Ebraicità del Cristo incarnato/Metodologia: differenze tra le versioni

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= Considerazioni metodologiche =
La mia metodologia differisce nettamente da quella delle ricerche precedenti, dal momento che la maggior parte degli studiosi – in particolare gli specialisti neotestamentari e del paleocristianesimo – tentano di comprendere le questioni relative all'incarnazione divina rispetto alle indagini su come e quando i primi cristiani arrivarono a comprendere la figura di Gesù come Dio. La maggior parte degli studiosi in questi sottocampi ha tentato di indagare sulle fasi intellettuali che hanno portato i primi cristiani ad affermare che Gesù era sia pienamente umano sia pienamente divino. Soprattutto in relazione all'ultima parte di questa equazione, questi studiosi si sono chiesti quando siano emerse le origini dell'Alta Cristologia. Hanno usato come punto di partenza le formule cristologiche fisse emerse per la prima volta nel IV secolo e.v. e poi hanno lavorato all'indietro chiedendosi come e quando i primi seguaci di Gesù iniziarono a pensare a Gesù in tal modo.
 
Trovo questo focus teleologico della passata ricerca problematico per tre ragioni distinte ma correlate. In primo luogo, penso che questa attenzione abbia oscurato la capacità degli studiosi di vedere i molti modi in cui gli ebrei nell'antichità esprimevano che Dio potesse essere incarnato nel mondo o che esseri umani particolarmente giusti potessero subire il processo di apoteosi. Sto suggerendo che sebbene la presentazione da parte del Vangelo giovanneo della parola divina fatta carne, nella persona specifica di Gesù, presenti un esempio particolarmente sorprendente di come Dio sia venuto nel mondo, anche altri autori ebrei contemporanei rappresentarono l'incarnazione di Dio nel mondo, sebbene con mezzi diversi come per esempio attraverso le anime degli umani o la figura del Sommo sacerdote ebreo.
 
In secondo luogo, trovo questo focus teleologico problematico perché imposta la cristologia primitiva e, per impostazione predefinita, il cristianesimo primitivo, in opposizione all'ebraismo.<ref>Nei primi anni 1990, James Dunn rese inizialmente popolare la nozione che, a seguito della distruzione del Tempio ebraico del 70 e.v., ebraismo e cristianesimo emersero come due religioni distinte e separate da un lignaggio condiviso nell'ebraismo del Secondo Tempio. Si veda James Dunn, ''The Partings of the Ways: Between Christianity and Judaism and Their Significance for the Character of Christianity'' (Londra: SCM, 1991); per una pari prospettiva, si veda anche Alan F. Segal, ''Rebecca’s Children: Judaism and Christianity in the Roman World'' (Cambridge: Harvard University Press, 1986). Tuttavia studiosi successivi hanno dimostrato quanto difetti metodologici inerenti e pregiudizi teologici rendano questo modelle insufficiente, facendo sì che molti trascurino la fluidità continuativa tra queste due tradizioni in via di sviluppo. Cfr. Judith Lieu, "‘The Parting of the Ways’: Theological Construct or Historical Reality?" ''JSNT'' 56 (1994): 101–19; Boyarin, ''Dying for God'', 1–21; Annette Y. Reed e Adam H. Becker, "Introduction: Traditional Models and New Directions", in ''The Ways that Never Parted: Jews and Christians in Late Antiquity and the Early Middle Ages'' (curr. Adam H. Becker e Annette Yoshiko Reed; Tübingen: Mohr Siebeck, 2003), 1–33; Daniel Boyarin, ''Borderlines: The Partition of Judaeo-Christianity'' (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2004), partic. 17–33; Schremer, ''Brothers Estranged'', 3–24; Megan H. Williams, "No More Clever Titles: Observations on Some Recent Studies of Jewish-Christian Relations in the Roman World", ''JQR'' 99.1 (2009): 37–55. Daniel Boyarin ha persino suggerito che imporre un appellativo del tipo "cristianesimo ebraico" reifica solo i confini tra le due religioni, cioè ebraismo e cristianesimo, che non esistevano come tali, finanche nel quarto secolo e.v. Si veda Daniel Boyarin, "Rethinking Jewish Christianity: An Argument for Dismantling a Dubious Category (to which is Appended a Correction of my Border Lines)", ''JQR'' 99.1 (2009): 7–36.</ref> In altre parole, questi studiosi sono così interessati al carattere distintivo del cristianesimo che non riconoscono pienamente il significato di fenomeni paralleli nel più ampio ambiente religioso dell'ebraismo del Secondo Tempio. Di conseguenza, vedono il Vangelo di Giovanni, o anche quello di Paolo, radicalmente diverso dall'ebraismo contemporaneo, piuttosto che considerare la possibilità che sia profondamente radicato nell'ebraismo del tempo. Nella mia interpretazione, suggerisco che il Vangelo di Giovanni rifletta solo uno dei tanti modi diversi in cui gli ebrei antichi esprimevano il modo in cui Dio poteva connettersi agli umani e gli umani potevano connettersi a Dio.
 
In terzo luogo, questa attenzione teleologica tra gli specialisti del Nuovo Testamento ignora la conversazione ricca e sfaccettata che sta avvenendo in molte aree degli studi ebraici sul corpo di Dio, dagli specialisti della Bibbia ebraica agli studiosi rabbinici. Come ha dimostrato la mia breve incursione nell'innovativo lavoro di questi studiosi, l'argomento del corpo di Dio, o il modo in cui il divino poteva incarnarsi, è stato parte integrante della tradizione di Israele dai tempi antichi fino ai tempi dei rabbini. Mentre è vero che qualcosa di distintivo accade intorno al volgere dell'era volgare, vale a dire che, a causa del focus sulla trascendenza di Dio, l'incarnazione di Dio si verifica sempre più attraverso figure divine intermedie (e si concentra all'interno dell'umanità stessa), ciò non significa che l'attenzione al corpo di Dio non esista più durante questo periodo. Mostra semplicemente come la mossa per suggerire che Dio potesse incarnarsi in una particolare figura umana, vale a dire Gesù, avesse più senso all'interno delle attuali tendenze ebraiche di quell'epoca.
 
Ci sono diversi studiosi che esemplificano questa prospettiva teleologica. In ''Christology in the Making'', ad esempio, James Dunn scrive che il suo intento è "tracciare l'emergere dell'idea cristiana dell'incarnazione dall'interno (non l'emergere del concetto di "incarnazione" di per sé); seguire il corso dello sviluppo (organico o evolutivo), nel miglior modo possibile, per cui il concetto di incarnazione di Cristo è emerso nell'espressione cosciente nel pensiero cristiano".<ref>Dunn, ''Christology in the Making'', xxii.</ref> Allo stesso modo, James McGrath afferma che intende "offrire una breve panoramica della [sua] comprensione dei processi che ci portano dal Gesù storico al [[w:Concilio di Nicea I|Concilio di Nicea]], concentrandoci quasi interamente sulle istantanee di questo sviluppo cristologico che svolge nel Nuovo Testamento, ma riconoscendo che c'è sia un prima che un dopo."<ref>James McGrath, "How Jesus Became God: One Scholar’s View", ''New Testament Seminar'', University of Michigan, 19 marzo 2015.</ref> La prospettiva di entrambi questi studiosi, quindi, è teleologica. Conoscendo i risultati storici di Nicea e dei successivi concili ecumenici, questi studiosi cercano di tracciare i fattori socio-storici e gli sviluppi intellettuali che hanno portato a questo particolare risultato in questo particolare momento.
 
 
 
 
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