Utente:Monozigote/sandbox5: differenze tra le versioni

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= ''Poesie di Živago'' =
(24 poesie, di cui la penultima - "Maddalena" - in due tempi)<ref>Le poesie sono tradotte direttamente e nell'ordine del testo originale in russo</ref>
 
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Copertina:
AMLETO.
 
S'è spento il brusio. Sono entrato in scena.
[[File:1990 CPA 6257.jpg|450px|center|Francobollo URSS 1990, Premio Nobel 1958: B.L. Pasternak - Sullo sfondo: scena basata sul romanzo "Dottor Živago"]]
Poggiato allo stipite della porta,
vado cogliendo nell'eco lontana
quanto la vita mi riserva.
 
Un'oscurità notturna mi punta contro
<br/>
mille binocoli allineati.
Se solo è possibile, "abba" padre,
allontana questo calice da me.
 
Amo il tuo ostinato disegno,
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e reciterò, d'accordo, questa parte.
Ma ora si sta dando un altro dramma
e per questa volta almeno dispensami.
 
Ma l'ordine degli atti è già fissato,
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e irrimediabile è il viaggio, sino in fondo.
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Sono solo, tutto affonda nel farisaismo.
Vivere una vita non è attraversare un campo.
 
MARZO.
 
Il sole scalda da sudare sette camicie
e intontito s'agita il burrone.
Come quello d'una gagliarda mandriana
alla primavera ferve il lavoro fra le mani.
 
Langue la neve, consunta d'anemia,
in ramificazioni di estenuate vene azzurrine.
Ma fumiga la vita nella stalla delle vacche
e sprizzano salute i denti dei forconi.
 
Oh, queste notti, questi giorni e le notti!
Tamburellare del gocciolio a metà del giorno,
deperire dei ghiacciuoli del tetto,
chiacchierio dei rigagnoli insonni!
 
Tutto è spalancato, la rimessa e la stalla.
I colombi nella neve beccano l'avena,
e, d'ogni cosa vivificatore e imputabile,
odora di fresca aria il letame
 
NELLA SETTIMANA SANTA.
 
Intorno, ancora la notturna tenebra.
Ancora è così presto al mondo
che in cielo le stelle non hanno numero
e ognuna ha il fulgore del giorno,
e, se potesse, la terra
si assopirebbe a Pasqua,
alla lettura del salterio.
 
Intorno, ancora la notturna tenebra.
E' un'ora tanto mattutina sulla terra
che dal crocevia all'angolo
s'è coricata per un'eternità la piazza,
e fino all'alba e al tepore
manca ancora un millennio.
 
Ancora la terra è nuda nuda
e nelle notti non ha come
dondolare le campane
e riecheggiare dall'aperto i cantori.
 
E dal Giovedì Santo
fino a tutto il Sabato di Pasqua,
l'acqua trapana le sponde
e inanella mulinelli.
 
E il bosco è spoglio e scoperto
e, nella settimana di Passione,
sta come una schiera di oranti
la folla dei tronchi di pino.
 
Ma in città, su un esiguo
spazio, come a un convegno,
gli alberi nudi osservano
oltre la cancellata della chiesa.
 
E il loro sguardo è atterrito.
Una ragione ha quell'angoscia.
I giardini escono dai recinti,
vacilla l'ordinamento della terra:
seppelliscono Iddio.
 
E vedono una luce al presbiterio,
e il nero manto e la fila dei ceri,
le facce in lagrime,
e a un tratto la processione
esce incontro a loro col sudario,
e le due betulle all'ingresso
devono tirarsi di lato.
 
E gira intorno allo spiazzo il corteo
sul ciglio del marciapiede,
e dalla via la primavera porta
sul sagrato primaverili discorsi
e un'aria sapida di ostie
e d'ebrietà primaverile.
 
E marzo sparge neve a manciate
sulla folla degli storpi sul sagrato,
come fosse uscito uno col ciborio
e, schiusa la porticina,
avesse tutto elargito fino al fondo.
 
E il canto dura fino all'aurora
e, singhiozzati a sazietà,
dall'interno più sommessamente giungono,
giù sotto i lampioni,
il salterio o l'apostolo.
 
Ma taceranno a mezzanotte ogni creatura e la carne,
perché la primavera ha sparso la voce
che, solo appena torni bel tempo,
si potrà vincere la morte
con lo sforzo della resurrezione.
 
LA NOTTE BIANCA.
 
Un'epoca lontana in sogno mi riappare,
la casa nel quartiere Pietroburgo.
Figlia d'una modesta proprietaria della steppa
tu sei all'istituto, tu, nativa di Kursk.
 
Sei carina e hai molti ammiratori.
In questa notte bianca noi due insieme,
rincantucciati sul tuo davanzale,
guardiamo giù da questo grattacielo.
 
Il mattino ha lambito col suo primo tremito
i lampioni, come farfalle di gas.
Ciò che sottovoce vado raccontandoti
somiglia tanto alle lontananze addormentate.
 
E noi siamo in preda a una medesima
trepidante dedizione al mistero,
come Pietroburgo col suo panorama
che si stende oltre la Neva sconfinata.
 
Laggiù, lontano, dietro impenetrabili confini,
in questa notte bianca di primavera,
con uno strepito d'inni gli usignuoli
fanno echeggiare i limiti dei boschi.
 
Il frenetico trillo dilaga.
La voce del minuto, gracile uccellino
eccita all'entusiasmo e allo scompiglio
nella profondità della foresta incantata.
 
In quei posti, scalza viandante,
penetra la notte lungo lo steccato,
e dietro lei dal davanzale si trascina
l'orma del discorso origliato.
 
Fra gli echi di quel discorso sorpreso,
nei giardini recinti d'assicelle
i rami dei meli e dei ciliegi
si vestono d'un colore bianchiccio.
 
E, come fantasmi, gli alberi
si riversano bianchi in folla sulla strada,
facendo come cenni d'addio
alla notte bianca che così tanto ha visto.
 
FANGOSE STRADE DI PRIMAVERA.
 
Si estinguevano le luci del tramonto.
Per una pista fangosa nel fitto d'una foresta,
verso una fattoria lontana degli Urali
si trascinava un uomo a cavallo.
 
Sobbalzava la milza alla bestia,
e i tonfi degli zoccoli che sguazzavano,
li riecheggiava inseguendoli per via
l'acqua negli imbuti delle sorgenti.
 
Ma come allentò le redini
e mise il cavallo al passo,
la piena rotolò lì accanto
tutto il suo rombo e il suo fragore.
 
Rideva qualcuno, qualcuno piangeva,
si frantumavano pietre contro selci
e in mulinelli precipitavano
ceppi divelti con tutte le radici.
 
E dov'era l'incendio del tramonto
contro il nero lontano dei rami,
come una vibrante campana a stormo,
ecco la frenesia d'un usignuolo.
 
Dove il salice il velo vedovile
chinava, penzolando in un burrone,
come l'antico Usignuolo brigante
zufolava a sette gole (98).
 
A quale pena, a quale passione
era destinato tanto ardore?
Contro chi scaricava nella macchia
i suoi grossi pallini di fucile?
 
Pareva che dal posto di sosta dei forzati
dovesse sbucare come un demone silvestre
incontro ai picchetti a piedi o a cavallo
dei partigiani della zona.
 
La terra e il cielo, il bosco e il campo
coglievano quel raro suono,
quei frammenti ritmati
di follia, di dolore, di felicità, di pena.
 
 
degli angeli andavano, mescolati alla folla.L'incorporeità li rendeva invisibili,ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.E a loro, «chi siete?» domandò Maria.«Noi, stirpe dì pastori e inviati del cielo,siamo venuti a cantare lodi a voi due.»«Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia.»Nella foschia di cenere, che precede il mattino,battevano i piedi mulattieri e allevatori.Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;e accanto al tronco cavo dell'abbeveratoio,mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini,Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,come granelli di cenere, le ultime stelle.E della innumerevole folla solo i MagiMaria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,come un raggio di luna dietro un albero cavo.Invece di calde pelli di pecora,le labbra d'un asino e le nari d'un bue.I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla,sussurravano, trovando a stento le parole.A un tratto qualcuno, nell'oscurità,con la mano scostò un poco a sinistradalla mangiatoia uno dei tre Magi;e quello si voltò: sulla soglia, come in visita,alla vergine guardava la stella di Natale.L'ALBA.Tutto significavi tu nel mio destino.Poi venne la guerra, lo sfacelo,e per tanto, tanto tempo, di tenon una notizia, non una parola.E dopo tanti, tanti annidi nuovo la tua voce mi ha turbato.
Tutta la notte ho letto il tuo messaggioriprendendomi come da un deliquio.Ho voglia d'andare fra la gente, nella folla,fra la loro animazione mattutina.Sono pronto a mandare tutto in scheggee a mettere tutti in ginocchio.E corro giù per la scala,come se uscissi per la prima voltasu queste strade di neve,sul lastrico deserto.Dovunque ci si alza, luci e intimità,e chi prende il tè, chi s'affretta ai tram:bastano pochi minutie la città ha tutto un altro volto.Nei portoni la tormenta tesseuna rete di fiocchi fitti fitti,e per fare in tempo tutti corrono,senza finir di bere e di mangiare.Io per loro, per tutti sentocome se fossi nella loro pelle,anch'io mi sciolgo come si scioglie la neve,anch'io come il mattino aggrotto le ciglia.E' come me gente senza nome,alberi, bambini, persone casalinghe.Da loro tutti io sono vinto,e solo in questo è la mia vittoria.
MIRACOLO
Andava da Betania a Gerusalemme,oppresso anzi tempo dalla tristezza dei presentimenti.Sull'erta, un cespuglio riarso;fermo, lì su una capanna, il fumo,e l'aria infocata e immobili i giunchie assoluta la calma del Mar Morto.E, in un'amarezza più forte di quella del mare,andava con una piccola schiera di nuvole
per la strada polverosa verso un qualche alloggio,in città, a una riunione di discepoli.E così immerso nelle sue riflessioni,che il campo per la melanconia prese a odorare d'assenzio.Tutto taceva. Soltanto lui là in mezzo.E la contrada giaceva inerte in un deliquio.Tutto si confondeva: il calore e il deserto,e le lucertole e le fonti e i torrenti.Un fico si ergeva lì dappressosenza neppure un frutto, solo rami e foglie.E lui gli disse: «A cosa servi?Che gioia m'offre la tua aridità?Io ho sete e fame, e tu sei un fiore infecondo,e l'incontro con te è più squallido che col granito.Come è offensiva la tua sterilità!Resta così, dunque, sino alla fine degli anni.»Per il legno passò il fremito della maledizionecome la scintilla del lampo nel parafulmine.E il fico divenne cenere all'istante.Avessero avuto allora un attimo di libertàle foglie, i rami, le radici e il tronco,le leggi della natura sarebbero forse intervenute,Ma un miracolo è un miracolo e il miracolo è dio.Quando siamo smarriti, allora, in preda alla confusione,istantaneo ci coglie alla sprovvista.LA TERRA.Nelle palazzine di Moscairrompe d'impeto la primavera.Svolazzano via le tarme dall'armadioe strisciano sui cappelli estivi,mentre si ripongono le pellicce nei bauli.Lungo i mezzanini di legnovengono esposti vasi di fioricon violacciocche d'ogni colore,e le stanze respirano aria aperta,e sanno di polvere le soffitte.
La via è in rapporti molto familiaricon quella finestra mezzo cieca,e la notte bianca e il tramontonon riescono a incontrarsi presso il fiume.E si può udire nel corridoiociò che succede nella vastità,di cosa aprile discorracon la goccia in casuale colloquio:lui conosce mille storiea proposito di pene umane.E sugli steccati continuano a gelarele luci dell'aurora e del crepuscolo,con l'aria di tirarla ancora in lungo.Ed è un eguale misto di fuoco e di sgomentoall'aperto e nell'intimo delle dimore.E dappertutto l'aria non è più se stessa.Così i trasparenti rami dei salici,così i turgori delle bianche gemme,sia alla finestra che al crocevia,per la strada e nell'officina.Perché mai piange lo spazio in una brumae ha un odore amaro la terra?Proprio in questo è la mia vocazione,che non immalinconiscano gli spazi,che oltre l'ultima periferianon soffra in solitudine la terra.Per questo, appena è primavera,gli amici si raccolgono da me,e le nostre serate sono commiati,i nostri festini ultime volontà:perché la segreta corrente del doloreriscaldi il freddo dell'esistenza.GIORNI CATTIVI.Quando nell'ultima settimanalui entrò a Gerusalemme,gli osanna gli risuonavano incontro,dietro gli correva la gente con rami di palma.
Ma poi, giorni sempre più cupi e crudeli,quando i cuori sono sordi all'amore,il disprezzo solleva i sopraccigli,ed ecco ch'è l'epilogo, la fine.Con tutta la sua pesantezza di piomboil cielo si schiacciava sulle strade.I farisei cercavano le provestrisciandogli dinanzi come volpi.E dalle oscure forze del tempiofu dato in giudizio alla feccia:con l'ardore con cui prima lo esaltavano,maledizioni gli lanciavano adesso.Quelli dei quartieri intornosbirciavano oltre i cancelli;s'accalcavano spingendosi a ondate,attendendo la conclusione.E, bisbigliate, corsero vocinel vicinato e in molte altre parti.E la fuga in Egitto e l'infanziagià ricordavano come in un sogno.Ricordavano il pendio maestosodel deserto e il dirupo da doveSatana lo tentò con l'offertadell'impero dell'universo.E il banchetto di nozze a Cana,e la tavola stupita del miracolo,e il mare su cui camminandotra la nebbia raggiunse la barca.E la ressa dei poveri nel tugurio,e la discesa con la candela nel sotterraneo,che a un tratto s'era spenta atterritaquando il resuscitato si levò...
MADDALENA.1E' appena notte ed ecco qui il mio demone,l'espiazione per il mio passato.Vengono e mi mordono il cuorei ricordi della dissolutezza,quando, schiava dei capricci maschili,ero una stolida ossessae la strada era il mio asilo.Rimangono pochi minuti,poi verrà un silenzio di sepolcro.Ma prima che i minuti trascorrano,la mia vita, arrivata all'orlo,come un vaso d'alabastroinfrango dinanzi a te.Oh, dove mai sarei adesso,Maestro mio e mio Salvatore,se durante le notti accanto al tavolonon mi aspettasse l'eternità,come un nuovo cliente, adescatoda me nella rete del mestiere.Ma di' cosa vuol dire peccatoe morte e inferno, e fiamma e zolfo,quando sotto gli occhi di tutti,con te, come un pollone a un tronco,mi sono congiunta nella mia angoscia senza fine.Quando, Gesù, poggiatii tuoi piedi alle mie ginocchia,apprendo forse ad abbracciarela trave quadrangolare della crocee, nello smarrimento dei sensi, sul tuo corpomi precipito preparandoti al seppellimento.MADDALENA.2Prima delle feste la gente fa le pulizie.In disparte da tutto il tramestio,
io lavo con l'unguento dell'anforai tuoi purissimi piedi.Cerco e non trovo più i sandali.Non vedo nulla per le lagrime.Sugli occhi in un velo mi sono ricadutele ciocche dei capelli disciolti.Sul lembo della sottana ho posto i tuoi piedi,li ho bagnati di lagrime, Gesù,ho intrecciato intorno a loro il filo di perle,nei capelli li ho nascosti come in un burnus.Vedo il futuro così nitidamentecome se tu l'avessi fermato.Mi sento adesso di presagirecon fatidica chiaroveggenza di sibilla.Domani cadrà la tenda nel tempio;noi ci raccoglieremo tutti insieme, in disparte,e vacillerà la terra sotto i piedimossa forse a pietà di me.Si ricomporranno le file della scorta,e cominceranno a muoversi i cavalieri.Come tromba d'aria, sopra la testaverso i cieli si tenderà questa croce.Mi getterò ai piedi della crocifissione,mi gelerà il cuore, mi morderò le labbra.Per un troppo grande amplesso le bracciatu allargherai alle estremità della croce.Per chi al mondo tanta ampiezza,tanto tormento e così grande forza?Tante anime e vite sono al mondo?Tanti i luoghi abitati e i fiumi e i boschi?Ma trascorreranno tre giorni talie apriranno un cosi grande vuoto,che in questo terribile frattempoavrò raggiunto la massima pienezzaper il momento della resurrezione.
L'ORTO DEL GETSEMANI.Lo scintillio di lontane stelle un'indifferenteluce gettava alla curva della strada.La strada aggirava il Monte degli Ulivi,giù, sotto di lei, scorreva il Cedron.A metà strada la radura era interrotta.Dietro cominciava la Via Lattea.Canuti, argentei ulivi tentavanonell'aria passi verso la lontananza.In fondo, c'era un orto, un podere.Lasciati i discepoli di là dal muro,disse loro: «L'anima è triste fino alla morte,rimanete qui e vegliate con me.»E rinunciò senza resistenza,come a cose ricevute in prestito,all'onnipotenza e al dono dei miracoli,e fu allora come un mortale, come noi.Le distanze della notte ora parevanola landa dell'annichilimento e dell'inesistenza.La distesa dell'universo disabitata,e solo l'orto un luogo capace di vita.E guardando quei neri sprofondi,vuoti, senza principio né fine,perché quel calice di morte via da lui passassein un sudore di sangue pregò il padre suo.Lenito dalla preghiera lo spasimo mortale,tornò di là dalla siepe. Per terrai discepoli, vinti dal sonno,giacevano nell'erba sul ciglio della strada.Li destò: «Il Signore vi ha scelti a viverenei miei giorni, ed eccovi crollati come massi.L'ora del figlio dell'uomo è venuta.Egli si darà in mano ai peccatori.»E aveva appena parlato che, chissà da dove,ecco una folla di servi, una torma di vagabondi,torce e spade e, davanti a tutti, Giuda
col bacio del tradimento sulle labbra.Pietro tenne testa con la spada agli sgherrie un orecchio a uno di loro mozzò.Ma sente: «Non col ferro si risolve la contesa,rimetti a posto la tua spada, uomo.Pensi davvero che il padre mio di legioni alatequi, a miriadi, non m'avrebbe armato?E allora, impotenti a torcermi un capello,i nemici si sarebbero dispersi senza traccia.Ma il libro della vita è giunto alla paginapiù preziosa d'ogni cosa sacra.Ora deve compiersi ciò che fu scritto,lascia dunque che si compia. Amen.Il corso dei secoli, lo vedi, è come una parabolae può prendere fuoco in piena corsa.In nome della sua terribile grandezzascenderò nella bara fra volontari tormenti.Scenderò nella bara e il terzo giorno risorgerò,e, come le zattere discendono i fiumi,per il giudizio, a me, come chiatte in carovana,affluiranno i secoli dall'oscurità.»
 
 
 
NOTE.60. - "Tiutcev": Fëdor I. Tjutcev, poeta russo (1803-1873).61. - "Arzamàs": società letteraria di cui fu membro, accanto ad altri poeti escrittori, anche il giovane Pushkin.62. - «Och-nìs! Och-nis! Och-nìs!»: «Ridestati, ritorna in te!»63. - "fughe di scolaretti... in America": da un racconto di Cechov.64. - "kasha": sorta di polentina russa di grano saraceno.65. - "Leiba": sinonimo di giudeo nel linguaggio popolare.66. - "trudovik": del partito dei Trudoviki, d'orientamento populista.67. - "Lìdochka": diminutivo di Lida, nome femminile, qui in tono ironico.68. - "kulici": pane pasquale.69. - "paschi": dolce pasquale.70. - "Il sabotatore ...": Invece di "sabotaznik" (sabotatore), Goshka dice"savataznik": da qui, scomponendo la parola in "so" (con) e "vataga" (banda),la spiegazione.
71. - "stàrosta": l'anziano, il capo della comunità.72. - "domovòj": lo spirito protettore della casa.73. - L'affinità fra il testo del Salmo e la corruzione popolare, fondatanell'originale su parole ed espressioni male intese, si perde naturalmente quasidel tutto con la traduzione.74. - "Duchobory": setta religiosa che respinge i dogmi e la Chiesa.75. - "kurgàn": tumulo.76. - "opríchnik": guardie di Ivan il Terribile, rappresentanti dell'arbitrio edello strapotere dell'autocrazia.77. - "rusalka": ondina, sirena.78. - "Cronache di Nòvgorod e di Ipat'ev": cronache dell'antica Russia (sec.decimo-sedicesimo).79. - "Gubzdràc": comitato di sanità.80. - "Gubono": comitato distrettuale dell'istruzione popolare.81. - "uomo nell'astuccio": dall'omonimo racconto di Cechov.82. - "Oblzdràv": comitato regionale di sanità.83. - "Lama ... Chutucht": sacerdoti e dignitari della Mongolia.84. - "churultai: parlamento mongolo.85. - "ispolkòm": comitato esecutivo.86. - "Egorij il Coraggioso": San Giorgio.87. - "Georgii il Vittorioso": San Giorgio.88. - "studenti «con le fodere bianche»": allusione al berretto con le foderinebianche degli studenti dell'epoca.89. - "delle vie Tverskaja e Jamskaia": vie malfamate della Moscaprerivoluzionaria,90. - "papacha": berretto di pelliccia.91. - "e dicevano «sta così»": cioè adottavano forme del linguaggio popolare.92. - "zags": sigla di "Zapis' aktov grazdanskogo sostjanija" (Registrazionedegli atti di stato civile).93. - "senza diritti": in russo: "lishenec", cioè chi, prima della Costituzione del1936, era privo di diritti civili, per motivi di censo.94. - "besprizòrnye": ragazzi abbandonati, nel periodo della guerra civile.95. - "Gulag": sigla di "Gosudarstvennoe Vpravlenie Lagerei" (Direzionestatale dei campi).96. - "Ezov" commissario agli interni.97. - "Bezòzoceredeva": come a dire «fuori fila», e fila è la parola usata per lecode davanti ai negozi eccetera, specie in tempo di tesseramento.98. - Usignuolo brigante, personaggio del folklore russo, di cui si parla nelromanzo. L'espressione «a sette gole» vuol tradurre il «sulle sette querce» deltesto che, oltre ad avere uno specifico riferimento a un motivo folkloristico, haanche il significato di canto spiegato.99. - Specie di villa di campagna.100. - Strumento musicale popolare
 
 
 
 
 
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