Ebraicità del Cristo incarnato/Introduzione 1: differenze tra le versioni

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La concisa risposta di Trifone al suo interlocutore, [[w:Giustino (filosofo)|Giustino martire]], descrive in modo vivido come Trifone l'Ebreo reagì all'idea che Dio potesse incarnarsi sulla terra: per lui l'idea non era solo incredibile ma anche assurda. Eppure nel corso degli anni Trifone era ben lungi dall'essere l'unico ebreo, reale o immaginato retoricamente, ad esprimere tale incredulità.<ref>Gli studiosi hanno discusso a lungo se Trifone rappresenti una persona reale o una costruzione retorica. Sebbene ci sia chi affermi che egli fosse il rinomato [[w:Tarfon|Rabbi Tarfon]], io non mi voglio comunque schierare in questo dibattito perché in entrambi i casi il testo crea l'impressione che gli ebrei respingessero l'idea che Dio potesse incarnarsi sulla terra.</ref> Durante il Medioevo, nella sua famosa disputa, [[w:Nahmanide|Nahmanide]] fa una simile affermazione nel cercare di confutare tale insegnamento:
{{q|La dottrina in cui credi, e che è il fondamento della tua fede, non può essere accettata dalla ragione, e la natura non offre alcuna base per essa, né i profeti l'hanno mai espressa. E neanche il miracoloso può estendersi fino a tal punto... La mente di un ebreo, o di qualsiasi altra persona, non può tollerarlo; e pronunci le tue parole completamente invano, poiché questa è la radice della nostra controversia.<ref>[[:en:w:Hyam Maccoby|Hyam Maccoby]], cur. & trad. {{en}}, "The ''Vikuah'' of Nahmanides: Translation and Commentary", in ''Judaism on Trial: Jewish-Christian Disputations in the Middle Ages'', Littman Library of Jewish Civilization (Rutherford: Fairleigh Dickinson University Press; London: Associated University Presses, 1982), 119–20. Mia trad. {{it}}.</ref>}}
Tuttavia, l'autore di questo testo che descrive le sue controparti ebraiche rifiutare questo concetto, non dovrebbe essere sorprendente. Dalle prime fasi dell'[[w:era volgare|era volgare (e.v.)]] fino al Medioevo, la retorica polemica sul fatto che Dio potesse diventare umano, o incarnato, aiutava i membri del movimento di Gesù a differenziarsi dagli altri ebrei.<ref>Uso i termini "membri del movimento di Gesù" e "altri ebrei" perché non era semplice definire chi fosse un ’Ιουδαῖος e chi fosse un Χριστιανός nei primi secoli dell'era volgare (e.v.). Allo stesso modo, non è facile determinare quando quei termini iniziarono ad allinearsi con la connotazione moderna di "ebreo" e "cristiano", o ancora più problematicamente con quelle che sono diventate note come le religioni di "ebraismo" e "cristianesimo".<br/>Per quanto riguarda il termine ’Ιουδαῖος, [[:en:w:Steve Mason (biblical scholar)|Steve Mason]] ha sostenuto che la parola è resa meglio col termine "giudeo" piuttosto che "ebreo", poiché il primo enfatizza le dimensioni etniche del termine rispetto al secondo di carattere religioso, nato solo nel terzo e quarto secolo e.v. Si veda "Jews, Judeans, Judaizing, Judaism: Problems of Categorization in Ancient History", ''Journal for the Study of Judaism'' 38.4–5 (2007): 457–512; cfr. anche Shaye JD Cohen, ''The Beginnings of Jewishness: Boundaries, Varieties, Uncertainties'' (Berkeley: University of California Press, 1999), 3, 69–106, che suggerisce che le connotazioni religiose furono associate per la prima volta al termine nel secondo secolo [[w:p.e.v.|p.e.v.]] con il libro [[w:Secondo libro dei Maccabei|2 Maccabei]]. Al contrario, studiosi come Mark Nanos hanno scelto di tradurre ’Ιουδαῖος con "ebreo", sostenendo che autori ebrei del I secolo come l'apostolo [[w:Paolo di Tarso|Paolo]] definirono ’Ιουδαῖος come "nato da genitori che sono ebrei, poi circonciso se maschio (all'ottavo giorno di vita) e vissuto idealmente secondo gli standard che definiscono tale identità ({{passo biblico2|Romani|2:9-11}}; {{passo biblico2|2Corinzi|11:22}}; {{passo biblico2|Galati|1:14-14;2:15-16}}; {{passo biblico2|Filippesi|3:4-6}})." Cfr. Mark Nanos, "Paul’s Non-Jews Do Not Become ‘Jews,’ But Do They Become ‘Jewish’?: Reading Romans 2:25–29 within Judaism, alongside Josephus." ''JJMJS'' 1 (2014): 26–53, particol. 27-28. Si veda anche Oskar Skarsaune, "Jewish Believers in Antiquity—Problems of Definition, Method, and Sources" in ''Jewish Believers in Jesus'', cur. Oskar Skarsaune e Reidar Hvalvik (Peabody: Hendrikson, 2007), 3–21, particol. 11-14. In tutto questo mio studio, mantengo l'uso della parola "ebreo" piuttosto che "giudeo" per descrivere i Ἰουδαῖοι negli anni che circondarono la distruzione del [[w:Tempio di Gerusalemme|Tempio]] ebraico nel 70 e.v. Mi sono convinto a farlo seguendo le argomentazioni di [[:en:w:Adele Reinhartz|Adele Reinhartz]], che dimostra che impiegare la parola "ebreo" non significa accettazione tacita di una religione ebraica – "[[w:enraismo|ebraismo]]" – pienamente formata di "ebraismo". Cfr. Adele Reinhartz, "The Vanishing Jews of Antiquity". ''Marginalia Review of Books'', 24 giugno 2014. <br/>L'attenzione alla circoncisione per l'identità ebraica deriva da testi come {{passo biblico2|Genesi|17:9-14}} e {{passo biblico2|Levitico|12:3}}, che stabiliscono il rituale nell'ottavo giorno come un importante indicatore di identità per Abramo e i suoi discendenti maschili. A partire dal II secolo p.e.v., tuttavia, ci sono prove che alcune persone pensassero che la circoncisione più avanti nella vita potesse consentire ai maschi non ebrei di diventare ebrei (LXX ''Ester'' 8:17; [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]], ''[[w:Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra]]'' 2.454 [Metilius]; ''[[w:Antichità giudaiche|Antichità]]'' 20.38–47 [Izates]). Cfr. Matthew Thiessen, ''Contesting Conversion. Genealogy, Circumcision, and Identity in Ancient Judaism and Christianity'' (Oxford: Oxford University Press, 2011), particol. 67-89. Inoltre, come ha sottolineato Maren Niehoff: "Ci sono sempre stati ebrei maschi non circoncisi" (cfr. [[w:Filone di Alessandria|Filone]], ''De migratione Abrahami'' 89-93) e durante tutto il periodo del [[w:Secondo tempio di Gerusalemme|Secondo Tempio]] "questo fenomeno sembra essere aumentato a causa di acculturazione all'ellenismo ", [cfr. Maren Niehoff, "Circumcision as a Marker of Identity: Philo, Origen, and the Rabbis on Gen 17:1–14", ''JSQ'' 10 (2003): 89–123, esp. 89.] Pertanto, le opinioni sull'importanza della circoncisione in termini di identità ebraica maschile non erano monolitiche. In effetti, nel IV secolo e.v., l'autore delle ''[[w:Lettere di Clemente|Omelie pseudo-clementine]]'' definisce un ’Ιουδαῖος non in termini di marcatori di identità etnica, come la circoncisione, ma in relazione alla pratica rispettosa della legge di una persona (cfr. ''Hom.'' 11.16). <br/>Rispetto alla parola Χριστιανός, sebbene questo termine sia stato usato per la prima volta ad Antiochia per descrivere i seguaci di Gesù in quella città ({{passo biblico2|Atti|11:26}}), almeno in quel particolare luogo passarono diversi secoli prima di una chiara divisione tra identità cristiana e identità ebraica. Si veda Deborah Forger, "Interpreting the Syrophoenician Woman to Construct Jewish-Christian Fault-Lines: Chrysostom and the Pseudo-Clementine Homilist in Chrono-Locational Perspective", ''JJMJS'' nr. 3 (2016): 132–166; Annette Y. Reed e Lily Vuong, "Christianity in Antioch: Partings in Roman Syria", in ''Partings: How Judaism and Christianity Became Two'', cur. Hershel Shanks (Washington, D.C .: Biblical Archeological Society, 2013), 105–132, particol. 112-124; Charlotte Elisheva Fonrobert, "The Didascalia Apostolorum: A Mishnah for the Disciples of Jesus", ''JECS'' 9.4 (2001): 483–509 (cfr. {{passo biblico2|Atti|15}}). Inoltre, ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che il cristianesimo venisse investito del potere imperiale romano. Cfr. Ellen Muehlberger, "Salvage: Macrina and the Christian Project of Cultural Reclamation", ''CH'' 81.2 (2012): 273–297, partic. 279.</ref> Tuttavia, in entrambe le fasi formative di quelle che sarebbero solo in seguito diventate due religioni separate, le opinioni sia dei seguaci di Gesù che degli altri ebrei furono spesso molto più complesse, specialmente riguardo al fatto che Dio potesse assumere una forma corporea.
 
L'idea che Dio potesse incarnarsi è stata a lungo concepita come l'evento centrale e determinante del cristianesimo tradizionale e ortodosso,<ref>Molto spesso la teologia cristiana discute della centralità dell'incarnazione di Dio per la tradizione cristiana in termini di dottrina dell'Incarnazione, vale a dire che nella persona di Gesù, Dio ha assunto la forma umana. Vedi, per esempio, John Webster, Kathryn Tanner e Iain Torrance, ''The Oxford Handbook of Systematic Theology'' (Oxford: Oxford University Press, 2007), 160–173; Richard Cross, "The Incarnation", in ''The Oxford Handbook of Philosophical Theology'', curr. Thomas Flint e Michael C. Rea (Oxford: Oxford University Press, 2009), 452–476. Per i recenti trattati teologici che riflettono sulla centralità di questa dottrina per la fede cristiana, si vedano Oliver Crisp, ''Divinity and Humanity: The Incarnation Reconsidered'' (Cambridge UK: Cambridge University Press, 2007); Richard Swinburgh, ''Was Jesus God?'' (Oxford: Oxford University Press, 2008). Per uno sguardo a come scrittori e poeti famosi come [[w:John Updike|John Updike]], [[w:Fredrick Buechner|Fredrick Buechner]] e [[w:Marilynne Robinson|Marilynne Robinson]] hanno riflettuto su questa dottrina in relazione alla loro esperienza personale del cristianesimo, cfr. Alfred Corn, cur., ''Incarnation: Contemporary Writers on the New Testament'' (New York: Viking, 1990).<br/>Tuttavia, è importante tenere presente che già tra i primi seguaci di Gesù non tutte le persone erano d'accordo che il Vangelo di Giovanni e la sua affermazione che il ''logos divino'' era diventato carne nella persona specifica di Gesù, fosse una componente essenziale della loro tradizione di fede. In effetti, alcune correnti dei primi seguaci di Gesù respinsero esplicitamente questa nozione e alcuni cristiani, anche ai giorni nostri, meditano sulla possibilità di tali affermazioni.</ref> ma il suo significato per la tradizione ebraica ha iniziato solo recentemente ad essere apprezzato all'interno dello studio accademico.<ref>Gli studi condotti da specialisti della Bibbia ebraica e del rabbinismo hanno sottolineato i molteplici modi in cui sia le antiche tradizioni israelite sia le prime tradizioni ebraiche rappresentavano Dio in forma incarnata. Si vedano: Jacob Neusner, ''The Incarnation of God: The Character of Divinity in Formative Judaism'' (Philadelphia: Fortress Press, 1988), 4; Elliot R. Wolfson, "Judaism and Incarnation: The Imaginal Body of God" in ''Christianity in Jewish Terms'', curr. Tikva Frymer-Kensky ''et al.'' (Boulder: Westview Press, 2000), 239–54; Yair Loberbaum, ''The Image of God: Halakha and Aggadah'' {{he}} (Tel Aviv: Schocken, 2004); Esther J. Hamori, "When Gods Were Men: The Embodied God in Biblical and Near Eastern Literature", ''BZAW''384 (Berlino; New York: de Gruyter, 2008); Esther J. Hamori, "Divine Embodiment in the Hebrew Bible and Some Implications for Jewish and Christian Incarnational Theologies", in ''Bodies, Embodiment, and Theology of the Hebrew Bible'', curr. S. Tamar Kamionkowski e Wonil Kim, ''LHBOTS'' 465 (New York & London: T&T Clark, 2010), 161–83; Benjamin D. Sommer, ''The Bodies of God and the World of Ancient Israel'' (Cambridge: Cambridge University Press, 2009), 1–11, 38–57, 124–143; Rachel Neis, ''The Sense of Sight in Rabbinic Culture: Jewish Ways of Seeing in Late Antiquity''(Cambridge: Cambridge University Press, 2013), 18–81; Anne K. Knafl, ''Forming God: Divine Anthropomorphism in the Pentateuch, Siphrut 12'' (Winona Lake: Eisenbrauns, 2014), 72–157; Mark S. Smith, "The Three Bodies of God in the Hebrew Bible", ''JBL'' 134 (2015): 471–88.</ref> Rispetto alla tradizione cristiana, come ha osservato [[w:James Dunn (teologo)|James Dunn]] nel suo lavoro fondamentale su questo argomento,<ref>James D.G. Dunn, ''Christology in the Making: A New Testament Inquiry into the Origins of the Doctrine of the Incarnation'', II ediz. (Grand Rapids: Eerdmans, 1989), 1.</ref> ci si dovrebbe solo ricordare le intense parole di [[w:Atanasio di Alessandria|Atanasio]]: "Divenne uomo cosicché potessimo diventare divini (αὐτὸς ἐνηνθρώπησεν ἵνα ἡμεῖς θεοποιηθῶμεν)"<ref>Athanasius, ''De Incarn.'' 54:3, citato in Dunn, ''Christology in the Making'', 1.</ref> o le suggestive osservazioni di [[w:Gregorio Nazianzeno|Gregorio Nazianzeno]] che sostengono che "Ciò che non è stato assunto non può essere ripristinato (τὸ ἀπρόσληπτον ἀθεράπευτον); è ciò che è unito a Dio che viene salvato"<ref>Gregorio Nazianzeno, ''Ep.'' 101:7, citato in Dunn, ''Christology in the Making'', 1.</ref> per riconoscere la centralità dell'incarnazione di Dio nella teologia cristiana, specialmente in relazione alle affermazioni soteriologiche. Per entrambi questi antichi intellettuali cristiani, la salvezza dipendeva dal fatto che Dio diventasse una cosa sola con l'umanità. Senza l'esplicita connessione tra Dio e l'umanità nella persona specifica di Gesù di Nazaret, non vi era alcuna speranza di restaurazione dell'umanità. Inoltre, sebbene già ai loro giorni queste asserzioni ormai famose avessero lasciato un segno formidabile sul diverso panorama religioso del paleocristianesimo, il lascito duraturo delle loro parole è che ancora oggi molti cristiani continuano a identificare queste formulazioni come fondamentali per la propria fede.
 
 
L'idea che Dio potesse incarnarsi è stata a lungo concepita come l'evento centrale e determinante del cristianesimo tradizionale e ortodosso,<ref>5</ref> ma il suo significato per la tradizione ebraica ha iniziato solo recentemente ad essere apprezzato all'interno dello studio accademico.<ref>6</ref> Rispetto alla tradizione cristiana, come ha osservato [[w:James Dunn (teologo)|James Dunn]] nel suo lavoro fondamentale su questo argomento,<ref>7</ref> ci si dovrebbe solo ricordare le intense parole di [[w:Atanasio di Alessandria|Atanasio]]: "Divenne uomo cosicché potessimo diventare divini (αὐτὸς ἐνηνθρώπησεν ἵνα ἡμεῖς θεοποιηθῶμεν)"<ref>8</ref> o le suggestive osservazioni di [[w:Gregorio Nazianzeno|Gregorio Nazianzeno]] che sostengono che "Ciò che non è stato assunto non può essere ripristinato (τὸ ἀπρόσληπτον ἀθεράπευτον); è ciò che è unito a Dio che viene salvato"<ref>9</ref> per riconoscere la centralità dell'incarnazione di Dio nella teologia cristiana, specialmente in relazione alle affermazioni soteriologiche. Per entrambi questi antichi intellettuali cristiani, la salvezza dipendeva dal fatto che Dio diventasse una cosa sola con l'umanità. Senza l'esplicita connessione tra Dio e l'umanità nella persona specifica di Gesù di Nazaret, non vi era alcuna speranza di restaurazione dell'umanità. Inoltre, sebbene già ai loro giorni queste asserzioni ormai famose avessero lasciato un segno formidabile sul diverso panorama religioso del paleocristianesimo, il lascito duraturo delle loro parole è che ancora oggi molti cristiani continuano a identificare queste formulazioni come fondamentali per la propria fede.
 
 
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