Biografie cristologiche/Nuovo Testamento e antiebraismo: differenze tra le versioni

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Matteo continua: "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!»" Poi arriva il verso fatidico, 27:25: "E tutto il popolo (gr. ''pas ho laos'') rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»" Da questa frase generazioni di cristiani per centinaia d'anni hanno concluso che tutti gli ebrei per sempre, e non solo quelli presenti quel fatidico giorno, ebbero una responsabilità speciale per la morte di Gesù. La colpa è ereditata; è una macchia sull'identità ebraica; tutti gli ebrei sono "uccisori di Cristo".<ref name="Amy3">Amy-Jill Levine, "Anti-Judaism and the Gospel of Matthew", in W. Farmer (cur.), ''Anti-Judaism and the Gospels'', Trinity Press International, 1999.</ref>
 
Da una prospettiva storica, l'intera scena descritta da Matteo 27 è sospetta. Primo, la tradizione di questa amnestiaamnistia concessa a Pasqua non viene registrata da nessuna partaparte, eccetto che nei Vangeli. Sebbene Roma fosse spietata, non era stupida. Liberare un sovversivo politico, specialmente durante la festa di Pesach che celebrava la liberazione degli ebrei dal dominio oppressivo e schiavista dell'Egitto, sarebbe stata pura follia. Secondo, Matteo presenta Pilato più come una debole pedina manipolata dal sommo sacerdote e dalla folla, che come un governatore risoluto noto da altre fonti per aver provocato deliberatamente gli animi dei suoi subordinati ebrei. Sebbene dubbio storicamente, il resoconto di Matteo è pur sempre profondo in quanto incapsula una parte centrale della visione teologica cristiana: Gesù di Nazaret, innocente Figlio del Padre, va alla croce e quindi libera dalla morte Gesù Barabba, un rappresentante del genere umano palesemente colpevole. I colpevoli sono liberati dal sacrificio del Cristo.<ref name="Boya1">[http://books.google.co.uk/books/about/Dying_for_God.html?id=JD_ep2riNtgC Daniel Boyarin, ''Dying for God: Martyrdom and the Making of Christianity and Judaism''], Stanford University Press, 1999, pp. 102-130 e segg.; cfr. anche il suo [https://books.google.co.uk/books?id=q8meFrEplncC&dq=Boyarin+Bordelines:+The+Partition+of+Judaeo-Christianity%27&source=gbs_navlinks_s ''Bordelines: The Partition of Judaeo-Christianity''], University of Pensylvania Press, 2004, ''passim'' in questa sezione.</ref>
 
Che "tutto il popolo" di Gerusalemme abbia gridato "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" è anche storicamente alquanto dubbio. Come l'incidente di Barabba, tuttavia, raggiunge lo scopo di Matteo. Come nel precedente capitolo 2, Matteo aveva allineato Gerusalemme con coloro che opponevano Gesù. "Erode" e "tutta Gerusalemme" (2:3) sono sconcertati al sentire che il Messia è nato a Betlemme, ed il piano di Erode è di uccidere il bambino. Il Gesù di Matteo identifica Gerusalemme come la città che uccide i profeti e lapida coloro che vi sono inviati (23:37). Il Primo Vangelo prepara la scena persino per la "missione universale" (Mt 28:16–20), in cui il Gesù risorto comanda ai suoi rimanenti undici discepoli "andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo," su un monte in Galilea piuttosto che nella città di Gerusalemme dove, secondo Luca, Giovanni e Paolo, la prima chiesa si era radunata. Pertanto, data la continua polemica di Matteo contro Gerusalemme, "tutto il popolo" che reclama il sangue di Gesù potrebbe benissimo significare "tutto il popolo di Gerusalemme". Il riferimento ai propri figli si adatta a questa interpretazione, poiché i figli di quella folla gerosolimitana sarebbero stati testimoni oculari della distruzione della città nell'anno 70. Matteo affibbia tale distruzione al rifiuto di ricevere Gesù come Messia da parte di Gerusalemme stessa.<ref name="Boya1"/>