Ebraicità del Cristo incarnato/Introduzione 1: differenze tra le versioni

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Nella mia definizione di incarnazione divina è implicita anche la mia comprensione dei concetti di "divino" e "divinità". Poiché la nozione correlata del monoteismo ebraico è stata la fonte di un ampio dibattito accademico, affronterò questi punti più ampiamente nel '''Capitolo II'''. Di particolare importanza qui è l'osservazione che gli antichi, persino gli ebrei, concepivano la divinità in modo diverso da come pensiamo oggi. Nell'antico mondo greco-romano, un pantheon di varie divinità popolava il reame divino; anzi, anche alcuni prescelti umani potevano essere esaltati nel regno degli dei. Gli antichi (anche gli ebrei antichi) interpretavano quindi la divinità in termini di grado e potere gerarchico.<ref>Ehrman, ''How Jesus Became God'', 40.</ref> "Fino a quando un dio", o anche in alcuni casi un gruppo di divinità altrettanto potenti, "stava all'apice assoluto della santità e del potere", gli antichi "potevano e infatti fecero entrare un gran numero di divinità al livello inferiore".<ref>Paula Fredriksen, ''Sin: The Early History of an Idea'' (Princeton: Princeton University Press, 2012), 54.</ref> Sorprendentemente, quindi, anche gli ebrei antichi non differivano radicalmente dalle loro controparti pagane in termini di concezioni gerarchiche del reame divino.<ref>Si vedano: Crispin Fletcher-Louis, ''Jesus Monotheism. Christological Origins: The Emerging Consensus and Beyond'', Vol. 1 (Eugene: Cascade Books, 2015); Gabriele Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", in ''Sibyls, Scriptures, and Scrolls. John Collins at Seventy''. Vol. 1. curr. Joel Baden, Hindy Najman, Eibert Tigchelaar (Leiden and Boston; Brill, 2017), 185–208; M. David Litwa, "The Deification of Moses in Philo of Alexandria", ''The Studia Philonica Annual'' 26 (2014): 1–27, part. 6; Ronald Cox, ''By The Same Word: Creation and Salvation in Hellenistic Judaism and Early Christianity''. ''BZNW'' 145 (Berlin: de Gruyter, 2007), 94–99; David T. Runia, "The Beginnings of the End: Philo of Alexandria and Hellenistic Theology", in ''Traditions of Theology: Studies in Hellenistic Theology, Its Background and Aftermath'', curr. Dorothea Frede e André Laks (Leiden: Brill, 2002), 281–312, part. 289–99; David Winston, "Philo’s Conception of the Divine Nature", in ''Neoplatonism and Jewish
Thought'', cur. Lenn E. Goodman (Albany: SUNY Press, 1992), 21–23.</ref> La loro visione del mondo era abbastanza ampia da comprendere esseri angelici sovrumani, uomini glorificati, e attributi personificati di Dio, che potevano essere tutti descritti come "divini".<ref>Litwa, "The Deification of Moses", 6–7; Ehrman, ''How Jesus Became God'', 4–5.</ref> Persino gli ebrei "credevano non solo che gli esseri divini (come gli angeli) potessero diventare umani, ma anche che gli esseri umani potessero diventare divini".<ref>Ehrman, ''How Jesus Became God'', 5.</ref> Questa posizione paradossale si verificò perché le scritture che gli ebrei impiegavano per descrivere chi o cosa era "divino" derivavano da un contesto politeistico che legittimava l'uso di tale denominazione.<ref>Boccacini, "How Jesus Became Uncreated", 186–187.</ref> Ciò che distingueva gli ebrei antichi – in particolare nel periodo storico che esamino in questo studio – dalle loro controparti pagane era che per loro c'era una divinità suprema che era il creatore di tutto il resto, Egli stesso increato.<ref>26 Certamente, il ''logos'' di Filone si avvicina alla più alta divinità di Israele, venendo descritto come "né increato come Dio, né creato come te" [''Her.'' 206; cfr. le sue descrizioni dell'uomo perfetto che sta "al limite tra la natura increata e quella peritura" (''Somn.'' 2.234), i il sommo sacerdote, nel giorno dell'espiazione, che appartiene "per la sua natura mortale alla creazione, ma per la sua natura immortale al Dio increato" (''Somn.'' 2.231)]. Per quegli studiosi che impiegano questa testimonianza per problematizzare la divisione Creatore-Creato, cfr. Fletcher-Louis, ''Jesus Monotheism'', 297–98; James McGrath, ''The Only True God: Early Christian Monotheism in its Jewish Context'' (Urbana & Chicago: University of Illinois Press, 2009), 13. Tuttavia, Filone non rappresenta mai queste entità come sinonimo della più alta divinità di Israele, l'Unico increato. Sebbene a volte Filone presenti Dio che condivide una parte della divina natura di Dio con loro (come, ad esempio, discuterò nel '''Capitolo III''' in merito all'impianto dello spirito di Dio, o efflato, nelle anime degli umani), ciò non le rende identiche al Dio increato. La distinzione di M. David Litwa tra "divinità primordiale" e "divinità mediata" è utile in merito. La divinità primordiale, per Litwa, consiste unicamente del vero Essere (spesso chiamato τὸ ὄν, l'Esistente), o la divinità suprema di Filone. In quanto tale, questa divinità comprende l'apice della gerarchia divina, ed è "divina in un senso ultimo non condivisibile" (cfr. ''Leg.'' 2.1; ''Legat.'' 115; ''Virt.'' 65; ''Sacr.'' 91–92; ''Mut.'' 27). In contrasto, per Litwa la divinità mediata è associata col "mondo del divenire". Di conseguenza, "può essere ed è condivisa da esseri inferiori (incluso i creati)", tra cui il "Logos" di Dio, le "potenze", le "stelle, inclusi il sole e la luna2, "eroi", "''daimones''", e anche gli "umani". Pertanto, dice Litwa, mentre figure come logos, angelo, Mosè, e gli altri patriarchi "non diventano mai o minacciano di diventare il Dio primordiale", esse sono "in grado di partecipare alla divinità dell'Uno Esistente supremo e quindi, in questo senso, sono anche loro deificate. Cfr. "Deification of Moses", 5–8; ''idem'', ''We are Being Transformed. Deification in Paul’s Soteriology'' (Berlino: de Gruyter, 2012), 106–109.</ref> Sebbene molte cose, tra cui alcuni umani giusti, potessero essere considerate "divine"<ref>Litwa, "The Deification of Moses", 6–7; Ehrman, ''How Jesus Became God'', 4–5.</ref> solo la divinità suprema di Israele era considerata "increata".<ref>[[w:Richard 28Bauckham|Richard Bauckham]] è lo studioso che, negli ultimi anni, ha sostenuto con forza che gli ebrei antichi vedevano Dio come l'unico creatore, che era Egli stesso il creatore di tutto il resto. Si veda, per esempio, Bauckham, ''God Crucified'', 9–13; ''idem'', "The Throne of God and the Worship of Jesus" in ''The Jewish Roots of Christological Monotheism'' (curr. Carey Newman, James Davila e Gladys Lewis; Leiden: Brill, 1999), 43–69, partic. 44-48. Sebbene egli stesso non sia d'accordo con questa prospettiva, per una discussione di altri specialisti della paleocristologia che hanno sostenuto allo stesso modo questa divisione Creatore-creatura, cfr. Fletcher-Louis, ''Jesus Monotheism'', 293–316. Si veda anche Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", 188.</ref> Questa distinzione è importante perché illumina come la versione giovannea dell'incarnazione divina sia simile ma anche diversa da altre forme contemporanee dello stesso fenomeno nel pensiero ebraico.
 
Nel corso di questo mio studio, propongo i vari tipi di incarnazione divina che gli ebrei antichi immaginavano nei primi secoli dell'[[w:era volgare|era volgare]]. Da un lato, alcune di queste figure, come la "sapienza" e la "parola" di Dio, furono inizialmente percepite come attributi del supremo Dio increato di Israele che in seguito divenne personificato e persino incarnato nella creazione materiale. D'altronde, altri, come Mosè e il sommo sacerdote ebreo, furono all'inizio chiaramente creati come umani, ma poi sostennero un processo di apoteosi o intrapresero un'ascesa mistica nel reame divino per diventare più simili alla divinità suprema di Israele. Ciò non vuol dire che queste figure siano esattamente le stesse dell'ultima nozione di Gesù di Nazaret come Dio incarnato. Tuttavia la loro presenza nei testi ebraici verso l'inizio dell'era volgare suggerisce che la nostra comprensione storica dell'idea di incarnazione divina, di cui la versione del Vangelo di Giovanni è solo un esempio, è stata più limitata da come abbiamo definito il termine rispetto ad un fine teleologico particolare nella teologia cristiana che dal concetto paradossale stesso.
 
Di conseguenza, questo studio presenta quattro argomenti principali:
 
Primo, suggerisco che nel periodo dell'Antichità Ebraica su cui indago, ci fossero diversi modi in cui il "divino" poteva diventare "incarnato", e quindi la nozione di incarnazione emerse dalla matrice di altro pensiero ebraico e non come una deviazione significativa da esso. In particolare, sostengo che la descrizione contenuta in {{passo biblico2|Giovanni|1:14}} secondo cui la parola divina divenne carne (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο) era solo uno dei molti modi in cui gli ebrei nei primi secoli dell'era volgare comprendevano che Dio, o un aspetto di Dio, si era incarnato o aveva assunto una forma corporea. Pertanto, nel I secolo e.v., sia immediatamente prima che dopo la distruzione del Secondo Tempio, la nozione di incarnazione divina non era antitetica al pensiero religioso ebraico, ma piuttosto ad esso integrale.
 
Secondo, sostengo che, sebbene gran parte della successiva tradizione cristiana – specialmente dopo Nicea – adottasse una teologia in cui Dio e un particolare essere umano erano uno, concentrandosi esclusivamente sui passi che portarono a questo sviluppo nel cristianesimo, gli studiosi, in particolare specialisti neotestamentari e del paleocristianesimo, non hanno pienamente apprezzato i molti e multiformi modi in cui i primi seguaci di Gesù e altri ebrei arrivarono ad articolare e comprendere come la presenza divina potesse manifestarsi sulla terra o come loro, da esseri umani, potessero trascendere il reame terreno per partecipare invece nella divinità. Esplorando tale questione da una prospettiva esclusiva, gli studiosi hanno posto il "cristianesimo" in opposizione all'"ebraismo". In realtà, tuttavia, almeno in alcuni punti specifici, le due religioni non erano entità distinte fino almeno al IV secolo e.v., se non ben oltre.
 
Terzo, propongo che queste varie forme di "incarnazione divina" all'interno del tardo Secondo Tempio e dell'inizio del Periodo romano, come il Cristo incarnato di Giovanni, avessero implicazioni soteriologiche significative. Se gli aderenti credevano nell'efficacia della figura che incarnava o mediava il divino, allora pensavano anche che questa figura garantisse la loro salvezza.
 
Quarto e ultimo, sebbene gran parte del mio lavoro enfatizzi la continuità tra la formulazione nel Vangelo di Giovanni e queste altre forme di incarnazione divina, ridefinendo la nozione di antico monoteismo ebraico in termini di distinzione tra la divinità suprema increata e tutte le altre realtà, rivelo perché l'affermazione di {{passo biblico2|Giovanni|1:14}} fosse comunque senza precedenti e radicale, persino al suo tempo.
 
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==Note==
{{Vedi anche|Biografie cristologiche}}
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