L'Impressionismo di Ernest Hemingway/Romanzi impressionistici: differenze tra le versioni

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In questo capitolo intendo illustrare l'uso della tecnica impressionistica da parte di Hemingway, presentando brevi brani tratti da cinque delle sue opere lunghe e da alcuni suoi racconti brevi. I cinque libri che ho selezionato sono ''[[w:Fiesta (Il sole sorgerà ancora)|The Sun also Rises]]'' (1926), ''[[w:Addio alle armi|A Farewell to Arms]]'' (1929), ''[[w:Per chi suona la campana|For Whom the Bell Tolls]]'' (1940), [[w:Il vecchio e il mare|The Old Man and the Sea]] (1952) e [[w:Festa mobile (autobiografia)|A Moveable Feast]] (1964). Questo gruppo di opere spazia dal suo primo romanzo pubblicato al suo ultimo lavoro, che fu pubblicato postumo.<ref>I racconti sono stati scelti da ''The Short Stories of Ernest Hemingway'', Charles Scribner's Sons, 1953.</ref>
 
Ho intenzionalmente escluso da questo elenco diverse opere di Hemingway perché li ho reputati non adatti a questa discussione. Ad esempio, ''[[w:Morte nel pomeriggio|Death in the Afternoon]]'' (1932) e ''[[w:Verdi colline d'Africa|Green Hills of Africa]]'' (1935) sono stati omessi perché entrambe queste opere sono di saggistica e quindi non appropriate per una discussione di una tecnica narrativa da romanzo.
 
Ho escluso ''[[:en:w:The Torrents of Spring|The Torrents of Spring]]'' (1926) perché è essenzialmente una parodia del lavoro di [[w:Sherwood Anderson|Sherwood Anderson]]. Ho messo da parte [[w:Avere e non avere|To Have and Have Not]]'' (1937) per due motivi: innanzitutto, è stato riconosciuto da molti critici di Hemingway come il suo più ovvio fallimento come romanzo; in secondo luogo, questo romanzo ha riempito un vuoto negli sforzi narrativi di Hemingway, in un periodo di "siccità" autoriale, e come tale non è rappresentativo del corpo principale del suo lavoro. Ho anche escluso l'altro presunto "fallimento" di Hemingway, ''[[w:Di là dal fiume e tra gli alberi|Across the River e Into the Trees]]'' (1950), assolutamente non perché lo considero un fallimento, ma perché è scritto in uno stile quasi completamente estraneo al resto dei suoi romanzi e vi dedicherò uno studio speciale in un altro ''wikibook''.
 
Non riuscendo a trovare alcuna discussione coerente che separasse l'Impressionismo nelle sue componenti, intendo enumerare in questo capitolo i tipi di Impressionismo che ho trovato nei romanzi di Hemingway. Forse queste categorie potrebbero sembrare essere state scelte in modo piuttosto arbitrario per l'impressionismo letterario in generale, ma almeno offrono un modo di confrontare le varie opere impressionistiche di Hemingway. Va anche notato che gli estratti che seguono non rappresentano affatto tutta la narrativa impressionistica di Hemingway, ma i brani scelti sono rappresentativi del suo uso complessivo di questa tecnica.
 
Mentre leggevo il corpo delle opere hemingueiane nel tentativo di selezionare quei passaggi che consideravo impressionistici, ho scoperto che l'impiego di questa tecnica da parte di Hemingway poteva essere convenientemente suddiviso in cinque categorie. La prima categoria la chiamo "Impressionismo della scena". Considero questa categoria il tipo più semplice della narrativa impressionistica di Hemingway. Qui Hemingway tenta, presentando alcuni dettagli importanti, di dare al lettore l'impressione di osservare come testimone oculare la scena rappresentata. Il lettore sembra essere presente con Hemingway e vedere esattamente ciò che egli sta vedendo. In questa tecnica Hemingway pone la sua enfasi sui nomi, non solo perché si avvicinano maggiormente alla realtà tra le parti del discorso, ma anche perché i nomi di oggetti concreti sono molto staccati dall'astrazione e quindi più "reali".
 
Questo tipo di Impressionismo, visto soprattutto nelle scene della corrida, è ciò a cui si riferisce [[w:Edmund Wilson|Edmund Wilson]] quando scrive che tali scene "hanno la nitidezza e la semplice eleganza delle litografie di corride fatte da [[w:Francisco Goya|Goya]]. E, come Goya, [Hemingway] si preoccupa innanzitutto di presentare una bella figura".<ref>Edmund Wilson, ''The Shores of Light'' (New York, 1952), p. 121.</ref>