegato a Scholem, ''Encyclopedia Judaica'' (Gerusalemme: Keter, 1972), 653-54, in cui Cecil Roth asserisce, rispetto al saggio di Scholem (citato come "voce precedente"), "Oggi il termine Kabbalah è usato ad indicare la dottrina mistica ed esoterica dell'ebraismo (si veda la voce precedente). La connotazion e mistica è sconosciuta nel Talmud.”</ref> Ora ciò che è ''qabal''izzato potrebbe essere qualsiasi tipo di tradizione autorevole, ma è la tradizione riguardante illa ''merkavah'' che è qui la nostra preoccupazione. Quando Paolo desidera sottolineare quell'autorità del suo insegnamento riguardo all'[[w:Eucaristia|Eucaristia]], dice: "Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso", e continua a parlare sia dell'ultima cena di Gesù coi suoi seguaci sia del suo significato e corretta osservanza ({{passo biblico2|1Corinzi|11:23-33}}). Le fonti dell'autorità di Paolo includono ciò che ha appreso dai cristiani primitivi (in particolare Pietro, vedi {{passo biblico2|Galati|1:18}}), ma soprattutto quello che chiama ''apokálypsis'' (ἀποκάλυψις), la rivelazione, di Cristo Gesù ({{passo biblico2|Galati|1:12}}): "Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo". Tale rivelazione avvenne in un regno soprannaturale, il terzo cielo, il paradiso in cui Paolo in un'altra occasione afferma di essere stato rapito, dove egli udì sapienza indicibile ({{passo biblico2|2Corinzi|12:1-4}}).<ref>Si veda Victor Paul Furnish, ''II Corinthians, translated with introduction, notes, and commentary''. The Anchor Bible (Garden City: Doubleday, 1984), 542-45.</ref>
 
Tale linguaggio non è semplicemente formale o retorico; è anche una questione di pratica spirituale ed esperienza personale. Paolo attesta, nel momento generativo della sua identità di apostolo e dopo, che la visione del trono divino a cui era stato elevato Gesù risorto si trovava al centro della sua stessa coscienza. Non c'è traccia qui della famosa tendenza di Paolo verso l'argomentazione: la pratica dell'ascesa è semplicemente data per scontata tra coloro che per primi hanno ascoltato le sue lettere. La certezza di Paolo che questa ascesa era un aspetto evidente della sua autorevolezza ci invita a guardare indietro, a cercare tracce della potenza deldella ''merkavah'' nell'esperienza di Gesù. Quelle tracce sono forse più evidenti nel [[w:battesimo di Gesù|battesimo di Gesù]] e in ciò che quel ricevere lo spirito santo ha prodotto in lui. Questo ci riporta all'associazione di Gesù con Giovanni chiamato "battista" (Ἰωάννης ὁ '''βαπτίζων''', dal verbo ''baptizomai'', che significa "immergere").
 
Molte persone vennero da Giovanni per questa immersione, molto spesso lungo la strada verso il Tempio lungo il ben consolidato sentiero di pellegrinaggio che seguiva la Valle del Giordano. Una volta arrivati ​​alla base del monte del Tempio nella stessa Gerusalemme, i pellegrini venivano confrontati da una serie sconcertante di diversi tipi di purificazione – secondo vari livelli di spesa – e ogni pellegrino doveva trovare un passaggio fino alla tripla porta. Ma ancor prima d'arrivare lì, i pellegrini entusiasti volevano riconoscersi come parte di Israele, il popolo di Dio. Un'immersione come quella eseguita da Giovanni forniva loro un senso di fiducia e integrità. Dagli scritti di Flavio Giuseppe, sappiamo che Giovanni non era l'unica figura del genere; Flavio Giuseppe fa riferimento al suo studiare con un altro ''battista'', chiamato Banno.<ref>Si veda Flavio Giuseppe, ''Vita'' 11. Per una discussione di Giovanni, Banno, ed i loro metodi di purificazione in relazione a Gesù, si vedano [[w:Bruce Chilton|Bruce Chilton]], ''Jesus’ Baptism and Jesus’ Healing. His Personal Practice of Spirituality'' (Trinity Press International, 1998); "Yochanan the Purifier and His Immersion", ''Toronto Journal of Theology'' 14.2 (1998): 197-212; "John the Purifier: his Immersion and his Death", ''Teologiese Studies'' 57.1-2 (2001) 247-67; "John the Baptist: His Immersion and his Death", ''Dimensions of Baptism. Biblical and Theological Studies, Journal for the Study of the New Testament Supplement Series 234'', curr. Stanley E. Porter e Anthony R. Cross, (Sheffield: Sheffield Academic Press, 2002), 25-44.</ref> Il ''[[w:mikveh|miqveh]]'' (vasca di immersione rituale) locale dei pellegrini poteva non corrispondere ai requisiti farisaici, e sarebbe stato molto meno lussuoso di quelli dei Sadducei, e meno elaborato di quelli degli Esseni. Ma Giovanni offriva loro la purificazione nell'acqua di Dio raccolta da fonti naturali ("[[w:acqua corrente|acque vive]]") e la certezza che questa era la scienza della vera purezza di Israele. In tal modo, quello che avrebbero affrontato a Gerusalemme sarebbe stato meno scoraggiante; le affermazioni e le contro-affermazioni di varie fazioni sarebbero state messe in prospettiva dalla fiducia che uno si era già purificato nelle acque vive di Dio.
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Tuttavia, per i ''talmidim'' di Giovanni, questa immersione continua – così come quella degli altri – era più che una semplice questione di pentimento. All'interno di quell'attività c'era anche un significato esoterico. Giovanni trasmise una chiara comprensione del significato finale offerto a Israele dalla sua purificazione. Le fonti sono chiare: per Giovanni, l'immersione portava al punto che si poteva capire cosa Dio stesse per fare con Israele. Come lo stesso Giovanni espresse, immergersi nell'acqua preparava uno a ricevere lo Spirito di Dio stesso, che doveva permeare tutto Israele con la Sua santificazione. La chiave della preparazione di Giovanni nei confronti di Dio stesso sta nella formulazione che gli è stata attribuita: "Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo" ({{passo biblico2|Marco|1:8}}; cfr. {{passo biblico2|Matteo|3:11}}; {{passo biblico2|Luca|3:16}}).
 
Nel contesto del cristianesimo dopo la risurrezione, tali parole sono adempiute da ciò che Gesù risorto conferisce al credente; ma a quel punto ciò presuppone l'identificazione di Gesù con Dio, perché solo Dio stesso può dare del Suo proprio spirito. Nel contesto di Giovanni il Battista, tuttavia, ciò che è in discussione è la purificazione che prepara la via allo spirito divino. Il legame tra la purificazione con l'acqua e la presenza rivendicante dello spirito di Dio è esplicitamente stabilito nel libro di Ezechiele, lo stesso libro che è il ''locus classicus'' deldella ''merkavah'' ({{passo biblico2|Ezechiele|36:22-27}}):
{{q|Perciò, di’ alla casa d’Israele: Così parla il Signore, Dio: "Io agisco così, non a causa di voi, o casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni dove siete andati. Io santificherò il mio gran nome che è stato profanato fra le nazioni, in mezzo alle quali voi lo avete profanato; e le nazioni conosceranno che io sono il Signore”, dice il Signore, Dio, “quando io mi santificherò in voi, sotto i loro occhi. Io vi farò uscire dalle nazioni, vi radunerò da tutti i paesi e vi ricondurrò nel vostro paese; vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminiate secondo le mie leggi, e osserviate e mettiate in pratica le mie prescrizioni.}}
La stretta e causale connessione tra acqua e spirito ha portato all'intuizione che qui abbiamo un importante precedente scritturale dell'immersione di Giovanni.<ref>Si veda Otto Böcher, "Johannes der Täufer", ''Theologische Realenzyklopädie'' 17 (1988): 172-81. Questa intuizione viene meglio elaborata da Chilton, ''Jesus’ Baptism and Jesus’ Healing''.</ref> Tutto ciò che divideva Israele, che impediva di realizzare la piena promessa dell'Alleanza, doveva essere spazzato via dalla potenza dello spirito. A coloro che venivano invitati a pentirsi, ai pellegrini di Israele e ai loro compagni, fu detto dell'imminente giudizio che necessariamente comportava la venuta dello spirito di Dio. Dopotutto, lo spirito di Dio proveniva dal suo trono, la fonte di ogni vero giudizio.
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La vivida esperienza di Gesù nella sua pratica dell'immersione di Giovanni, una visione persistente che si verifica molte volte, può essere contrastata con una storia su [[w:Hillel|Hillel]], un contemporaneo più anziano di Gesù. Accettò prontamente un convertito all'ebraismo e insegnò: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia." (cfr. [[w:Shabbat (Talmud)|Shabbat]] 31a).<ref>15. L'arguzia della risposta di Hillel alla richiesta del convertito che gli fosse insegnata la Torah mentre si trovava su un piede solo, si manifesta nella frase successiva: " Va’ e studia!" Cioè, insiste sul fatto che il riassunto non sostituisce il commento. A tal proposito, vedi {{passo biblico2|Matteo|5:17}}.</ref> Gesù adottò un punto di vista simile ({{passo biblico2|Matteo|7:12}}; {{passo biblico2|Luca|6:31}}) che è conosciuto come la [[w:etica della reciprocità|regola d'oro]]. Lo stesso Hillel era tenuto in così tanta stima da essere considerato degno di ricevere lo spirito santo. Tale stima appare tanto più esaltata, quanto stranamente malinconica, quando si tiene presente che i rabbini ritenevano che lo spirito fosse stato "ritirato" dal tempo degli ultimi profeti delle Scritture. Tali motivi sono riuniti in una storia rabbinica:<ref>[[:en:w:Tosefta|Tosefta]] [[:en:w:Sotah (Talmud)|Sotah]] 13:3. Per una discussione, si veda Chilton, ''Profiles of a Rabbi. Synoptic Opportunities in Reading about Jesus, Brown Judaic Studies'' 177 (Atlanta: Scholars Press, 1989), 77-89.</ref>
{{q|Finché vivono i morti, vale a dire Aggeo, Zaccaria e Malachia, gli ultimi profeti, lo spirito santo è cessato da Israele. Purtuttavia, anche così, fecero sentir loro ''[[:en:w:Voice of God|bat qol]]''. Un esempio: i saggi si radunarono nella casa di Guria a Gerico e udirono un ''bat qol'' che diceva: Qui c'è un uomo predestinato allo spirito santo, tranne per il fatto che la sua generazione non è giusta per tale [spirito santo]. E posarono gli occhi su Hillel il Vecchio, e quando egli morì, dissero di lui: Guai all'uomo mansueto, guai, al fedele discepolo di Esdra.}}
Con il ritiro dello spirito fino a quando i profeti rivivranno, il favore di Dio viene reso noto da un'eco angelica, un ''bat qol'' (o ''bat ḳōl'', ebr. בַּת⁠ קוֹל, lett. "figlia di una voce"). Ma il punto forte di questa storia è che, nonostante tutti i meriti di Hillel, lo spirito stesso viene negato. L'approccio di Gesù alalla ''merkavah'' per mezzo della ''kabbalah'' di Giovanni aveva aperto la prospettiva rivoluzionaria che le porte del cielo fossero di nuovo aperte affinché lo spirito discendesse su Israele.
 
Inizialmente, la visione speciale deldella ''merkavah'' da parte di Gesù era una vittoria per Giovanni. Si riferiva persino a Gesù come "l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!" ({{passo biblico2|Giovanni|1:29}}; cfr. anche {{passo biblico|Giovanni|1:33,36}}). Quella frase è attribuita a Giovanni il Battista nel Vangelo di Giovanni, in un passaggio che funge da commentario al significato del battesimo di Gesù. Per i lettori di Giovanni, nel periodo successivo alla distruzione del tempio nel 70 e.v., ciò evocava un'immagine di Gesù come sostituto del sacrificio. Ma il significato precedente era più umile e radicato direttamente nel movimento di perdono battesimale proposta da Giovanni. Egli designò Gesù come uno studente o ''talmid'' che, giovane come un agnello, toglieva anche via così tanto peccato che lo spirito di Dio poteva essere sentito presente in lui. Il successo di Gesù come battista, immersore attivo di altre persone, è attestato anche nel Vangelo di Giovanni ({{passo biblico2|Giovanni|3:22,26}}). Successivamente il Vangelo tenta di correggere quella semplice affermazione, dicendo che furono i ''talmidim'' di Gesù, piuttosto che Gesù stesso, a battezzare ({{passo biblico2|Giovanni|4:1-3}}). Ma questo è un doppio anacronismo: Gesù non aveva ancora i suoi ''talmidim'' e non era ancora indipendente da Giovanni.
 
Il quarto Vangelo, come i sinottici, preferirebbe dimenticare che Gesù stesso era impegnato a battezzare. Per l'autore, lo schema di base era che Giovanni preparava la via con il suo battesimo e che Gesù seguiva come colui per il quale veniva preparata. Ma, come ''talmid'' di Giovanni, l'attività personale di Gesù come un battista era naturale; ecco perché è attestato nel Vangelo secondo Giovanni ({{passo biblico2|Giovanni|3:22,26}}; {{passo biblico|Giovanni|4:1}}). Il successo di Gesù è tale da venire all'attenzione di Giovanni l'immersore, che dice in modo stoico, "Egli deve crescere e io invece diminuire." ({{passo biblico2|Giovanni|3:30}}). Ma le tensioni andarono molto più in profondità di quanto tale osservazione possa nascondere. Il Vangelo di Giovanni parla anche di una battaglia riguardante la "purificazione" ({{passo biblico2|Giovanni|3:25}}), che coinvolge evidentemente Giovanni e Gesù. la purificazione era al centro del programma di Giovanni il Battista e ne attesta la rottura, che divenne quasi inevitabile.
 
L'antagonismo aperto si sviluppò tra Giovanni e Gesù, quando Gesù si spostò dalla dimora di Giovanni, nel Giordano, verso le aree abitate. Egli battezzava più persone di Giovanni, e cominciò ad affermare che le persone che venivano a purificarsi con Giovanni erano in realtà già monde. Nella mente di Gesù, il solo pentimento purifica, in modo che gli Israeliti che si sono pentiti possano rivendicare l'accesso a Dio, il perdono divino e il sostegno divino. La base dell'attività di Gesù era la sua esperienza quando egli stesso fu immerso. Gesù intensificò, estese e generalizzò l'insegnamento di Giovanni sulla ''merkavah''.
 
La pratica della fratellanza nei pasti, in particolare il ''[[w:qiddush|kiddush]]'', spesso celebrata, allora e ora, alla vigilia del Sabbath, divenne più che una questione di coincidenza nell'attività di Gesù in quel momento. Una volta aveva festeggiato feste improvvisate con pellegrini affamati. Ora cercava attivamente le persone nelle loro frazioni e villaggi e città intorno alla Giordania, e accettava ospitalità da loro prima di immergerle. Era loro ospite, ma era anche un rabbino itinerante,<ref>Si veda la voce "Rabbis", nel ''Dictionary of New Testament Background'', curr. Craig A. Evans & Stanley E. Porter; Downers Grove: InterVarsity, 2000), 1145-53; ''Rabbi Jesus. An Intimate Biography'' (New York: Doubleday, 2000); "Jesus, A Galilean Rabbi", ''Who was Jesus? A Jewish-Christian Dialogue'', curr. Paul Copan & Craig A. Evans (Louisville: Westminster John Knox, 2001), 154-61; "Review Essay: Archaeology and Rabbi Jesus", ''Bulletin for Biblical Research'' 12.2 (2002): 273-80; "Master/Rabbi", ''Encyclopedia of the Historical Jesus'', cur. Craig A. Evans (New York and London: Routledge, 2008), 395-99.</ref> conosciuto per la sua associazione con Giovanni ad offrire purificazione. Quando si univa al pasto del ''kiddush'', Gesù o l'ospite più anziano a tavola, parlava della santificazione di Dio, che per Gesù era l'[[w:Abba (religione)|Abba]] di tutti coloro che si rivolgono alla fonte della benedizione di Israele. In questo riferimento all'Abba d'Israele e alla sua santificazione, i principali elementi della preghiera che Gesù in seguito insegnò ai suoi ''talmidim'' stavano prendendo forma e venivano riuniti:
{{q|Abba, il tuo nome sarà santificato,
Verrà la tua sovranità.}}
In questa fase, la preghiera non era una forma di parole, ma un approccio tematico a Dio strettamente associato al ''kiddush'' della sovranità di Dio. Ciò che veniva celebrato non era solo l'alba del Sabbath alla sua vigilia, ma anche l'alba della manifestazione della gloria di Dio.
 
Un altro caso in cui storie riguardanti voci divine trovano risonanza nel Nuovo Testamento è la trasfigurazione ({{passo biblico2|Matteo|16:28-17:8}}; {{passo biblico2|Marco|9:1-8}}; {{passo biblico2|Luca|9:27-36}}):
{{q|<sup>28</sup> "In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno". <sup>1</sup> Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. <sup>2</sup> E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. <sup>3</sup> Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. <sup>4</sup> Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". <sup>5</sup> Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo". <sup>6</sup> All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. <sup>7</sup> Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete". <sup>8</sup> Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.}}
{{q|<sup>1</sup> E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza". <sup>2</sup> Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro <sup>3</sup> e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. <sup>4</sup> E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. <sup>5</sup> Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!". <sup>6</sup> Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. <sup>7</sup> Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!". <sup>8</sup> E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.}}
{{q|<sup>27</sup> "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio". <sup>28</sup> Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. <sup>29</sup> E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. <sup>30</sup> Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, <sup>31</sup> apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. <sup>32</sup> Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. <sup>33</sup> Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. <sup>34</sup> Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. <sup>35</sup> E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". <sup>36</sup> Appena la voce cessò, Gesù restò solo.}}
La struttura narrativa ricorda l'ascesa di Mosè al Sinai in {{passo biblico2|Esodo|24}}. Alla fine di quella storia, si dice che Mosè salì sulla montagna, dove la gloria di Dio, come una nuvola, la coprì ({{passo biblico|Esodo|24:15}}). La copertura della montagna durò sei giorni ({{passo biblico|Esodo|24:16}}), che è la quantità di tempo che intercorre tra la trasfigurazione di Gesù e il discorso precedente sia in Matteo (17:1) che in Marco (9:2). Dopo quel tempo, il Signore chiamò Mosè dalla nube (Esodo 24:16b), e Mosè entrò nella gloria della nube, che è come un fuoco divorante (24:17-18). All'inizio del capitolo, a Mosè viene comandato di selezionare tre adoratori (Aronne, Nadab e Abiu) insieme a settanta anziani, al fine di confermare l'Alleanza (24:1-8). Il risultato è che solo queste persone (24:9) vedono il Dio di Israele nella sua corte (24:10) e celebrano la loro visione con un pasto. I motivi di maestro, tre discepoli, montagna, nuvola, visione e audizione ricorrono anche nella trasfigurazione.
 
Altri dettagli nella presentazione della storia sono coerenti con Esodo 24. Matteo 17:2 si riferisce in modo univoco al volto di Gesù che brilla come il sole, pari all'aspetto di Mosè in Esodo 34:29-35. In termini più generali, il riferimento di Marco al candore delle vesti di Gesù stabilisce anche un contesto celeste. Una variazione in Luca è più specifica e più interessante. Luca pone una distanza di otto giorni, anziché sei, tra il discorso precedente e la trasfigurazione. Sebbene ciò abbia sconcertato i commentatori, nell'interpretazione rabbinica tale variazione è significativa. Nello [[:en:w:Targum Pseudo-Jonathan|Pseudo-Gionata]] ({{passo biblico2|Esodo|24:10-11}}), Nadab e Abiu sono colpiti da Dio, perché la loro visione contraddice il principio di "nessun uomo mi può vedere e vivere" ({{passo biblico2|Esodo|33:20}}). Ma la loro punizione (narrata in {{passo biblico2|Numeri|3:2-4}}) è ritardata fino all’''ottavo'' giorno.
 
In questa visione celeste compaiono anche due figure della tradizione rabbinica che si ritiene non abbiano sperimentato la morte, Mosè ed Elia. Elia, ovviamente, è il profeta primordiale della ''merkavah''. Il ''talmid'' di Elia, Eliseo, vede Elia sollevato nei cieli e il "carro di fuoco e cavalli di fuoco" di Dio ({{passo biblico2|2Re|2:11}}). (Il termine per "carro" qui è ''rekhev'', semplicemente la forma maschile della ''merkavah'' femminile.) Almeno dal tempo di Flavio Giuseppe, anche Mosè fu ritenuto essere stato portato vivo alla corte celeste.<ref>Si veda Flavio Giuseppe, ''Antichità'' 4.326.</ref> Presi insieme, quindi, Elia e Mosè sono indici dell'accesso di Gesù alla corte celeste. Il suggerimento apparentemente inetto di Pietro al suo rabbino, di costruire "tende", corrisponde anche al recinto per la gloria di Dio sulla terra che a Mosè viene comandato di costruire nei capitoli dell'Esodo dopo il capitolo 24. Nel complesso, la trasfigurazione nel suo momento generativo attesta l'introduzione da parte di Gesù dei suoi ''talmidim'' a una visione del trono divino paragonabile alla sua avuta durante il suo battesimo.
 
L'inquadramento cosciente da parte di Gesù di una ''kabbalah'', un approccio alla divina ''merkavah'' per se stesso e per i suoi ''talmidim'', include naturalmente una comprensione della propria identità. Chi è in grado di offrire questo approccio? La presentazione fatta da Luca di ciò che Gesù aveva da dire in una sinagoga di Nazaret, il primo villaggio che conosceva, fornisce un'indicazione precisa proprio di questa autocoscienza. Il Vangelo di Luca presenta anche un profilo chiaro di Gesù come Messia mediante riferimenti al libro di Isaia, come vedremo. Per tutto il tempo, Luca ci prepara al significato dello status messianico di Gesù tramite un miglioramento abbastanza diretto di un elemento nel racconto comunemente sinottico del battesimo di Gesù. Tutti e tre i sinottici hanno Gesù spinto nel deserto dallo spirito, per essere tentato da Satana (Matt. 4:1; Marco 1:12; Luca 4:1), e sia Matteo che Luca includono entrambi tre tentazioni dettagliate a questo punto (Matteo 4:1-11; Luca 4:1-13). In tutti e tre, viene trasmesso il senso che il possesso dello spirito di Dio nel battesimo porta in conflitto con la fonte primordiale di resistenza a tale spirito.
 
Ma l'articolazione di Luca di quella necessaria resistenza allo spirito è la più completa ed esplicita ({{passo biblico2|Luca|4:1-2}}):
{{q|<sup>1</sup> Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto <sup>2</sup> dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo.}}
Il ripetuto riferimento allo spirito rende ancora più enfatica l'insistenza lucana unica sul fatto che Gesù fosse "pieno di Spirito Santo" e che l'espressione si riveli essenziale nei motivi che si stanno sviluppando in questa sezione del Vangelo.
 
Ancora una volta, dopo la storia delle sue tentazioni,<ref>La storie delle tenazioni elencate, è un contributo della [[w:Fonte Qfonte detta "Q"]].</ref> solo Luca fa ritornare Gesù "in Galilea con la potenza dello Spirito Santo" ({{passo biblico2|Luca|4:14}}). Non ci sono dubbi, quindi, che in questo momento paradigmatico, quando Gesù inizia la sua attività pubblica, la questione dello spirito è in primo piano nel riferimento all'identità divina di Gesù nell'ambito del Vangelo di Luca. L'inaugurazione di questa attività ha luogo – solo in Luca – per mezzo di una sua venuta in una sinagoga a Nazaret, dove la sua citazione del libro di Isaia è fondamentale ({{passo biblico2|Luca|4:14-30}}):
{{q|<sup>14</sup> Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. <sup>15</sup> Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. <sup>16</sup> Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. <sup>17</sup> Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:<br/>
<sup>18</sup> ''Lo Spirito del Signore è sopra di me;<br/>
''per questo mi ha consacrato con l'unzione,<br/>
''e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,<br/>
''per proclamare ai prigionieri la liberazione<br/>
''e ai ciechi la vista;<br/>
''per rimettere in libertà gli oppressi,''<br/>
<sup>19</sup> ''e predicare un anno di grazia del Signore.''<br/>
<sup>20</sup> Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. <sup>21</sup> Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi". <sup>22</sup> Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è il figlio di Giuseppe?". <sup>23</sup> Ma egli rispose: "Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!". <sup>24</sup> Poi aggiunse: "Nessun profeta è bene accetto in patria. <sup>25</sup> Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; <sup>26</sup> ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. <sup>27</sup> C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro". <sup>28</sup> All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; <sup>29</sup> si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. <sup>30</sup> Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.}}
In questo passaggio l'attenzione sullo spirito è il punto cruciale del tutto. L'accordo di questo brano con la struttura generale di Luca-Atti ha supportato la scoperta che era stata sintetizzata dal lavoro redazionale sviluppato in questi due documenti. E l'utilità del brano all'interno di Luca-Atti non può ragionevolmente essere negata. L'intera pericope, dal versetto 14 al versetto 30 in Luca 4, stabilisce un modello – di leggere le Scritture in una sinagoga, godere di un certo successo ma poi subire un rifiuto violento, un rifiuto che porta a rivolgersi a non-ebrei – che corrisponde al esperienza di Paolo e Barnaba nel libro degli Atti, in particolare ad [[w:Antiochia di Pisidia|Antiochia di Pisidia]] (cioè Antiochia in Asia Minore, non [[w:Antiochia di Siria|Antiochia sull'Oronte]]) in {{passo biblico2|Atti|13:13-52}}. Insieme, Luca 4 e Atti 13 stabilirono un modello per la Chiesa di Luca-Atti. Il nome "Antiochia" è la chiave dell'importanza di quest'ultimo brano, così come la parola "unzione" nel primo passaggio è profondamente evocativa. I due sono come se i violini di un'orchestra si trovassero a una distanza di vibrazione, per cui uno strumento fa risuonare l'altro. Per Luca-Atti, Paolo e Barnaba risuonano con lo scopo, il programma e l'autorizzazione di Gesù stesso.
 
Le parole citate da Isaia iniziano, "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione". Ecco quindi la precisazione di come lo spirito sia stato con Gesù dal momento del suo battesimo. Lo spirito rappresenta la sua unzione. In greco, come in ebraico e aramaico, il termine "messia" significa sostanzialmente "l'unto". Questa etimologia è di interesse più che accademico, perché il verbo usato qui (''khrio'') si associava all'orecchio di un interlocutore greco con il termine "messia" o "Cristo" (''khristos''). Gesù è Messia perché lo spirito è su di lui e il testo di Isaia diventa un itinerario della sua attività.
 
Proprio qui, tuttavia, diventa evidente la dissonanza tra la tipica attività di Gesù e il testo di {{passo biblico2|Isaia|61}}, citato da Luca. I fatti semplici sono che Isaia 61:1-2 si riferisce a cose che Gesù non ha mai fatto, come liberare i prigionieri dal carcere, e Gesù ha fatto cose di cui il testo non parla, come dichiarare le persone libere dall'impurità (cfr. Matt. 8:2-4; Marco 1:40-45; Luca 5:12-16). Questa dissonanza non è probabilmente una creazione lucana, perché lo schema del Vangelo è quello di rendere la corrispondenza delle citazioni bibliche più vicina possibile alla ''Septuaginta''. Allo stato attuale del testo, inoltre, un cambiamento rispetto a qualsiasi forma nota del testo biblico si traduce in un'occasione persa di relazionarsi direttamente all'attività di Gesù, oltre a introdurre un elemento di maggiore dissonanza. La frase "fasciare le piaghe dei cuori spezzati" è stata omessa dalla citazione e sono state inserite parole simili a quelle di {{passo biblico2|Isaia|58:6}}, un riferimento alla messa in libertà degli oppressi.
 
Sebbene il Vangelo di Luca presenti le parole – evidentemente ispirate a Isaia – come una lettura di routine in una data sinagoga, evidentemente non era così nella tradizione precedente a Luca. La "citazione" di Gesù non è affatto una citazione, ma una versione più libera del libro biblico di quanto si potesse in verità leggere. La formulazione del brano negli [[w:Vangeli Rabbula|antichi Vangeli siriaci]] (in una lingua strettamente correlata all'aramaico indigeno di Gesù) è ancora più libera:
{{q|Lo spirito del Signore è su di ''te'',<br/>
per il quale ''tu'' sei stato consacrato di annunciare trionfo ai poveri;<br/>
E mi ha mandato a predicare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi<br/>
— E ''io'' elargirò ai derelitti consolazione —<br/>
e a predicare l'anno di misericordia del Signore.}}
 
<!--- da inserire
17. See Chilton, “Rabbis,” Dictionary of New Testament Background, ed. Craig A. Evans and Stanley E. Porter; Downers Grove: InterVarsity, 2000), 1145-53; Rabbi Jesus. An Intimate Biography (New York: Doubleday, 2000); “Jesus, A Galilean Rabbi,” Who was Jesus? A Jewish-Christian Dialogue, ed. Paul Copan and Craig A. Evans (Louisville:
Westminster John Knox, 2001), 154-61; “Review Essay: Archaeology and Rabbi Jesus,” Bulletin for Biblical Research 12.2 (2002): 273-80; “Master/Rabbi,” Encyclopedia of the Historical Jesus, ed. Craig A. Evans (New York and London: Routledge, 2008), 395-99.
18. See Josephus, Antiquities 4.326. For further discussion, see Chilton, “The Transfiguration: Dominical Assurance and Apostolic Vision,” New Testament Studies 27 (1980): 115-24.
19. The story of itemized temptations is the contribution of the source called “Q”; for an account of the contents of “Q,” see Chilton, Pure Kingdom. Jesus’ Vision of God. Studying the Historical Jesus 1 (Eerdmans: Grand Rapids and London: SPCK, 1996), 107-10.
20. I have worked out this correspondence in some detail in God in Strength. Jesus’ Announcement of the Kingdom. Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt 1 (Freistadt: Plöchl, 1979), 123-56.
21. For a full discussion, see Chilton, God in Strength, 157-77.
22. See Marinus de Jonge, Early Christology and Jesus’ Own View of His Mission: Studying the Historical Jesus (Grand Rapids: Eerdmans, 1998), 98-106 for a cautious and skeptical assessment of this denial.
23. De Jonge, Early Christology, 101.