Leonard Cohen e la Cabala ebraica/Poiesis: differenze tra le versioni

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= Preghiera e Tempo di ''Poiesis'' =
Ora siamo pronti per tornare al brano del ''Book of Mercy'' con il quale abbiamo iniziato il nostro saggio. In queste parole Cohen caratterizza la preghiera dal punto di vista del desiderio, una bramosia di invocare il trascendente, designato dal tradizionale simbolo patriarcale "maestro".
L'inquadramento ebraico di questo desiderio è manifestamente evidente dall'ultima riga in cui Cohen esprime il desiderio di essere sollevato da altri nove uomini in modo che possa unirsi a loro (un ovvio riferimento all'idea rabbinica di un ''quorum'' di dieci uomini, il [[w:Minian|Minian]] [ebr. מניין], richiesto per il culto pubblico) per sussurrare "Blessed be the name of the glory of the kingdom forever and forever", l'espressione liturgica che si dice sottovoce dopo che la confessione dell'unità di Dio nello [[w:Shemà|Shemà]] è stata recitata ad alta voce.<ref>Talmud babilonese, ''Pesahim'' 56a. </ref> La "rude chair" su cui Cohen invita il maestro a sedersi è composta dalle lodi che il poeta offre. In consonanza con un'idea articolata dai cabalisti, ma espressa in una forma molto più antica di pietà mistica ebraica, il canto delle lodi a Dio prepara il trono e ne rappresenta la costituzione. Per lodare, per cantare la canzone, questo è il "daily task". Cohen ci dice anche che la realizzazione di questo compito richiede che uno venga estratto fuori dal tempo. Ma cosa c'è nel carattere della preghiera che la rende prematura? Non si dovrebbe desiderare che la preghiera sia sempre in tempo? A che serve la preghiera fuori dal tempo?
 
{{Sefirot}}
[...]
Nel seguito, Cohen affronta implicitamente tali problemi informandoci sui meccanismi di questo compito quotidiano: "Out of mist and dust you have fashioned me to know the numberless worlds between the crown and the kingdom". La creazione di canzoni, la ''poiesis'' (gr. ποίησις), la ''creazione'' di poesie, scaturisce da questa ''gnōsis'' (gr. γνῶσις), questa conoscenza di innumerevoli mondi che si estendono tra la corona e il regno. Una persona non esperta di Cabala non è completamente spiazzata. Il linguaggio è abbastanza familiare da far capire che esiste un modo di procedere anche se non si ha idea del significato del brano. Sostengo, tuttavia, che esiste qualcosa di molto specifico, anzi addirittura di tecnico, a cui fa riferimento Cohen. Egli sta alludendo alla dottrina cabalistica delle dieci ''sefirot'', le emanazioni luminose del divino che sono configurate nell'immaginazione umana. Nella terminologia standard diffusa dai cabalisti, la prima delle ''sefirot'' si chiama ''Keter'', "crown (corona)", e la decima ''Malkhut'', "kingdom (regno)". I "numberless worlds" a cui Cohen fa riferimento sembrano essere le potenze situate tra ''Keter'' e ''Malkhut''. Il poeta ci dice che è egli stato modellato dal suo maestro per conoscere questi mondi. Il fiume del canto scaturisce dalla sorgente di questo pensiero.